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Io umiliata dalle suore

In quella scuola i gay sono considerati malati da curare

21/07/2014
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la Repubblica

Se davvero emergesse un episodio di discriminazione agiremo rapidamente e con severità», ha detto ieri il ministro Giannini. Ma lei, la professoressa a cui l’istituto cattolico parificato Sacro Cuore di Trento non
ha rinnovato il contratto «perché lesbica», chiede che il governo «valuti meglio a chi vengono assegnati i fondi pubblici» e parla di «frequenti episodi di omofobia». Si dice «disgustata dall’atteggiamento della direzione» e «offesa, perché sono stati lesi i miei diritti: di cittadina, oltre che di insegnante. Nei miei confronti c’è stato un atto di razzismo, qualcosa di medievale. Nessuno ha il diritto di valutare un docente in base al suo orientamento sessuale. Ecco perché mi rifiuto, adesso come durante quel colloquio con la madre superiore, di rivelare con chi vado o non vado a letto. Forse sono lesbica, forse non lo sono ». E ora? «Non voglio più avere a che fare con quelle persone, desidero soltanto tornare a insegnare da qualche parte. È la mia vita»
SILVIA
ti porta dritto al punto di questa storia. «È la domanda che mi ha fatto la madre superiora a essere offensiva, perché ha leso i miei diritti di cittadina e di insegnante. Forse sono lesbica, forse non lo sono. Ma chiedermi di smentire voci sul mio orientamento sessuale, e far dipendere dalla risposta il rinnovo del contratto, è stato inaccettabile. Come se fosse normale indagare sotto le lenzuola dei dipendenti ».
Silvia quella risposta non l’ha data e non la dà. A nessuno. Né a suor Eugenia Libratore, né ai cronisti. Protegge la sua privacy con la potenza della sua indignazione, anche adesso che è finita su tutti i giornali, sotto il titolo “prof gay cacciata dalla scuola cattolica”. Di lei basti sapere che Silvia non è il suo vero nome, ha più di 30 anni e meno di 40, che al Sacro Cuore (istituto paritario che riceve fondi pubblici) insegnava da 5 anni una materia «importante e obbligatoria», e che a Trento convive con una persona che ama. «Se c’è stata discriminazione sessuale agiremo con severità», annuncia il ministro dell’Istruzione Stefania Giannini. Ma il caso, sollevato dai comitati trentini della lista Tsipras, è lontano dal suo epilogo.
Cos’è successo durante il colloquio di mercoledì scorso con la direttrice?
«Mi ha voluto incontrare nell’aula docenti, dove non c’erano testimoni. Pensavo volesse parlarmi delle ore da fare il prossimo anno, sono al quinto contratto a tempo determinato e a buon punto per l’abilitazione. Invece, dopo avermi fatto i complimenti per il lavoro svolto, se n’è uscita con quella domanda...»
Esattamente cosa le ha chiesto?
«Aveva sentito delle voci secondo le quali io avrei una compagna e, testuale, “siccome devo tutelare questo istituto cattolico e c’è da rinnovare il suo contratto”, mi ha chiesto di smentire o confermare quelle voci».
Come ha reagito?
«Ero disgustata. Poiché non avevo intenzione di svelare niente, suor Eugenia ha osservato che “stavo dimostrando la fondatezza delle voci”. Sembrava mi volesse umiliare. Stavo per andarmene e a quel punto lei prova a rimediare, facendomi capire che era disposta a chiudere un occhio se avessi dimostrato di voler “risolvere il problema”. Non c’ho visto più... l’omosessualità è un problema? Ammesso che sia gay, dovrei guarire da qualcosa? Le ho risposto che è una razzista, e che deve riflettere sul concetto di omofobia. Poi me ne sono andata, non voglio avere più a che fare con loro, né ora né mai».
In tanti al suo posto avrebbero risposto quello che il datore di lavoro si voleva sentir dire.
«Il mio datore di lavoro sono gli studenti, non sono disposta a mercanteggiare i diritti in cui credo per tenermi il posto. E poi come avrei fatto a guardare negli occhi i miei ragazzi? Mi sarei sentita un’ipocrita».
Era la prima volta che accadeva una cosa del genere?
«Nessuno della direzione aveva mai fatto domande specifiche sul mio orientamento sessuale. Ribadito che la mia vita privata è e resta privata, posso dire che era stato dato per scontato che io fossi eterosessuale
».
E come fa a dirlo?
«In 5 anni ho sentito volare parole come “invertito”, mai però davanti agli alunni. Ho visto volantini affissi nell’aula docenti dove si pubblicizzava la presentazione del libro Ero gay. A Medjugorje ho
ritrovato me stesso . E due anni fa affissero la stampata di una e-mail in cui si consigliavano le linee guida da tenere nei confronti della comunità lgbt».
Linee guida di che tipo?
«Non ricordo bene, ma ero indignata dal fatto che venissero contemplate, anche solo ipoteticamente, delle soluzioni “riparative”. Alcuni colleghi poi mi hanno raccontato di aver ricevuto pressioni dalla dirigenza scolastica sul comportamento da tenere con gli studenti, “perché i maschi sono maschi e le femmine sono femmine”. Altre colleghe sono state importunate in modo sessista. Cose così. È grave che i dipendenti di un istituto, cattolico ma paritario, debbano sottostare a questo martellamento».
Poteva licenziarsi. Ci ha mai pensato?
«Beh, tutti abbiamo le bollette da pagare. Quando scegli di fare un lavoro come questo, non stacchi mai. Devi essere coerente. Insegno quello in cui credo: non giudicare nessuno, essere solidali, rispettare i principi della Costituzione».
E adesso?
«Adesso sono disoccupata. Non mi dispero, prima o poi un lavoro lo ritrovo. A scuola, naturalmente. È la mia vita».
A cosa pensa in questi giorni?
«Al fatto che in Italia la professionalità, la bravura, non conta niente. Quel che mi è successo è roba da Medioevo, paragonabile alle discriminazioni subite dagli ebrei o dai neri. E lo stesso vale per le donne lavoratrici che vogliono diventare mamme: lo possono forse comunicare con leggerezza al datore di lavoro, quando magari sono precarie? Credo di no».
Cosa si aspetta dal ministro dell’Istruzione?
«Un reale controllo sui finanziamenti erogati alle scuole paritarie. Ce ne sono alcune che non li meritano. Voglio solo coerenza ».


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