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«Investite nella scuola: è la miglior scelta per l’Italia»

Milesi-Ferretti (Fmi): non pensate solo ai prossimi anni

22/01/2020
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Corriere delle Alpi
F. Fub.

Gian Maria Milesi-Ferretti è vicedirettore della Ricerca al Fondo monetario internazionale, numero due della capa-economista Gita Gopinath. A Davos ha portato il World Economic Outlook, il rapporto sulle prospettive globali che in buona parte ha scritto lui stesso e tratteggia una ripresa globale ancora debole. Dell’Italia (da cui viene) non vuole parlare nei dettagli perché, spiega, una missione del Fondo è al lavoro a Roma in questi giorni. Ma Milesi-Ferretti vede una serie di fattori che si alimentano a vicenda: in Italia le magre prospettive di crescita alimentano una fuga dei cervelli che frena la produttività, riducendo ancora di più le prospettive di crescita. Questa — è il suo messaggio — resta la spirale da spezzare.

L’Fmi vede nel 2020-21 una crescita dei Paesi ricchi sotto a quella già ridotta del 2019. È una stagnazione secolare?

«C’è stato un rallentamento dopo il picco ciclico del 2017, quando le economie avanzate erano cresciute a ritmi sostenuti. L’intensità dell’espansione l’anno scorso è stata limitata da vari fattori: le tensioni commerciali non hanno aiutato, c’è stata una recessione del settore manifatturiero e molti Paesi emergenti sono andati molto peggio del solito. Iran, Argentina e Turchia hanno avuto delle crisi, per non parlare del Venezuela. Ma anche economie importanti come Messico, Brasile e India sono rimaste molto sotto i loro standard. È stato un grosso indebolimento, speriamo episodico».

Voi non prevedete un’accelerazione…

«Ci sono tassi di crescita deboli nei Paesi avanzati dovuti alla demografia e alla produttività, che avanza molto poco. Si discute da 10 anni se le nuove tecnologie genereranno un’accelerazione della produttività, ma ancora non si nota. Paesi avanzati hanno tassi di disoccupazione molto bassi: non solo la Germania o gli Usa, anche la Gran Bretagna e il Giappone».

Chiedete che i Paesi ad alto debito risanino per prepararsi alla prossima frenata. Pare dedicato all’Italia…

«Per i Paesi con debito elevato e potenziali vulnerabilità è importante non perdere di vista il quadro di fondo. Ora i mercati sono molto ottimisti per fortuna, gli spread bassi e questo aiuta. Ma con tutte le tensioni che ci sono — geopolitiche, commerciali o di altro tipo — è importante una strategia di medio periodo che porti a una riduzione del debito».

Per quali Paesi vale?

«L’Italia, certo, ma qualcosa di simile si applica a Brasile, India, Spagna. Bisogna ridurre il debito e farlo in un modo che limiti l’impatto negativo sulla domanda con una ricomposizione della spesa e delle imposte».

Come è possibile farlo?

«Bisogna scegliere misure di spesa che aumentino il potenziale dell’economia, per esempio investendo nelle infrastrutture».

Allora bisogna ridurre altre spese. Quali?

«Sicuramente la spesa corrente nel caso dell’Italia è elevata e intervenire su questi aspetti potrebbe aprire spazi per spendere di più in aree dove i rendimenti siano più elevati. Ma, appunto, c’è bisogno di una strategia chiara sulla spesa corrente».

Bassa natalità ed emigrazione giovanile spiegano il ritardo di crescita dell’Italia?

«Non credo sia solo questo, anche perché i fattori che lei ricorda non sono indipendenti dal resto. Il basso livello di fiducia nella crescita e politiche per la famiglia non molto sviluppate contribuiscono a spiegare la bassa natalità. E le dinamiche dell’emigrazione e dell’immigrazione riflettono le prospettive economiche. In termini assoluti non credo che il saldo migratorio sia negativo. Ma se si vede chi lascia l’Italia e chi arriva, in termini di capitale umano non abbiamo una bilancia molto favorevole. Guardando avanti, questo non aiuta il tasso di crescita della produttività e dunque la crescita futura».

Cioè è un fenomeno che si autoalimenta?

«Proprio così. La sfida è di migliorare la mobilità sociale e investire su educazione. Molto del capitale nelle economie contemporanee sta diventando intangibile. L’Italia deve guardare a problemi che vanno al di là dell’orizzonte di pochi anni a venire».