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Il vanverismo pedagogico sulle indagini Ocse Pisa

Mila Spicola

06/12/2019
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L'Huffington Post

Oggi è stato presentato il rapporto dell’indagine #OcsePisa sulle competenze in lingua madre (per noi italiano), matematica e scienze dei 15enni di circa 68 Paesi dell’area Ocse. Non si differenziano di molto rispetto a quelli precedenti. Alcune considerazioni brutalmente semplificate, me ne scuso, perché la materia è complessa e tanti e tali sono i dati e le dimensioni da analizzare che già queste poche righe saranno incomplete).

No, non siamo peggiorati in lettura, fake news periodiche, e no, non è vero, come titolano tutti i siti che “i nostri quindicenni non sanno leggere”. E basta citare sempre la Cina che sta in cima. La Cina viene testata solo in alcune aree limitate, le più ricche e i quindicenni cinesi testati sono coloro che già hanno superato i terribili test che indirizzano verso i licei piuttosto che i professionali. Va da sé che nei Pisa vengono testati solo i liceali. Se noi testassimo solo i liceali di Trento saremmo più in alto di Cina, Canada, Finlandia ed Estonia, cioè i magnifici quattro, messi assieme.

I nostri quindicenni stanno dunque più o meno a metà classifica su 68 Paesi in lettura: circa il 23% ha basse competenze in comprensione di un testo (problema serio). Il 77% del campione italiano raggiunge il livello minimo di “competenza” in lettura, mentre l’“uno su venti” che vado leggendo qua e là, fa riferimento a lettori e lettrici eccellenti. Per gli adulti è uno su cento e il campione che raggiunge il livello minimo di competenza è meno della metà. 

Abbiamo forti divari e potremmo andare meglio, dovremmo andare meglio. Il che è un enorme problema. Ma concedetemi che non è lo stesso che dire che “i nostri quindicenni non sanno leggere”. Mentre è abbastanza vicino al vero dire che i nostri adulti non sanno leggere, vedi i Piaac.

A differenza che nell’indagine Ocse Pisa, dove in lettura i nostri quindicenni sono più o meno a metà classifica, l’indagine Ocse Piaac, che rileva le competenze in comprensione del testo della popolazione adulta, rileva che lì siamo ultimi. Il che potrebbe dare delle risposte ai miei dubbi riguardo chi scrive certi titoli e su cosa comprenda del rapporto Ocse Pisa, testo di media difficoltà, sempre che lo abbia letto, con tutto il rispetto.

Pone domande anche sullo stereotipo frequente del “ai miei tempi la scuola”. Ma, soprattutto, dovrebbe iniziare a far riflettere su una questione serissima e per nulla considerata, perché, mentre in tutti i Paesi abbiamo una cosina che si chiama life long learning, ovvero formazione permanente e continua, in Italia non esiste nulla di tutto ciò e i dati sull’analfabetismo funzionale della popolazione adulta sono davvero gravi, quelli sì, e potrebbero riguardare insospettabili professionisti che però non aprono un libro da venti anni.

Per tornare ai Pisa e ai quindicenni, il rapporto, anche questa volta è indicativo non tanto per i ritardi come Paese, quanto sugli enormi i divari del nostro sistema d’istruzione (tra nord e sud, tra centri e periferie, tra ricchi e poveri, tra tipi di scuole, licei, istituti tecnici e professionale) e a ciascuno di questi divari corrispondono dei motivi, sempre uguali, sempre immobili nel complesso: basso, diseguale e mal investimento nella scuola del nostro Paese.

Sostanzialmente rimane indietro chi è povero. Al Sud ci sono più poveri. I bimbi poveri non sono scemi o svogliati, sono semplicemente discriminati, dallo Stato, dalle amministrazioni, dalla politica. Specie al Sud. Questo dato è più o meno uguale da circa cento anni.

Anche se le indagini Pisa ci sono da una ventina d’anni, posso segnalarvi studi e scritti sempre simili che mettono in relazione i rendimenti con il condizionamento sociale, su tutti il testo del grande pedagogista Aldo Visalberghi, del 1964. Ma come si abbatte questo condizionamento che cade come una tegola sulla testa dei ceti meno abbienti? Con azioni di sistema e investimenti strutturali. Dando di più a chi ha di meno.

A chi è povero diamo di meno, invece, ieri come oggi. Meno nidi, meno scuola, zero tempo pieno, zero recupero scolastico (tema appaltato o alle lezioni private o al privato sociale non al sistema d’istruzione della Repubblica). Tanto i poveri non se ne lamentano. Poi però ce li ritroviamo a rovinare le classifiche degli Ocse Pisa, sti poveri.

Basta guardare le mappe di distribuzione di nidi e di tempo pieno e sovrapporle non a quelle di chissà che altro, ma alle mappe dei rendimenti scolastici e delle diseguaglianze economiche per area. 

L’ultima beffa viene segnalata qualche giorno fa da Marco Esposito sul Mattino di Napoli. Le percentuali di posti nido al Sud sono a una cifra, 5/8%, rispetto a regioni come l’Emilia Romagna dove si raggiunge quasi il 50%. Ogni anno lo Stato stanzia dei fondi statali proprio per i nidi grazie a una legge che aveva tra le finalità la “perequazione nazionale dell’offerta educativa per l’infanzia”, nella Conferenza Stato regione si definiscono ogni anno i criteri di ripartizione. 

Quest’anno la Sicilia non si è nemmeno presentata, risultato: i fondi andranno per lo più al Nord. Una sperequazione di fatto. La beffa. Non chiedetemi il perché: l’alleanza contro l’infanzia svantaggiata dentro lo Stato è potente e persistente. Chiedetelo al Presidente Musumeci, alleato di Salvini. Ottimo alleato direi. Poi però facciamo convegni su convegni contro la povertà educativa e bandi su bandi, del privato sociale vedi sopra. 

Eppure proprio le indagini Ocse Pisa mettono la frequenza al nido come una delle compensazioni più eficaci alle fragilità all’ingresso, capaci di rafforzare i rendimenti scolastici. Eppure Heckman ci ha vinto un Nobel, proprio dicendo che gli investimenti a maggior ritorno per uno Stato sono quelli compiuti sul capitale umano e quanto più precoci tanto più efficaci.

A noi non interessa, niente nidi. E nemmeno tempo pieno. Al Sud diffuso per il 4% dei bambini, in certe aree del Nord anche per il 75% dei bambini. Però, oddio!! Non sanno leggere!! Non stupiamoci, ve ne prego, del risultato.

Non servono dunque questi titoli, fuorvianti generalmente, densi di inesattezze, sul crollo del sistema scolastico, strillati ogni sei mesi, perché la situazione non è crollata, è stancamente uguale a sempre, ed è comunque inutile farlo in questo modo, se poi non vi sono scelte conseguenti. 

Serve un sistema finalmente riequilibrato, equo sull’offerta dei nidi e del tempo pieno, che tolga questi temi essenziali sia da attori esterni al sistema d’istruzione, sia dal mercato delle vacche delle conferenze dei disservizi. Che recuperi a scuola e con la scuola chi rimane indietro, non delegando al privato, frammentato e discontinuo, alle finte soluzioni delle bocciature (altra leggenda metropolitana: “in Italia non si boccia”, siamo tra i Paesi in cima per bocciature, sempre Ocse Pisa lo segnala non come una soluzione ma come una delle malattie del nostro sistema). Serve formare docenti per essere docenti e selezionarli per essere docenti. Costa. Costa molto ma molto di più non farlo. 

Riassumendo: non è vero che i quindicenni di oggi non sanno leggere. È vero che ci sono dei divari e ci restituiscono quasi matematicamente quanto diamo. È vero che il tema delle Ocse Pisa in Italia andrebbe declinato insieme alla lotta contro le diseguaglianze. La lotta per le classi è ancora oggi una lotta di classe. E se il linguaggio è vetusto non è colpa mia, è vetusto il modo con cui non lo si affronta.