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John Elkann "Ripensiamo la scuola perché da lì passa il futuro del Paese"

La lezione frontale non ha più senso: per cambiare approccio anche l’architettura deve adattarsi

13/09/2019
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la Repubblica

TORINO — Una proposta per rifare le scuole italiane. «Perché — dice John Elkann — modificare il contenitore può servire ad aggiornare i contenuti e i metodi dell’insegnamento. Noi come famiglia ci siamo impegnati in questa direzione. Siamo convinti che migliorando l’apprendimento si possano avere benefici per il Paese».

Il presidente della Fondazione Agnelli è nella palazzina di via Giacosa, a Torino, che fu la residenza del fondatore della Fiat e che oggi è la sede di una quantità di iniziative.

Dal progetto "Torino fa scuola" per la ristrutturazione degli edifici scolastici al laboratorio didattico Combo, alla Sei, la scuola di imprenditorialità e innovazione, a Eduscopio.it, il portale che aiuta le famiglie italiane a orientarsi nella scelta delle scuole superiori.

Elkann, da dove nasce l’iniziativa di ristrutturare due istituti che ospitano le scuole medie?

«Ci stiamo lavorando da quattro anni. L’idea era quella di modificare le scuole come contenitore. Inoltre gli istituti scolastici pericolanti o in condizioni difficili sono una delle emergenze del nostro Paese».

Avete una proposta per risolvere il problema?

«Abbiamo scelto la strada della concretezza: non solo attraverso ricerche e indagini mirate, ma anche passando dalle parole ai fatti. Ad esempio ristrutturando due edifici scolastici a Torino. Scuole nate in altri contesti storici, una di fine Ottocento, l’altra degli anni Sessanta. Diversi contesti e anche diverse logiche di insegnamento rispetto ad oggi. C’era ancora la cosiddetta lezione frontale: l’insegnante in cattedra, le file di banchi degli alunni di fronte. Oggi la lezione non dovrebbe essere soltanto così.

Bisogna dunque adattare anche l’architettura delle scuole».

In quanto tempo ci siete riusciti?

«I cantieri sono durati un anno, un record. Ma da soli non ce l’avremmo mai fatta. L’operazione è stata possibile perché abbiamo lavorato insieme a una Fondazione come la Compagnia di San Paolo, al Miur e alla città, collaborando con le due amministrazioni di diverso segno politico che hanno guidato Torino».

Avete ristrutturato due scuole.

Ma in Italia ce ne sono migliaia.

«Non c’è mai stato in Italia un progetto di questo tipo: un concorso di idee internazionale, quasi 300 proposte ricevute, il progetto vincente realizzato in un anno, un’inedita collaborazione pubblico-privato e un’esperienza che ora è a disposizione di tutti. Da oggi chiunque — amministratore pubblico, dirigente scolastico, imprenditore — può ricevere il kit che abbiamo messo a punto: idee, progetti, modelli pronti per essere replicati ovunque».

Negli ultimi anni la Fondazione Agnelli ha concentrato i suoi sforzi sull’insegnamento e la formazione.

La scuola italiana ha bisogno di essere curata?

«La scuola italiana è un’ottima scuola. Abbiamo un eccellente livello nelle elementari, un esempio che tutto il mondo ci invidia. Abbiamo un buon livello nei licei. Dagli studi che abbiamo condotto in Fondazione l’anello debole sono le scuole medie».

Parliamo allora, per una volta, degli aspetti positivi della scuola italiana. Da che cosa dipendono?

«Direi che il merito va agli insegnanti italiani. In generale, tanti di loro sono motivati e spesso prendono il loro lavoro come una vocazione. Sono loro la forza dei nostri istituti.

Ciascuno di noi può sperimentarlo: impari bene qualcosa se hai un insegnante capace di appassionarti.

Oggi questo aspetto della capacità di insegnare non è considerato nei criteri di assunzione dei docenti. E questo penalizza il nostro Paese nei confronti internazionali. Non basta conoscere bene una materia per poterla trasmettere ai ragazzi».

Fino a poco tempo fa tutti pensavamo che per trovare lavoro una strada sicura fosse quella di iscriversi a ingegneria. È ancora così?

«È ancora così. Ma in Italia c’è poco interesse per la cultura scientifica.

Che invece farà sempre più parte della nostra vita. Anche se scegliamo di fare il pittore, avremo sempre più a che fare con i robot e avremo sempre bisogno di conoscenze scientifiche».

Qual è il motivo di questa resistenza?

«Ho avuto occasione di parlarne tempo fa con Samantha Cristoforetti. Anche lei lamentava questa difficoltà degli italiani con le materie scientifiche. È evidentemente un fatto culturale. Soprattutto, continua ad essere basso il numero di bambine e ragazze che si accostano agli studi scientifici. Per questo la nostra Fondazione sviluppa programmi come Combo, un laboratorio didattico gratuito per insegnare queste discipline in modo accattivante».

Acquisire conoscenze scientifiche per poter interagire con i robot. Ma non saranno i robot a togliere il lavoro?

«I robot non sostituiranno il lavoro, lo integreranno. Per questo è importante saper interagire con loro. E non solo per il lavoro: entreranno sempre più nella nostra vita quotidiana. La promozione della cultura scientifica, ad esempio attraverso il Science Gateway — che Fca sta sviluppando insieme al Cern di Ginevra e in collaborazione con la Fondazione Agnelli, rientra tra i nostri obiettivi».

Lei ha ristrutturato un ufficio qui, nell’ex villa del senatore Agnelli. Si occupa da questo luogo anche delle trattative con Renault?

(Il presidente di Fca sorride) «Oggi parliamo di scuola e formazione.

Che, in prospettiva, possono diventare la vera ricchezza del nostro Paese».


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