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Istruzione, l’Italia passa dal 3,6% del Pil al 3,5%: confermati i tagli

Lo dice il Documento inviato dal ministero dell’Economia a Bruxelles. L’Italia in coda alle classifiche internazionali per gli investimenti in formazione, educazione, scuola

19/10/2018
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Corriere della sera

di Valentina Santarpia

Istruzione, l’Italia passa dal 3,6% del Pil al 3,5%: confermati i tagli

Il taglio all’Istruzione è confermato nero su bianco dal documento programmatico di Bilancio inviato dal governo all’Europa: la spesa per istruzione in rapporto al Pil, si legge «si attesta in media sul 3,6% nel quinquennio 2014-2018 (3,5% nel 2019)». Dunque, uno 0,1% in meno, ovvero un segno meno che conferma le indiscrezioni che già circolano sugli investimenti (inesistenti) di questo governo al settore della scuola e dell’educazione in generale. L’anno scorso l’ex ministra Valeria Fedeli poteva vantarsi di aver portato a casa la stabilizzazione di oltre 2100 precari impegnati negli enti di ricerca, l’aumento del Fondo integrativo statale per la concessione di studio universitarie (che passava da 216,8 milioni del 2017b a 236,8 milioni del 2018), 5 milioni per le borse per i dottorati di ricerca, i fondi per la progressione dello stipendio dei prof universitari, l’integrazione del fondo per le Accademie musicali e anche l’incremento per gli ITS. Non era il record di risorse che da anni gli esperti auspicano per rilanciare il settore e portare i nostri studenti al pari con quelli degli altri Paesi Cose (dove continuano a superarci nei test di italiano e matematica), ma almeno si manteneva una direzione, che era quella tenuta negli anni precedenti, di leggera crescita. Anche se le informazioni disponibili sul capitolo di spesa sono scarse («Per le dinamiche di medio-lungo periodo si rinvia alle più recenti previsioni elaborate sulla base della metodologia e dello scenario definito in ambito europeo», si legge), i segnali che arrivano non sono per niente incoraggianti.

Fanalino di coda

Anche perché gli ultimi dati Eurostat pubblicati a marzo, che prendono in esame un bilancio del 2016, in cui l’Italia destinava il 3,9% all’Istruzione, ci davano già tra gli ultimi nella classifica europea. Peggio di noi solo Slovacchia (3,8%) e Irlanda (3,3%), e Romania e Bulgaria, rispettivamente con percentuali di 3,7 e 3,4%. In testa alla graduatoria assoluta c’erano invece Danimarca (6,9%) e Svezia (6,6%), tra i Paesi fuori dall’euro zona, e Belgio (6,4%) e Finlandia (6,1%), tra quelli che adottano la moneta comunitaria. Tirando le somme tra le varie performance di ogni singola nazione si raggiunge una media dell’Unione europea corrispondete al 4,7% del Pil, che si abbassa al 4,6% prendendo in considerazione solo i Paesi dell’area euro. In generale l’istruzione rappresenta la quarta voce di spesa, preceduta dalla protezione sociale (19,1%), dalla salute (7,1%) e dai servizi pubblici generali (6%). Da noi l’istruzione resta una delle ultime voci.