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L’allarme delle università: «Turnover a rischio con il nuovo sistema di calcolo del fabbisogno»

Il parlamento universitario chiede a Bussetti di rivedere la norme che legano gli aumenti del fabbisogno al Pil: «Altrimenti gli atenei potrebbero essere costretti a rinunciare alle nuove assunzioni che il governo aveva autorizzato»

01/05/2019
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Corriere della sera

Orsola Riva

E’ una delle misure di rilancio dell’università di cui il governo giallo-verde va più fiero: l’aumento del turnover oltre i limite del cento per cento previsto dalla legge di Bilancio 2019. Finalmente da quest’anno le università con i conti a posto potranno tornare ad assumere più professori e ricercatori di quelli che vanno in pensione. Una prima, parziale inversione di tendenza dopo l’emorragia degli ultimi dieci anni (dal 2008 al 2017 il sistema dell’istruzione superiore ha perso 10 mila docenti sui 63 mila di partenza). «E’ una svolta, dobbiamo tornare ad assumere di più nelle università», aveva detto Marco Bussetti alla fine dell’anno commentando le misure appena varate. «Un primo segnale di fiducia in una università risanata nei conti che ora ha necessità di crescere anche negli organici», gli aveva fatto eco sulle pagine del Corriere il capo dipartimento per l’università e la ricerca Giuseppe Valditara, già collaboratore di Tremonti e Gelmini ai tempi della cura da cavallo imposta all’università. Ma nella stessa legge di Bilancio in cui il governo libera finalmente gli atenei da ogni vincolo nelle assunzioni è contenuta una norma che lega loro le mani con un nuovo laccio invisibile. Quale? Quello del calcolo del cosiddetto fabbisogno finanziario.

Il rigore di Maastricht applicato alle università

A lanciare l’allarme nei giorni scorsi è stato il CUN, il «parlamento» dei prof universitari che ha la funzione di organo consultivo del Miur. In una mozione firmata dalla presidente Carla Barbati e indirizzata al ministro Bussetti, al vice ministro Fioramonti, ai capi di gabinetto Valditara e Chinè, si sottolinea come nella finanziaria licenziata a dicembre dal Parlamento si vincolino gli atenei a nuove norme di sostenibilità ancor più severe di quelle precedenti. Mentre finora il fabbisogno degli atenei era calcolato sulla base di quello dell’anno prima più il 3%, per il periodo dal 2019 al 2025 le università statali avranno diritto a un incremento massimo pari al tasso di crescita reale del Pil nel DEF. «Il sistema potrebbe anche funzionare se crescessimo di diversi punti percentuali - commenta il professor Giacomo Manetti, docente di Economia Aziendale all’Università di Firenze e relatore del documento CUN -, ma con tassi di crescita come quelli attuali, che al netto dell’inflazione superano di poco lo zero virgola, non riusciamo neanche a coprire gli aumenti degli stipendi se si ipotizza di utilizzare tutto il turnover concesso dal Ministero». E - si badi - su questa regola aurea non sono ammessi sforamenti come quelli che il governo giallo-verde invece reclama a gran voce sui vincoli imposti dai trattati di Maastricht. Per gli atenei disobbedienti la legge di Bilancio prevede non più solo la segnalazione al Mef ma «penalizzazioni economiche commisurate allo scostamento registrato».

Il nodo degli investimenti

Vincolare gli aumenti del fabbisogno universitario alla crescita del Pil in un momento di contrazione drammatico come quello attuale significa mettere agli atenei un cappio al collo della spesa corrente. Con un ulteriore danno derivante dalla scelta di scorporare le spese in investimenti e ricerca dal calcolo del fabbisogno: una misura pensata «al fine di favorire il rilancio degli investimenti e le attività di ricerca» ma che paradossalmente finisce per penalizzare proprio le università che finora hanno investito di più. Come mai? Il CUN argomenta che la legge di Bilancio prevede di calcolare il fabbisogno programmato per l’anno in corso in base a quello dell’anno precedente decurtato però dalla media delle spese in investimenti dell’ultimo triennio. Questo vuol dire, soprattutto per le università che più si sono adoperate in questa direzione, ridurre in modo consistente la base di partenza su cui poi viene applicato l’aumento in base al tasso di crescita reale del Pil. Il CUN riconosce che l’idea di svincolare le spese per sviluppo e ricerca da quelle correnti in teoria sarebbe giusta ma nei fatti si traduce in un autogol a causa della forte limitazione alla parte rimanente della spesa corrente.

Gli aumenti automatici della spesa corrente

Un risultato aggravato dal fatto che, già adesso, ma ancor di più nei prossimi anni, sul bilancio degli atenei si faranno sentire gli effetti finanziari dello sblocco degli stipendi (che d’ora in poi saranno soggetti ad adeguamento Istat), degli scatti ogni due anni anziché tre, dei piani straordinari di reclutamento dei ricercatori e dei cosiddetti Dipartimenti di Eccellenza. «A fronte di tali maggiori uscite in gran parte automatiche - si legge nel documento del CUN - la nuova disciplina del fabbisogno finanziario imporrà a un numero crescente di Università pubbliche una restrizione alla parte restante della spesa o la necessità di incrementare le entrate proprie per evitare il superamento del limite ministeriale. Le azioni di contenimento della spesa corrente potrebbero addirittura indurre auto-limitazioni del turnover, vanificando di fatto l’ampliamento delle facoltà assunzionali voluto dal legislatore». Detto altrimenti: in teoria il governo non pone più vincoli alle assunzioni da parte degli atenei, almeno di quelli con i conti a posto, ma di fatto non li mette in condizione di poterle fare davvero. E rischia di costringerle a rinunciare a prendere nuovi ricercatori e professori a meno che non vogliano aumentare le tasse universitarie o altre entrate proprie. Conclusione: «Il Consiglio Universitario Nazionale chiede al Ministero, e per suo tramite al Governo e al Parlamento, pur nel doveroso rispetto degli equilibri di finanza pubblica, un intervento legislativo volto ad aumentare in misura adeguata il tasso di crescita annuale del fabbisogno finanziario e a eliminare le penalizzazioni economiche per sforamenti previste dall’art. 1 c. 977 della legge di bilancio 2019. Si invita inoltre il Ministero a riporre una attenzione particolare agli Atenei che, per ragioni di contrazione della spesa nel corso degli ultimi anni o, viceversa, di rilancio degli investimenti nell’ultimo triennio, potrebbero vedersi ridurre significativamente il fabbisogno assegnato nel 2019 e anni successivi».