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Insegnanti trasferiti, l’algoritmo non è la legge

Sentenza storica del Tar del Lazio. L'ordine giuridico e le disposizioni amministrative non possono essere sottomesse all’ordine del calcolo. Una decisione che può riguardare molti altri campi dove scelte impersonali, non trasparenti e immotivate la fanno da padrone

04/10/2019
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il manifesto

Teresa Numerico

È stata depositata dal Tar Lazio una sentenza a suo modo storica nella quale si afferma che gli algoritmi non possono mai competere con gli esseri umani nel prendere decisioni che riguardano le persone. La sentenza ha sanzionato una decisione di trasferimento per alcuni docenti della scuola.

Una decisione di trasferimento dalla Puglia alla Lombardia presa da un algoritmo usato dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca per gestire il processo di mobilità nazionale straordinaria della docenza scolastica nel 2016.

Il dispositivo accoglie «l’argomento secondo cui è mancata nella fattispecie una vera e propria attività amministrativa, essendosi demandato a un impersonale algoritmo lo svolgimento dell’intera procedura di assegnazione dei docenti alle sedi disponibili».

L’ALGORITMO predisposto per valutare le domande di trasferimento dei docenti avrebbe presentato profili di disparità di trattamento. Inoltre il collegio giudicante valuta che, per quanto la procedura amministrativa possa essere ampia, complessa, coinvolgere molte persone e vaste aree territoriali, niente dà all’amministrazione il diritto di devolverla a un meccanismo informatico o matematico.

L’algoritmo in questione – ma il giudizio sembra includere qualsiasi dispositivo simile – viene dichiarato «del tutto impersonale e orfano di capacità valutazionali delle singole fattispecie concrete, tipiche invece della tradizionale e garantistica istruttoria procedimentale che deve informare l’attività amministrativa».

PROSEGUENDO nella motivazione la sentenza afferma che l’algoritmo non solo non possa garantire «il canone di trasparenza e di partecipazione procedimentale, ma anche l’obbligo di motivazione delle decisioni amministrative».

L’ASSENZA di una motivazione non permette, cioè, né all’interessato di difendersi dal possibile abuso, né al giudice di comprendere la struttura logico-giuridica della motivazione per valutarla come prevede la Costituzione.

LA MOTIVAZIONE del Tar è interessante perché al di là della fattispecie concreta, solleva alcune questioni di principio che meritano di essere approfondite.

Un meccanismo informatico nella forma di un algoritmo per la valutazione delle domande di trasferimento è un insieme di regole per analizzare le richieste e modulare le decisioni secondo criteri stabiliti dalle istruzioni del programma. Tali regole, però, non sono rese pubbliche, né possono di per sé essere sottoposte a valutazione, né sul metodo né sul risultato ottenuto.

ANCHE il sistema del diritto è un insieme di regole stabilite da leggi e criteri prestabiliti per una loro valutazione da parte di attori come le amministrazioni e i giudici che prendono e valutano i provvedimenti nel rispetto dell’ordinamento vigente. Il diritto e l’informatica potrebbero sembrare sistemi analoghi: regole, procedure e vincoli per prendere decisioni che portano a esiti certi. Anche Lawrence Lessig, un famoso costituzionalista americano, nel libro Cultura Libera (2004) aveva sostenuto che il codice, inteso come software, fosse la legge.

Alain Supiot, giurista francese, docente al Collége de France ne La Gouvernance par le nombres (Arthème Fayard) suggerisce che il diritto è il frutto di una società eteronoma. Esiste un’autorità che lo pone. La valutazione, l’interpretazione delle regole (le leggi, e i provvedimenti) avviene secondo principi che non provengono dalle leggi, ma di cui le leggi sono eventualmente portatrici.

È POSSIBILE, infatti, che secondo il diritto, alcune leggi possano essere considerate illegittime e quindi abrogate, perché lesive dei principi Costituzionali. L’interpretazione, che i pubblici ufficiali nella forma dei dipendenti pubblici o i giudici esercitano rispetto alle leggi, è subordinata a preservare il diritto in questo senso. Non si tratta di una regolazione tra interessi diversi. Le persone – entro certi ruoli istituzionali – interpretano, ma lo fanno, rispettando vincoli eteronormativi collettivamente stabiliti di cui sono depositarie pro tempore.

SUPIOT suggerisce, invece, che quando a presiedere la decisione ci sono meccanismi tecnici e, quindi, metodi numerici e regole algoritmiche, queste non prendono il loro valore dall’esterno. «Prodotto dalla rivoluzione digitale, l’immaginario del governo attraverso i numeri è quello di una società senza eteronomia, dove la legge cede il posto a un programma e la regolamentazione a un regolazione».

I meccanismi algoritmici che guidano le decisioni computerizzate non possono essere discussi perché non esiste un criterio esterno al quale si ispirano e che possa eventualmente essere messo in discussione. Non è possibile mostrarne la logica, né offrire una spiegazione del risultato, come segnalano i giudici del Tar Lazio.

SE L’ORDINE giuridico venisse o verrà sottomesso all’ordine del calcolo, tale sottomissione avverrebbe o avverrà senza garanzia nell’interpretazione e senza mettere in discussione la normatività di una tecnocrazia, il cui principio è in se stessa. Una regola tecnica senza un principio esterno che la garantisca non è altro che un arbitrio. L’esito paradossale di questo spostamento all’ordine del calcolo per la presa di decisione pubblica è una tribalizzazione della società. Gli individui sono costretti ad affidarsi ad altri e al loro potere, essendo completamente dipendenti da chi li garantisce e chiedendo completa obbedienza alle persone che da loro dipendono, in una piramide di assoluta subalternità, che non corrisponde allo stato di diritto, ma al Feudalesimo. Al di fuori di una possibilità interpretativa eteronoma della regola, vige la legge del più forte e la conseguente organizzazione per bande per proteggersi dalla violenza, essendo pronti a esercitarla.


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