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Insegnate l’ottimismo digitale

La vera sfida per chi sale in cattedra oggi è di convincere i ragazzi a salvare il mondo Senza temere il web e le nuove tecnologie

17/09/2019
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la Repubblica

Riccardo Luna

Cara professoressa (e caro professore), mi scuso per il disturbo, avrete già tanti problemi, l’inizio dell’anno scolastico è sempre un mezzo disastro, come se fosse un imprevisto, e voi siete soli a fronteggiarlo. La prima cosa che vorrei dirvi è grazie. Ma ce n’è un’altra che richiede qualche parola in più. Vorrei che insegnaste ai nostri figli qualcosa che noi stessi abbiamo perduto da un pezzo: l’ottimismo. Non quello facile, superficiale, a buon mercato che tanti danni ha fatto. Mi riferisco a uno slancio vitale profondo che viene dalla storia. A quella forza inarrestabile che come umanità ci ha portato fin qua e che può convincere gli studenti che, ancora una volta, nonostante tutto, domani sarà migliore se davvero lo vorranno. Lo so, è difficile. Continuano a sentire da noi adulti che non hanno futuro, che non troveranno lavoro, che il mondo va a rotoli, e quando provano a informarsi si imbattono solo in notizie che li fanno arrabbiare o spaventare, perché sono queste le cose che fanno notizia di solito. E quando entrano a scuola è come se facessero un viaggio nel tempo: sono le stesse scuole, le stesse aule, a volte gli stessi banchi, dove andavamo noi e prima i nostri genitori. Anche certe lezioni rischiano di sembrare datate per chi vive con un telefonino in mano. Deve essere come entrare in un film in bianco e nero: poi ci chiediamo perché passano il tempo a farsi selfie. Almeno fotografano qualcosa di bello.

In realtà sono spaventati, lo vedete anche voi vero? Hanno paura di aver perso il futuro. Eppure i ragazzi che avete davanti sono la prima generazione nata in un mondo connesso da Internet. Certo, per molti di loro vuol dire che possono filmarsi mentre ballano su Tik Tok o sfidarsi a distanza giocando a Fortnite . Ma Internet è molto di più. È soprattutto due cose: accesso a tutte le informazioni che vogliamo e possibilità di raggiungere chiunque in un istante. Noi ce lo ricordiamo com’era fare una ricerca sulla Treccani quando non c’era Google; e contattare qualcuno prima di Facebook, consultando quel librone misterioso che era l’elenco del telefono di una città. Quanto era faticoso e quanto tempo ci voleva per fare quello che oggi si ottiene con un clic. Ci pensate mai a cosa può combinare un ragazzo o una ragazza con questa leva portentosa? Greta Thunberg a 16 anni ha imposto il tema del cambiamento climatico a partire dalle foto che posta ogni venerdì sul suo profilo Instagram. Sempre selfie sono, ma dipende da che storia racconti. Non c’è tempo da perdere. Non sono troppo giovani per cambiare il mondo, Internet è un formidabile acceleratore di conoscenza. Qualche anno fa feci una ricerca per capire a quale età fossero state realizzate le invenzioni che ci hanno cambiato la vita, come l’aereo, il cinema, la penicillina, cose così, epocali; e avevo scoperto che sebbene l’aspettativa di vita si sia allungata, gli inventori si rivelano sempre prima. Albert Einstein aveva appena 24 anni quando pubblicò le sue tesi più importanti sull’universo; e aveva la stessa età di Stephen Hawking quando uscì la sua ricerca sulle geometrie spazio temporali e i buchi neri. E se parliamo del web, molte startup sono fondate anche prima di compiere 20 anni. L’essenziale è invisibile agli occhi di chi ha i sogni alle spalle.

Ma c’è una cosa che devono capire subito: il futuro non è una partita da giocare da soli. Mi spiego. Lasciamo stare per un istante il lato oscuro della rete, che pure esiste. Sì certo, la usano i terroristi, i violenti, i molestatori. Ma Internet è soprattutto la prima "arma di costruzione di massa", ovvero consente di unirsi e creare in un baleno reti globali per raggiungere obiettivi altrimenti irraggiungibili. Le regole sono diverse da Hunger Games , un film che pure ai ragazzi è piaciuto parecchio. Ma nella vita non vinceranno nulla eliminando gli altri; vinceranno creando connessioni. Legami. Ponti.

Questa sarà la prima generazione a vivere con i robot, con auto che si guidano da sole, droni al posto dei postini, una intelligenza artificiale diffusa, la prima ad andare su Marte probabilmente per colonizzarlo. Traguardi meravigliosi che solo mezzo secolo fa erano confinati ai libri di fantascienza. Ma li attendono domande ancora più grandi: che lavori faremo? Come impedire all’intelligenza artificiale di farci del male? Come nutrire e accudire una umanità che campa più di cento anni? Abiteremo lo spazio? Tocca a loro trovare le risposte. E trovare la soluzioni a due fardelli che gli lasciamo in eredità: la diseguaglianza che aumenta ovunque e il cambiamento climatico. Abbiamo gli anni contati se non cambiamo il modello di sviluppo. E non possiamo farlo noi, i problemi non si risolvono con le regole di chi li ha creati. Possono però farlo loro.

Per questo cara professoressa, caro professore, la sfida che avete davanti non è salvare le nuove generazioni da una vita senza futuro, ma convincerli che possono salvare noi. Assieme all’ottimismo, vi chiedo di trasferire loro un ultimo concetto non banale. Non è vero che lasciamo un mondo a pezzi. La vita su questo pianeta è molto migliore di un secolo fa. Se dovessimo fare un unico giornale per raccontare gli ultimi cento anni il titolo principale non sarebbe una guerra, una strage, una epidemia: sarebbe il benessere diffuso.

Tre rivoluzioni industriali ci hanno portato fin qui e il motore di tutto è stata la scienza. Studiare, imparare, questo ha sempre fatto la differenza. Se lo capiscono, è fatta. Buona fortuna.