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Italia «avara» nell’istruzione: spesa ferma al 3,6% del Pil

L’Italia dell’istruzione spende poco. E soprattutto male. A ricordarcelo è stata ieri l’Ocse che ha presentato il rapporto annuale Education at a glance 2019

11/09/2019
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Il Sole 24 Ore

Eugenio Bruno e Claudio Tucci

L’Italia dell’istruzione spende poco. E soprattutto male. A ricordarcelo è stata ieri l’Ocse che ha presentato il rapporto annuale Education at a glance 2019. Quasi 500 pagine di analisi, statistiche e tabelle che viste dal di qua delle Alpi somigliano molto da vicino a un cahier de doléances in versione tricolore. In cui i nodi irrisolti del nostro sistema scolastico e universitario trovano spazio uno accanto all’altro: da una spesa complessiva pari al 3,6% del Pil (contro una media del 5%) a una percentuale di laureati ancora troppo bassa; da una classe docente in cui il 59% degli insegnanti ha più di 50 anni e in cui la parola “carriera” praticamente non esiste, a una percentuale di Neet quasi doppia rispetto al resto dei paesi industrializzati. Ed è con questo scenario che devono fare i conti il nuovo governo e il neo ministro Lorenzo Fioramonti. Anche in vista delle gradi sfide che già si profilano all’orizzonte da qui a dieci anni, come il calo di un milione di studenti e la necessità di sostituire metà dei prof in organico.

La spesa complessiva

Il quadro di insieme che esce dal rapporto dell’organizzazione parigina è sconfortante. Per finanziare la lunga filiera che va dalla scuola primaria all’università l’Italia investe più o meno il 3,6% del suo Pil contro il 5% di media Ocse. Con una forbice che cresce mano mano che il livello d’istruzione sale. Alle elementari la spesa italiana per studente ammonta a 8.000 dollari statunitensi (-6% della media Ocse); alla secondari sale a 9.200 dollari (-8% ); per arrivare agli 11.600 dollari dell’università(-26%). In un contesto generale che ha visto l’esborso per la scuola diminuire del 9% tra il 2010 e il 2016 laddove gli studenti sono calati, rispettivamente, dell’8 %(scuola) e dell’1% (università). Il punto è che, per la scuola, si continua però a spendere male, visto che quasi il 90% del bilancio del Miur serve a retribuire il milione e più di dipendenti. Per l’università, occorre invece uno scatto di reni.

Università in ritardo

Investire o meno negli atenei diventa ancora più importante in un paese come il nostro storicamente povero di laureati. Ebbene gli italiani in possesso di una laurea sono il 19% dei 25-64enni e il 28% dei 25-34enni. Laddove i nostri competitor viaggiano al di sopra del 30%(Germania), 40% (Spagna e Francia) o 50% (Regno Unito). Un gap che difficilmente colmeremo a breve se si iscriverà a un corso universitario il 37% degli under 25 contro il 45% di media Ocse. E infatti anche all’organizzazione parigina appare evidente che i nostri connazionali «hanno bisogno di ulteriori incentivi per iscriversi all’università e per laurearsi».

I nodi irrisolti della scuola

Dopo le varie stabilizzazioni di docenti precari degli anni passati la scuola italiana continua ad avere il corpo insegnante più anziano tra i paesi Ocse: raggiungiamo il 59% di prof ultra 50enni. Entro i prossimi 10 anni, quindi, dovremmo sostituire circa la metà degli attuali insegnanti (e già si annunciano nuovi concorsi nei prossimi mesi). Tutto ciò mentre i giovani in cattedra restano mosche bianche: tra i 25-34enni abbiamo appena lo 0,5% di docenti. Se è poi vero che lo stipendio dei professori è mediamente basso e piatto per tutta la carriera, è altrettanto vero che il numero di ore di insegnamento nette è inferiore alla media: alle superiori 617 ore di lezione contro 667; alle medie 671 contro 709.

L’emergenza Neet

Senza dimenticare l’emergenza nell’emergenza di chi a scuola non ci va proprio, né lavora: i cosiddetti «Neet». Che da noi sono il 26% dei 18-24enni, rispetto al 14% degli altri paesi Ocse. E qui vantiamo un record che troviamo solo in Colombia: un tasso superiori al 10% sia di inattivi che di disoccupati. Tra l’altro, di lunga durata. Dividiamo, stavolta con la Grecia, un altro “primato”: più della metà degli under 25 è rimasta senza un impiego almeno per un anno. Nonostante i proclami che accompagnano ogni rifinanziamento di Garanzia giovani.


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