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Il sapere finito in una crocetta

Più di sessantamila studenti si cimenteranno domani coni test di accesso ai corsi di medicina

07/04/2014
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Il Mattino

MassimoAdinolfi

Più di sessantamila studenti si cimenteranno domani coni test di accesso ai corsi di medicina. Insieme con le loro famiglie, questi studenti formano un numero non piccolo di persone che trascorreranno la giornata di oggi così come, presumo, hanno trascorso le scorse giornate in vista della prova, alla quale sono legate aspettative e ambizioni, speranze e apprensioni. Si tratta, almeno nelle aspirazioni, di una parte significativa della futura classe dirigente del Paese. Questa parte così significativa dovrà naturalmente sostenere un certo numero di esami e poi laurearsi; ma prima di ogni cosa dovrà superare i fatidici test. Cento minuti per rispondere a sessanta domande: una media di poco più di un minuto e mezzo a domanda. Per la verità, per la classe dirigente di domani, Platone il primo che abbia in Occidente fondato una scuola aveva immaginato un sistema formativo un po' diverso. Lasciamo perdere i dettagli: lui era convinto soprattutto che per le materie più importanti non si poteva mettere nulla per iscritto, figuriamoci se si potevano distribuire domande prestampate; bisognava invece discutere, confrontarsi, addirittura impegnarsi in una lunga convivenza. La verità sarebbe scoccata come una scintilla in mezzo a queste quasi sacre conversazioni. Ora, è vero che il suo modello di accademia è un po' lontano nel tempo e che comunque il filosofo ateniese non aveva il problema dell'università di massa. Niente grandi numeri: per lui, l'educazione superiore era una faccenda per poche anime dotate di buona natura e «affini à vero». E però sarebbe inorridito lo stesso à pensiero che oggi le anime giuste noi le cerchiamo sottoponendo loro dei quiz. Ed è molto complicato provare a dimostrargli che funziona. Secondo il ministro dell'Istruzione, invece, funziona. Anche se può funzionare meglio: quest'anno, per esempio, hanno tolto una domanda di cultura generale e un paio di domande di logica, per potenziare la preparazione sulle materie scientifiche: Ma a parte questi piccoli aggiustamenti, la selezione affidata ai quiz ha il pregio ha spiegato il ministro di rispecchiare in uscita i risultati del profitto scolastico che i candidati portano con sé in entrata. Così, se uno invece pensa che il pregio di un test di accesso ai corsi di medicina è la ricerca delle anime giuste è bello che spacciato. E va bene. Ma fra i lontani cenacoli spirituali dell'Accademia fondata da Platone, agli inizi della cultura occidentale, e le crocette da apporre ai quiz ministeriali corre una distanza così abissale, che uno vorrebbe augurarsi piuttosto qualche soluzione intermedia, di compromesso. O che perlomeno si rifletta un po' di più sul senso della conoscenza impartita nelle aule universitarie, prima di affidarsi ai test così come agli altri strumenti burocratici introdotti in tutti i gangli della vita universitaria: nella valutazione dei prodotti della ricerca, nell'abilitazione scientifica nazionale dei futuri docenti, nell'organizzazione dell'offerta didattica e così via. Non ci sono solo le statistiche, insomma. O i criteri quantitativi, o la standarci i zzazione delle procedure, o la misurazione in termini di finanziamenti e ricadute applicative. Altrimenti succede quel che succederà dopodomani con i test. Alla prova si accosteranno ragazzi che non hanno studiato chimica o matematica, biologia o fisica. No: hanno studiato i test. Il che vuol dire che con essi si formeranno non medici, ma forse, chissà, cultori di test: testicoli. I test sono diventati cioè una materia a sé stante. Così come la relativa preparazione. Il libro di testo è allora il libro che raccoglie tutti i test disponibili, passati presenti e futuri, e lo studio consisterà nel mandarli a memoria, nell'affinare la velocità di risposta, e nel provare magari a rispondere a domande del tipo: qual è l'espressione di significato contrario a «avere fegato»? -domanda che immagino assicurerà in futuro all'Italia la miglior scuola di trapianti. Che poi diciamo la verità: Platone sarà pure antiquato, ma forse tutti i torti non li aveva. Lui pensava che in cima alla conoscenza di una cosa non potessero esserci soltanto parole o definizioni, immagini o concetti (o risposte ai quiz), ma una certa qual maniera di cogliere la cosa stessa. E se non la specificava ulteriormente è proprio perché non la si poteva specificare, cioè mettere in formula e serrare in una definizione. Ci voleva occhio. Ora, affidatevi a un medico: vi basterà che vi riproduca tal quale la montagna di risposte esatte che si possono trovare in fondo a uno di questi manuali che fanno la fortuna delle scuole di preparazione ai test, oppure vi augurate che, in qualche modo, abbia occhio? E non c'è bisogno neppure di domandare ancora cosa mai sia quest'occhio, perché voi lo sapete e ognuno lo sa. Così come ogni docente sa riconoscere l'allievo bravo: non gli occorre mica di affidarsi a un qualche formulario. Così come ogni docente sa quali sono i suoi colleghi bravi: non gli serve mica un acronimo dietro il quale si nascondono procedure anodine, presuntamente oggettive ma in realtà semplicemente ottuse. Eppure continuiamo così: con i test, le crocette, le domande di cultura generale. Fuggendo il più lontano possibile da ogni vera questione circa il senso di quelle pratiche, circa il valore dell'insegnamento e della ricerca, e scansando il più possibile l'assunzione di responsabilità che sarebbe necessaria accompagnasse ogni scelta in materia di istruzione e formazione. Preferiamo che ci pensino i test. Che facciano tutto loro. E allora auguri, ragazzi: non siete in cattive mani, perché non siete in nessuna mano, perché più nessuno osa tenderne una.


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