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L'alternanza alla prova

di Fabrizio Dacrema

25/10/2016
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Primo esame per l'alternanza scuola lavoro obbligatoria introdotta dalla legge 107/2015.La linea comunicativa scelta dal Governo privilegia i toni luminosi del successo. I numeri: gli studenti in alternanza passano da 273 mila a 653 mila in un anno, di cui 455 mila nelle classi terze (il 90 per cento degli studenti obbligati nell'anno scolastico 2015/16).

E poi “I Campioni dell'Alternanza”, tre scuole e sedici imprese, di cui fanno parte quasi tutte le residue grandi imprese italiane, presentate come esempi da imitare. Dal Ministro solo un fugace cenno alle “difficoltà tipiche delle fasi di attuazione”. Tutto bene quindi?

In realtà sono gli stessi dati del forniti dal Ministero a indurci qualche maggiore preoccupazione: gli studenti ospitati dai Campioni dell’Alternanza, ammesso e non concesso che siano effettivamente tali, sono 27 mila mentre quelli che quest’anno dovranno fare esperienze di alternanza sono 1 milione, anzi 1.150.000 secondo gli obiettivi MIUR. Poiché non sembra credibile che i sedici Campioni dell'Alternanza possano diffondere senza colpo ferire la buona alternanza in tutte le scuole appare legittimo domandarsi: quale alternanza fanno tutti gli altri?

Ha cercato di rispondere a questa domanda un'indagine realizzata da CGIL, Fondazione Di Vittorio, Flc Cgil e Rete degli Studenti, convinti che conoscere la realtà sia indispensabile per cambiarla. Ciò vale in particolare per l'alternanza scuola lavoro, da sempre ostacolata da avversioni ideologiche aprioristiche e da limiti oggettivi.

Dai risultati, riferiti all’anno scolastico 2015/16, presentati il 18 ottobre in contemporanea alla kermesse ministeriale balza all’occhio un primo dato che complica la missione dei Campioni: il 90 per cento delle strutture ospitanti sono piccole imprese e di queste più di metà sono micro imprese che hanno meno di 9 dipendenti. Situazioni dove è del tutto improbabile trovare capacità formativa o di co-progettazione oppure spazi e attrezzature adeguate per consentire l’esercizio delle attività previste in alternanza scuola lavoro.

Questa situazione spiega perché praticamente nessuna impresa si è iscritta al Registro Nazionale delle Imprese per l’Alternanza quando costava 90 euro e ora che è gratuito quelle iscritte sono 500. E spiega perché non sono stati definiti criteri e procedure di accreditamento della capacità formativa delle strutture ospitanti, in assenza delle quali le scuole si limitano ad accertamenti formali: verificano, ad esempio, se il tutor aziendale è stato nominato ma non possono verificare se ha le competenze adeguate perché la stessa normativa vigente si limita a prevedere al massimo il possesso di capacità di “affiancamento formativo”. Dall’indagine CGIL/FdV/Flc/RdS risulta anche che le scuole non verificano nemmeno se la struttura ospitante forma i propri dipendenti, requisito che dovrebbe essere considerato minimo per un’impresa chiamata a co-progettare con la scuola un pezzo del curricolo formale.

Se ai limiti strutturali del sistema produttivo italiano si aggiunge l’inevitabile tasso di impreparazione di quella metà di scuole secondarie superiori che non aveva mai fatto prima esperienze di alternanza, non stupiscono allora i dati preoccupanti messi in luce dall’indagine CGIL/FdV/Flc/RdS: 1 studente su 4 è fuori da percorsi di qualità perché  non ha avuto rapporti con il mondo del lavoro oppure ha partecipato solo ad esperienze di lavoro prive di attività propedeutiche e di rielaborazione realizzate dalla scuola.

L’area delle esperienze a rischio di dequalificazione è però molto più ampia se si considera l’80 per cento delle esperienze di lavoro realizzate almeno in parte nel periodo estivo, di queste il 17 per cento esclusivamente nel periodo estivo, quando le attività didattiche sono sospese. Un altro fattore molto esteso di potenziale dequalificazione è evidenziato dall’80 per cento delle scuole che hanno progettato i percorsi di alternanza nell’ambito di relazioni occasionali con le strutture ospitanti. Davvero rari sono i progetti basati su un consolidato rapporto tra scuola, territorio e mondo del lavoro (accordi di rete territoriali, accordi di settore legati a filiere produttive, forme di collaborazione stabili,...): l'occasionalità molto diffusa del partenariato ostacola lo sviluppo di progetti di ampio respiro e la crescita della capacità di co-progettazione della scuole e delle strutture ospitanti fondata sull'individuazione delle competenze più utili agli studenti.

Sono dati da prendere sul serio anche perché provenienti da un campione composto per l’80 per cento da scuole che avevano già realizzato in passato percorsi di alternanza  (mentre i dati nazionali indicano che meno di 1 scuola su 2 ha fatto alternanza prima della legge 107).

Sono dati che mettono in luce difficoltà non riducibili a quelle “tipiche delle fasi di attuazione”. Non bastano indicazioni centralistiche e qualche Campione dell’Alternanza o supposto tale … alcune delle esperienze presentate, tra l’altro, meritano un supplemento di indagine.

Con l’introduzione dell’alternanza obbligatoria si è messo in moto un ampio processo che può innovare la scuola e il sistema produttivo italiani, sviluppando un importante valore aggiunto per gli studenti, utile per il lavoro e l’esercizio della cittadinanza attiva.

Senza una svolta, però, rischia la deriva provocata dalle resistenze ideologiche e dai limiti di un sistema economico ancora troppo poco orientato a valorizzare le competenze.

L’indagine CGIL/FdV/Flc/RdS indica anche i fattori positivi da rafforzare per sviluppare la qualità dei percorsi di alternanza che possono essere così riassunti: progetti che non si limitano ad aggiungere un'altra attività a quelle ordinarie, ma cambiano il “modo di fare scuola”, a partire dalla necessità di mutare stabilmente il proprio assetto organizzativo al fine di sviluppare capacità di co-progettazione con strutture ospitanti individuate sulla base di accordi territoriali stabili che coinvolgono attivamente le istituzioni locali e le parti sociali.

Se questo è il punto allora appare evidente che senza un più ampio e profondo coinvolgimento delle forze sociali non è possibile realizzare un piano operativo credibile, capace di fronteggiare ostacoli e difficoltà in Italia più consistenti che negli altri paesi sviluppati. Eppure in tutti  Paesi europei dove, pur con modelli diversi, l’apprendimento basato sul lavoro è una realtà positiva, diffusa e consolidata, hanno valorizzato a questo fine il dialogo sociale.

Si tratta di formare decine di migliaia di tutor aziendali e di finalizzare anche a questo le risorse della formazione continua, di realizzare patti territoriali e settoriali a sostegno delle piccole imprese e per individuare spazi attrezzati e idonei per le attività formative (poli tecnico-professionali, laboratori territoriali …), di orientare la contrattazione nazionale e decentrata a valorizzare le professionalità educative, scolastiche e aziendali, impegnate nelle attività di alternanza, di sollecitare soggetti sociali a rendersi parte attiva nella promozione dell’alternanza, … è possibile tutto questo continuando a tenere ai margini sindacati e forze sociali e limitandosi a rapporti diretti con qualche grande impresa o qualche associazione datoriale?

I sindacati confederali ritengono di no e per questo da oltre un anno hanno chiesto al Governo di istituire immediatamente una Cabina di Regia Nazionale, con diramazioni regionali, per lo sviluppo del rapporto scuola lavoro in cui siano presenti le istituzioni coinvolte (Ministeri dell’Istruzione e del Lavoro, Regioni) e le Parti Sociali.

Tutti gli esponenti di governo che si sono pronunciati su questa più che ragionevole proposta sindacale si sono detti favorevoli ma ad oggi nulla si è fatto.

Non doveva essere questo il governo della velocità decisionale?

In questo caso non serve aspettare il 4 dicembre.