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L’algoritmo in cattedra Exploit delle lauree per capire i big data

In ampo umanistico va forte la linguistica. Bene l’enogastronomia e i corsi di riabilitazione, sempre più utili in un Paese che invecchia

18/08/2019
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la Repubblica

Ilaria Venturi

Lo tsunami dei dati, generati a gran velocità, dai telefonini alle carte di credito passando per i social, ci ha travolto. E le università si muovono di conseguenza: dal 2011 ad oggi sono stati avviati dodici corsi di laurea in Data science , otto solo negli ultimi due anni. Nuove frontiere di studi. Bologna, Pisa e La Sapienza hanno fatto anche il passo successivo, aprendo lauree in Intelligenza artificiale. E con un inedito accordo tra storiche concorrenti, il Politecnico di Milano e la Bocconi hanno appena progettato una magistrale congiunta in Cyber risk per tutelare, in un mondo sotto attacco, gli stessi dati che ci travolgono. Insomma, l’algoritmo sale in cattedra. L’ultima tendenza della didattica universitaria.

È quanto emerge da uno studio sull’evoluzione dell’offerta formativa negli ultimi 5 anni realizzato da Marco Abate, docente di Matematica a Pisa, e presentato alla Conferenza dei rettori. La fotografia di dove sta andando l’università italiana. Il tema non è dove gli studenti si iscrivono, ma cosa gli atenei scelgono di nuovo per loro, intercettando i mutamenti del mercato e della società.

«C’è stato un momento in cui si apriva di tutto con l’illusione di attirare iscritti, invece negli ultimi anni c’è una crescita sostenibile e meditata dell’offerta formativa. Non più salti nel buio, ma il tentativo d’immaginare i mestieri del futuro, dare gli strumenti per stare al passo», ragiona Abate, 57 anni, milanese, laureato alla Normale e prorettore alla didattica a Pisa. Dal 2015 al 2019-20 negli atenei sono spuntati 368 corsi in più. La crescita delle lauree in cui si studiano i Big data , la grande e rapida mole di informazioni, non sorprende. «La tendenza è globale, l’esplosione c’è stata quando Google sfidò, e vinse, il campione del mondo di Go, il coreano Lee Se-dol. Macchine contro uomini. Non è più una questione solo tecnica, coinvolge tutti, a parlare di Data science e intelligenza artificiale sono i filosofi, non solo gli ingegneri e gli informatici. E sarà bene avere sempre più studenti che ne studiano anche le implicazioni » osserva Marco Roccetti, esperto di algoritmi, professore di Informatica all’Alma Mater.

In campo umanistico spuntano le magistrali in Linguistica, un po’ l’altra faccia della medaglia: Facebook e Google vanno a caccia di linguisti per analizzare ciò che scriviamo, pensiamo, desideriamo. Ma il motivo della crescita, quest’anno particolarmente evidente con cinque lauree in più tra Tor Vergata, Roma Tre, Bolzano e Catania, dice Abate, è anche un altro ed è curioso: si sta aprendo il campo dell’insegnamento della lingua italiana agli stranieri. «Non sarei così certo che i ragazzi abbiano colto questo segnale, ma l’università deve osare, spingere avanti, intercettare ciò che avviene nella società», osserva il sociologo Giovanni Boccia Artieri, direttore del dipartimento di Scienze della comunicazione a Urbino. «Rispetto al Data science siamo un passo dietro la frontiera: qui anche la linguistica trova uno sbocco applicativo».

Lo studio rivela altre tendenze. Nel settore giuridico formare alle professioni forensi non basta più, le aziende chiedono esperti di diritto ed economia: di qui 7 triennali pronte a partire in Scienze giuridiche. Crescono poi le lauree di Medicina in lingua inglese, quelle in Riabilitazione, passate da 142 a 150 in pochi anni come risposta a un Paese che invecchia, e per infermieri e ostetriche (da 84 a 97).

Sui 137 corsi aperti nel nuovo anno accademico, 18 sono nell’area delle scienze mediche, 16 in scienze economiche e statistiche, il settore più in espansione, in particolare le magistrali in economia aziendale dove si trova lavoro. Poi c’è il boom trainato da Masterchef , o meglio dalla crescita della cultura del cibo legata a turismo e agricoltura sostenibile: 8 triennali in due anni in Scienze gastronomiche. «Il fenomeno più visibile è legato ai nuovi corsi, ma ogni anno sono 800 quelli che vengono modificati sugli oltre 4mila esistenti — conclude Abate — Ad esempio per formare fisici in grado di studiare le onde gravitazionali non serve una nuova laurea, ma aggiornare i programmi. Anche questo ci dice come cambia l’università, per preparare gli studenti a nuovi campi che si stanno sviluppando nel lavoro e nel mondo».


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