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L'amore che non ha una prima volta

Una storia senza la Storia / Sulla scia del successo di firme per l'appello lanciato da Andrea Giardina, Liliana Segre e Andrea Camilleri, e dopo il racconto di Stefano Massini ecco un'altra pièce distopica: ricordi privi di passato

30/04/2019
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la Repubblica

Gabriele Romagnoli

Fra poco andrò a casa: verranno a darmi un biglietto con un indirizzo e lì troverò un appartamento arredato (chissà in che modo), una donna mai vista prima (di solito appena più giovane di me), qualche volta dei figli (uno, due gemelli, nati da poco, già grandi). Arriverò verso le diciotto, ripartirò alle otto: quattordici ore, sonno escluso, poi tornerò qui a lavorare (dalle nove alle diciassette) e domani sera, a ridosso dell'orario di uscita, mi daranno un altro biglietto, con un nuovo indirizzo, a cui troverò un altro appartamento diversamente arredato, un'altra sconosciuta, forse dei bambini o un'adolescente che non somiglia a nessuno.

Il manifesto in difesa della storia promosso da Andrea Giardina, Liliana Segre e Andrea Camilleri

È così che viviamo da molto tempo, almeno da quanto io possa ricordare. Quelli che avevano memorie diverse (la stessa casa, un gruppo di persone fisse, le fotografie, i verbi al passato) sono spariti per questioni di età, anche se forse a un certo punto si è notata un'accelerazione della loro scomparsa. Restiamo noi, io e tutti gli altri indefiniti e intercambiabili e portiamo avanti la vita in questa maniera che è stata pensata per abolire la sofferenza: niente più separazioni, niente lutti, anche se qualche effetto collaterale è stato messo in conto, ma abbiamo compensato l'affetto con la curiosità. Vuoi mettere? Ogni sera ci attende, per quattordici ore, una nuova vita.

Sono le cinque meno un quarto ed ecco, puntuale, ma ogni volta diversa, l'addetta che pesca dal cesto il biglietto con la mia destinazione. Prendo, ringrazio, metto nel taschino della camicia. Finisco di lavorare poi, al suono della campana, lo riprendo e leggo: Via delle Dioscoree 22. Abbiamo questa toponomastica che si affida esclusivamente alla botanica: niente più padri della patria, artisti dimenticati o valori non condivisi, solo piante, per cui ci si spinge anche a nomi di rarità, come questa dioscorea, che sembra un disturbo inguinale, ma dev'essere invece frondosa. Il navigatore riconosce l'indirizzo prima che abbia finito di digitarlo, mai successo. Devo suonare D3 e così faccio, il cancello si apre. Salgo.

Ecco i nomi dei firmatari

Trovo la porta aperta, entro e provo una strana sensazione, del tutto nuova. Credo che la chiamassero déjà vu: io qui sono già stato. Ho una vertigine, ma accarezzando la poltrona di velluto blu accanto alla lampada ne ho conferma. Sul tavolino è posato un libro che sono certo di conoscere, ma non so come va a finire. Il segnalibro è un richiamo: il punto a cui ero rimasto. Non ne ho mai terminato uno e lo guardo con tentazione. I passi da un'altra stanza, ecco la donna. Si ferma. Ho già visto anche lei e lei ha già visto me, glielo leggo nello sguardo, anche se facciamo finta di niente, ci abbracciamo come cauti convenuti a un primo appuntamento destinato a consumare ogni possibilità prima del nuovo giorno. Riconosco il profumo, i capelli scuri in cui affondo il volto, la consistenza dei fianchi. Dev'essere stato poco più di tre anni fa, ma forse meno, come si fa a ricordare quando ti hanno insegnato di farne a meno perché non serve? Nel gioco balordo degli incontri avrò conosciuto dopo di lei centinaia di estranee, stucchevoli o sorprendenti, mai una ripetizione. Eppure eccola, la falla nel sistema, l'imprevisto che assume la forma del già visto, la ri-conoscenza.

Lei è consapevole, mi guida in percorsi già sperimentati, esattamente quel che non dovrebbe accadere in questo tempo: sapere già qualcosa uno dell'altro, ripartire da lì aggiungendo, conoscere le preferenze, i desideri, le fantasie, aggiustarsi, darsi piacere, condiscendenza, fino a diventare irrinunciabili e definitivi.
Fare l'amore con una persona differente ogni sera, quando lo si fa (non sempre) è considerata da molti (direi quasi tutti, e tutte) il massimo. Nessuno sa che la seconda volta è meglio della prima, perché hai più confidenza, conosci e sei conosciuto, uno strumento si aggiunge all'altro, sulla percussione entra una tastiera, si diventa musica e non esibizione. È quello che accade ora, qui, stasera. Più le parole, i gesti, qualche attenzione, il confronto con l'altra volta e... poi ce ne dovrebbe essere un'altra ancora. Ma sarà possibile, il sistema avrà altre falle? E noi, dove ci disperderemo, come potremo ritrovarci?

Lei dice: "Dovremmo fare come i protagonisti di quel racconto nel libro"
"Quale?"
"Quello che non hai finito di leggere l'altra volta, di là, in sala"
"Il racconto... i due che si incontrano soltanto in sogno..."
"Esatto... si intitola Occhi di cane azzurro, l'ho finito io mentre ti aspettavo, ho letto da dove tu avevi messo il segnalibro, loro nel sogno si danno una frase per ritrovarsi da svegli, una specie di codice, da dire a tutti finché qualcuno la riconosca o da scrivere su tutti i muri finché accada. E la frase è..."
"Occhi di cane azzurro"
"Esatto"
"Sì, ma quello è un racconto"
"La sai una cosa? Anche questo lo è. Tutto è un racconto. Tutto è una storia"
Lui si solleva, la guarda: "Se è così, allora c'è stato un inizio...".
"Sì: Fra poco andrò a casa..."
"C'è stato un senso"
"Sì, riconoscersi nel racconto che di sé si fa"
"E ci sarà una fine"
"Sì, e manca poco: ancora una riga, poi l'ultima"
"Allora decidiamola insieme, che sia importante"
Noi siamo questa storia.
 


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