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“Il rimedio alle diseguaglianze è investire nell’educazione”

L’INTERVISTA.IL PREMIO NOBEL ERIC MASKIN

09/10/2015
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la Repubblica

Eugenio Occorsio

«L’unica soluzione è investire nel capitale umano. È valido per tutti, Paesi industrializzati o in via di sviluppo ». Eric Maskin, classe 1950, docente a Harvard e premio Nobel per l’economia nel 2007, ne ha fatto una missione: perché la globalizzazione non riesce a diminuire le diseguaglianze? Così si chiama la sua teoria e così si intitola la conferenza che terrà stamattina all’Università di Siena nell’ambito delle “Hahn Lectures”.
Professore, il grande sogno della globalizzazione sembra essersi infranto. Davvero è solo una questione di formazione?
«Il 38% degli adulti africani sono analfabeti, con punte in certi Paesi del 50%. Chi è privo di un’adeguata preparazione è inesorabilmente escluso dal processo di globalizzazione. Perciò i governi, dei Paesi in via di sviluppo in primis ma anche di quelli industrializzati, devono preoccuparsi innazitutto, prima delle infrastrutture, prima di inseguire qualsiasi altro obiettivo, dell’istruzione e del training della loro gente. Qualche successo c’è: nel 1970 il 30% dei bambini del Sudamerica andava alla scuola primaria, oggi l’88%. Il fatto è che l’attuale ondata di globalizzazione è molto diversa da quelle che l’hanno preceduta».
Perché, nelle precedenti occasioni la preparazione era meno importante?
«Sì. La globalizzazione di oggi è molto diversa da quelle della prima metà del XIX secolo, portata dal colonialismo, o dei primi anni del XX secolo quando alla vigilia della prima guerra mondiale si respirava un diffuso benessere. Allora, nei Paesi più poveri del mondo venivano ingaggiate grandi masse di persone con scarsa o nulla preparazione per metterle al lavoro nei campi, nelle fabbriche, nelle miniere. Con la globalizzazione del XXI secolo, è tutta un’altra cosa. Viene richiesta preparazione tecnologica, si sono innalzati gli standard di selezione. È quella che gli economisti chiamano skill
bias, pregiudizio verso chi non è preparato. Bisogna essere sempre all’altezza per inserirsi nell’ideazione di un prodotto in Europa, nella sua costruzione in Malesia, nella sua vendita in America. Chi non ha studiato è fuori dal processo produttivo e vede il suo status allontanarsi irrimediabilmente da quello di chi invece, più fortunato, è riuscito a prepararsi adeguatamente. Così si accentuano le diseguaglianze, non a torto identificate con il fallimento del processo di globalizzazione. E contro questa deriva devono battersi tutti coloro che hanno a cuore una società più giusta ed equa».
Purtroppo la formazione costa. E, dato per illusorio che centinaia di migliaia di persone riescano a riscattarsi con le proprie forze, cosa bisogna fare?
«Qui torniamo alle responsabilità dell’Occidente, o perlomeno di quanti ritengono che il grado di globalizzazione sia insufficiente e quello di diseguaglianza inaccettabile. Una situazione spesso esasperata dagli stessi imprenditori, che non trovano vantaggioso spendere tanto per i propri dipendenti, siano essi localizzati nel cortile di casa o in qualche remoto Paese, perché una volta in possesso di skill migliori vorranno guadagnare di più o, peggio, migrare verso la concorrenza. Non è un problema che il mercato può risovere da solo. L’unica via, visto che i governi non possono prendersi in carico per intero la formazione, è concedere agli imprenditori, e a volte addirittura alle famiglie perché non mandino a sgobbare i figli piccoli, sgravi fiscali tali da rendergli conveniente investire nel capitale umano. Parlo dei governi del “primo mondo” così come di quelli emergenti: nel secondo caso si possono dare fondi di aiuto con l’accortezza di verificare che non vadano a ingrassare sanguinari dittatori o agguerriti eserciti».

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