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In morte della didattica?

di Aluisi Tosolini

03/01/2015
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La Tecnica della Scuola

In questi giorni ho letto con attenzione le 70 pagine dell’ampio documento che presenta il risultati della consultazione sulla Buona Scuola. Moltissimi sono gli aspetti che meritano una analisi attenta e una altrettanto attenta riflessione.

Ma, come ben si sa, ognuno guarda ai documenti a partire dai propri interessi specifici, dai propri punti di vista, dagli ambiti in cui è impegnato. E così ho provato a fare io, iniziando dal tema della didattica.

Parola che nel documento si ritrova in ben 12 pagine, anche se alcune ricorrenze non hanno particolare connessione con la didattica intesa come metodo (e men che meno con la didassi, ovvero con la concretezza della prassi educativa).

Così, eliminando “continuità didattica” (riferita al piano assunzioni, pag. 31 o alla permanenza del docente di sostegno sulla stessa classe, pag. 64), “impresa didattica” (pag. 56 sull’alternanza scuola lavoro), “attività didattica” (pp. 48 e 61 - intesa come generica attività svolta a scuola ) e considerando che le pagine 28 e 43 sono in realtà un doppione, l’analisi delle ricorrenze del termine didattica si riduce ad un numero molto limitato di casi. Vediamoli uno a uno.

L’idea di didattica presente nel documento di sintesi sulla Buona Scuola

  1. Organico funzionale (pag. 32): si evidenzia la necessità di rafforzare la didattica nelle classi più “problematiche” o con alunni con bisogni speciali;
  2. Percorso formativo / abilitazione (pag. 33): l’89% di quanti vogliono riformare il percorso di formazione dei docenti evidenzia la necessità di una didattica innovativa che includa lingua e tecnologie informatiche;
  3. Formazione e carriera (pag. 41): si sottolinea, come esempio, la necessità di tener conto del “ruolo didattico” del docente nella sua evoluzione di carriera;
  4. Formazione docenti (pag 43): didattica ricorre qui ben tre volte: da un lato si chiede una formazione metodologica più centrata sulla didattica che viene poi definita anche “innovativa” e “laboratoriale”;
  5. Cosa conoscere di una scuola? (pag 45): si chiede di conoscere gli “esiti didattici” di una scuola e le esperienze didattiche dei docenti;
  6. Competenze (pag. 52): si sostiene che “non sono gli insegnamenti ad incrementare la creatività, ma il metodo didattico” .

Come si può vedere si tratta per lo più di frasi fatte, di affermazioni che utilizzano il buon senso comune. Ad esempio nel caso 1. “rafforzare la didattica” può voler dire sia ricorrere alle compresenze che prevedere l’interventi di docenti “esperti”.

Il concetto di "esiti didatti di una scuola" (caso 5) a me, onestamente, risulta poi di difficile comprensione, a meno che non si intendano gli esiti (i voti, i promossi, i bocciati, ecc) degli studenti come fa, ad esempio, il progetto Eduscopio della Fondazione Agnelli.

Dizioni quali "didattica innovativa" e  "didattica laboratoriale" risultano far parte ancora di un universo semantico abbastanza vago ma qualcosa si inizia ad intuire.

Decisamente chiarissima, invece la affermazione di pagina 52 che – a mio parere – può essere applicata a tutta l’attività didattica: “non sono gli insegnamenti ad incrementare la creatività, ma il metodo didattico”. Affermazione che ha anche il merito di collegare metodo con didattica, restituendo così la didattica stessa al suo reale significato.

Buona Scuola e didattica

In sintesi: la buona scuola può prescindere dalla didattica? La risposta parrebbe ovvia: no.

E allora perché si ha l’impressione, leggendo il documento che riporta gli esiti della consultazione nazionale, che la didattica non sia certo una dimensione centrale del rinnovamento necessario della scuola italiana?

Non ho risposte. Se non, forse, quella di un mio maestro, Lucio Guasti, che una decina di anni fa con assoluta chiarezza e lucidità scriveva:

“Quando si intende accentuare l’aspetto metodologico nel campi dell’insegnamento, si è immediatamente investiti dall’accusa di metodologicismo. Una accusa pesante perché lascia intendere che si voglia trascurare e mettere in secondo piano il contenuto. Anzi, si ha l’impressione che chi insiste sul metodo o sul processo metodologico venga travolto dall’insinuazione di voler introdurre nel curricolo una dimensione tecnico-strumentale a svantaggio di quella valoriale espressa dai contenuti. Tale insinuazione è sottile perché suggerisce che si voglia spostare l’asse del curricolo nel viscido campo della neutralità – o neutralismo valoriale - , quale più alta forma di perversione rispetto al valore educativo del contenuto. Il contenuto è sempre educativo, il metodo è sempre strumentale. Il metodo appartiene alla cultura dello strumento, il contenuto no. Se così fosse, perché mai una scuola che, per almeno un secolo di gloriosa storia, si è basata soltanto sulla cultura del contenuto ritiene, essa stessa, di non aver raggiunto i suoi obiettivi? La crisi della scuola, o la sua attuale difficoltà, non può essere imputata a una scelta prioritariamente metodologica che non è mai stata fatta.”

(L. Guasti, Insegnamento e apprendimento. Saggi sul metodo, Milano, Vita e Pensiero, 2002, pp.17-18)


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