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«Io preside e i premi ai migliori: si rischia la guerra tra i prof»

«Anche la chiamata diretta rischia di non essere possibile: pioveranno ricorsi»

15/03/2015
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Corriere della sera

Orsola Riva

Ci hanno chiamato in tutti i modi: presidi leader, presidi manager. Adesso va di moda il preside sindaco. Sono 15 anni che l’autonomia scolastica è ferma ai nastri di partenza e noi dirigenti abbiamo ormai i muscoli anchilosati a furia di aspettare lo sparo del via». Tommaso De Luca è il preside di una delle più antiche scuole d’Italia, l’Istituto tecnico Avogadro di Torino: duecento anni di vita, nobili padrini in casa del conte Camillo Benso di Cavour, una storia di rapporti consolidati con il Politecnico e con le aziende della città, una tradizione che va avanti a furia di innovazioni continue.

De Luca è uno degli 8.500 presidi a cui la riforma della scuola di marca renziana vorrebbe attribuire più poteri, e che poteri: elaborazione di un piano dell’offerta formativa triennale con ampi margini di manovra nella modulazione del curriculum degli studenti, chiamata diretta dei prof, assegnazione di un premio economico ai docenti in base ai risultati ottenuti.

 esempio. Poter scegliere l’insegnante più adatto alle proprie esigenze didattiche sarebbe bellissimo. Ma prima bisognerebbe modificare il sistema di reclutamento, che funziona per classi di concorso che abilitano all’insegnamento di 3-4 materie diverse. Oggi se io ho bisogno di un docente di robotica e si presenta da me un ingegnere laureato in meccanica del tutto privo di competenze specifiche, non posso certo fare lo schizzinoso e mandarlo via. Quello esce dal mio ufficio e entra dal giudice del lavoro».

Il problema è che la chiamata diretta può funzionare nel privato, ma nella Pubblica amministrazione aprirebbe la strada a una marea di cause civili. Che nel 70 per cento dei casi si risolvono a vantaggio del ricorrente.

Anche sulla programmazione triennale De Luca ha dei dubbi di fattibilità: «Già oggi facciamo i salti mortali per riuscire a chiudere il bilancio di previsione a febbraio. Vuol dire 5 mesi dopo l‘inizio della scuola. Tanto ci vuole per riuscire ad accertare con sicurezza le risorse a disposizione. Il problema è che l’anno scolastico va dal 1°settembre al 31 agosto mentre quello finanziario dal 1° gennaio al 31 dicembre. Figuriamoci se dovessimo fare una programmazione triennale. Ci vorrebbe certezza di risorse da oggi al 2017…».

Ma il punto della riforma che suscita più perplessità in De Luca sono i premi ai prof decisi dal dirigente. E’ tutto quello che resta, per ora, del progetto iniziale di legare la retribuzione dei docenti oltre che agli scatti di anzianità anche al merito. I 200 milioni di «bonus» messi sul piatto all’ultimo dal governo lasciano anch’essi forti dubbi. «Si rischia la guerra del preside con il collegio docenti – dice De Luca -. E io non posso certo fare la Buona Scuola contro i miei professori, posso farla solo con loro». Non che il preside dell’Avogadro sia contrario alla valutazione dei docenti, tutt’altro, ma prima bisognerebbe fissare dei criteri generali in modo da ridurre al minimo il margine di arbitrarietà: «Difficile attribuire i risultati di una classe al singolo docente: troppe le variabili in gioco — spiega —. Diverso invece è il caso di un insegnante di inglese che si dà da fare per organizzare gemellaggi e scambi internazionali. Questo impegno aggiuntivo arricchisce oggettivamente l’offerta formativa e gli andrebbe riconosciuto economicamente».

Ma soprattutto De Luca insiste che la valutazione non può essere una procedura tutta interna alla scuola. «Il preside può pesare solo per una piccola parte. Il grosso dev’essere affidato agli ispettori. Che devono valutare anche noi. Senza valutazione esterna sarebbe come immaginare di regolare il traffico senza vigili: ma si immagina cosa succederebbe se quando uno passa con il rosso toccasse a lui darsi la multa e togliersi i punti dalla patente?».

«Cose meritorie sulla carta — commenta De Luca —. Sempre, però, che si riescano a fare. Troppe volte un disegno di legge è uscito snaturato dal dibattito in Parlamento. E poi ci sono molti aspetti ancora da chiarire. La chiamata diretta, per esempio. Poter scegliere l’insegnante più adatto alle proprie esigenze didattiche sarebbe bellissimo. Ma prima bisognerebbe modificare il sistema di reclutamento, che funziona per classi di concorso che abilitano all’insegnamento di 3-4 materie diverse. Oggi se io ho bisogno di un docente di robotica e si presenta da me un ingegnere laureato in meccanica del tutto privo di competenze specifiche, non posso certo fare lo schizzinoso e mandarlo via. Quello esce dal mio ufficio e entra dal giudice del lavoro».

Il problema è che la chiamata diretta può funzionare nel privato, ma nella Pubblica amministrazione aprirebbe la strada a una marea di cause civili. Che nel 70 per cento dei casi si risolvono a vantaggio del ricorrente.

Anche sulla programmazione triennale De Luca ha dei dubbi di fattibilità: «Già oggi facciamo i salti mortali per riuscire a chiudere il bilancio di previsione a febbraio. Vuol dire 5 mesi dopo l‘inizio della scuola. Tanto ci vuole per riuscire ad accertare con sicurezza le risorse a disposizione. Il problema è che l’anno scolastico va dal 1°settembre al 31 agosto mentre quello finanziario dal 1° gennaio al 31 dicembre. Figuriamoci se dovessimo fare una programmazione triennale. Ci vorrebbe certezza di risorse da oggi al 2017…».

Ma il punto della riforma che suscita più perplessità in De Luca sono i premi ai prof decisi dal dirigente. E’ tutto quello che resta, per ora, del progetto iniziale di legare la retribuzione dei docenti oltre che agli scatti di anzianità anche al merito. I 200 milioni di «bonus» messi sul piatto all’ultimo dal governo lasciano anch’essi forti dubbi. «Si rischia la guerra del preside con il collegio docenti – dice De Luca -. E io non posso certo fare la Buona Scuola contro i miei professori, posso farla solo con loro». Non che il preside dell’Avogadro sia contrario alla valutazione dei docenti, tutt’altro, ma prima bisognerebbe fissare dei criteri generali in modo da ridurre al minimo il margine di arbitrarietà: «Difficile attribuire i risultati di una classe al singolo docente: troppe le variabili in gioco — spiega —. Diverso invece è il caso di un insegnante di inglese che si dà da fare per organizzare gemellaggi e scambi internazionali. Questo impegno aggiuntivo arricchisce oggettivamente l’offerta formativa e gli andrebbe riconosciuto economicamente».

Ma soprattutto De Luca insiste che la valutazione non può essere una procedura tutta interna alla scuola. «Il preside può pesare solo per una piccola parte. Il grosso dev’essere affidato agli ispettori. Che devono valutare anche noi. Senza valutazione esterna sarebbe come immaginare di regolare il traffico senza vigili: ma si immagina cosa succederebbe se quando uno passa con il rosso toccasse a lui darsi la multa e togliersi i punti dalla patente?».


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