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Il referendum e l'istruzione

di Osvaldo Roman

23/05/2016
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ScuolaOggi

Uno degli assi portanti della normativa sottoposta al referendum costituzionale confermativo è indubbiamente quello costituito dalla radicale revisione del Titolo V così come realizzato con la legge di riforma n.3 del 2001.

L’argomento principe per abolire, con la legislazione concorrente attribuita alle Regioni, anche quel riparto delle competenze fra Stato e Regioni definito in quella circostanza in materia di istruzione è stato, e rimane nel corso della campagna elettorale, quello della semplificazione del meccanismo di gestione dei poteri legislativi che aveva portato all’accumularsi di un consistente contenzioso di fronte alla Corte costituzionale.

Non sorprende l’approccio populistico della linea sostenuta dalla composita maggioranza governativa caratterizzato dalla necessità di individuare i capri espiatori, di semplificare l’analisi delle cause della crisi di un determinato settore, ingigantendo quelle più facili da agitare, tralasciando quelle più complesse e quasi sempre legate alla mala politica governativa. Tale approccio anche in questa vicenda, come lo è stato in quella della Buona scuola, ha rappresentato il marchio di fabbrica del renzismo. Nella Buona scuola erano gli insegnanti e il loro comportamento la causa principale delle disfunzioni e delle arretratezze del sistema scolastico, da curare con il manganello dei presidi, nella gestione complessiva della pubblica amministrazione e nel caso in esame di quella scolastica, le cause delle disfunzioni non risiederebbero nelle inerzie della gestione governativa nel processo di decentramento dello Stato ma nelle iniziative delle Regioni e nelle stesse leggi e norme costituzionali che lo hanno concepito.

 Si risolve il contenzioso eliminando il problema, cancellando la definizione del nuovo assetto delle competenze , che lo ha generato. Il guaio in questo tipo di approccio è che non  propone un nuovo reale assetto istituzionale nello svolgimento di così complesse attività.

Si ritiene semplicemente possibile che la macchina dell’amministrazione pubblica possa funzionare tornando ai Ministeri anzi, sempre più spesso alle Cabine di regia preso la Presidenza del Consiglio, che espropriano delle loro competenze anche i ministeri.

Nelle scuola si pensa ad un sistema centralistico burocratico che ignorando la partecipazione democratica dei cittadini (la riforma degli organi collegiali non è stata neppure accennata nelle legge 107/15) e il ruolo fondamentale delle autonomie locali possa gestire una realtà complessa come quella dell’istruzione esclusivamente dal centro con l’ausilio di qualche format telematico.

Per questa via si delinea e si conferma quel modello autoritario di Premierato di fatto che si vuole introdurre nel nostro ordinamento anche con il nuovo sistema elettorale e con la riforma del Senato.

Sorprende che i padri fondatori del processo di decentramento e di autonomia della pubblica amministrazione, che hanno così largamente contribuito alla costruzione legislativa e istituzionale del processo autonomistico, i vari Bassanini e Cassese e tutti quelli che hanno fatto affari sulla relativa narrazione,  non abbiano fatto una pubblica abiura delle loro posizioni e del loro conseguente operare.

Non basta frequentare la Leopolda per far capire all’opinione pubblica il senso e il valore delle loro critiche a quei modelli che hanno così validamente contribuito a costruire.

E’ stato al riguardo molto significativo il loro silenzio in occasione della più colossale operazione di asservimento al governo della macchina amministrativa dello Stato, mai realizzata nel nostro Paese, come quella avvenuta in occasione della consultazione sulla cosiddetta Buona scuola.

La giurisprudenza costituzionale

Per avere una esatta cognizione dei problemi e delle difficoltà che potrebbero derivare  dal nuovo assetto costituzionale oggetto del referendum  si deve prendere in esame, sia pure per sommi capi, la giurisprudenza della Corte Costituzionale, definita successivamente alla riforma del Titolo V della Parte seconda della Costituzione.

Questa giurisprudenza aveva individuato i criteri del riparto delle competenze tra lo Stato e le Regioni nella materia dell’istruzione, allo scopo di porre una linea di confine tra i titoli di competenza esclusiva e concorrente che erano stati entrambi previsti nell’art. 117 della Costituzione.

Tali criteri sono stati illustrati nella sentenza n. 147 del 2012. Questa sentenza si ricollega ad una serie di sentenze, risalenti già al 2004, che  avevano chiarito la differenza esistente tra le norme generali sull'istruzione, riservate alla competenza generale dello Stato ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera n), Cost. e i principi fondamentali della materia istruzione, che l'articolo 117, terzo comma, Cost. devolve alla competenza legislativa concorrente.

Con  la sentenza n. 62 del 2013 la Corte è tornata a tracciare la differenza esistente tra le norme generali sull’istruzione e i principi fondamentali della materia, mantenendo piena adesione alla pregressa giurisprudenza costituzionale. Con tale sentenza la Corte ha ricordato che rientrano «tra le norme generali sull’istruzione “quelle disposizioni statali che definiscono la struttura portante del sistema nazionale di istruzione e che richiedono di essere applicate in modo necessariamente unitario e uniforme in tutto il territorio nazionale, assicurando, mediante una offerta formativa omogenea, la sostanziale parità di trattamento tra gli utenti che fruiscono del servizio dell’istruzione (interesse primario di rilievo costituzionale), nonché la libertà di istituire scuole e la parità tra le scuole statali e non statali”. Sono, invece, espressione di principi fondamentali della materia dell’istruzione “quelle norme che, nel fissare criteri, obiettivi, direttive o discipline, pur tese ad assicurare la esistenza di elementi di base comuni sul territorio nazionale in ordine alle modalità di fruizione del servizio dell’istruzione, da un lato, non sono riconducibili a quella struttura essenziale del sistema d’istruzione che caratterizza le norme generali sull’istruzione, dall’altra, necessitano, per la loro attuazione (e non già per la loro semplice esecuzione) dell’intervento del legislatore regionale”

La sentenza n. 34 del 2005 ricorda come la normativa antecedente alla riforma del Titolo V prevedeva la competenza regionale in materia di dimensionamento delle istituzioni scolastiche, e quindi postulava la competenza sulla programmazione scolastica di cui all'art. 138 del D.Lgs. n. 112 del 1998 e sia quindi da escludersi che il legislatore costituzionale del 2001 "abbia voluto spogliare le Regioni di una funzione che era già ad esse conferita".

Nelle sentenze n. 200 del 2009 e n. 92 del 2011 era stata ulteriormente chiarita la differenza esistente tra le norme generali sull'istruzione - riservate alla competenza esclusiva dello Stato ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera n), Cost. - e i principi fondamentali della materia istruzione, che l'articolo 117, terzo comma, Cost. devolve e attribuisce alla competenza legislativa concorrente.

Nella sentenza n. 200 si enucleava una chiara definizione degli ambiti riconducibili al "concetto" di "norme generali sull'istruzione", come si ricava dalla lettura del complesso delle disposizioni costituzionali di cui agli articoli 33 e 34 Cost.: in questi articoli il legislatore costituzionale ha inteso individuare le caratteristiche basilari del sistema scolastico, relative: alla istituzione di scuole per tutti gli ordini e gradi (art. 33, secondo comma, Cost.); al diritto di enti e privati di istituire scuole e istituti di educazione, senza oneri per lo Stato (art. 33, terzo comma, Cost.); alla parità tra scuole statali e non statali sotto gli aspetti della loro piena libertà e dell'uguale trattamento degli alunni (art. 33, quarto comma, Cost.); alla necessità di un esame di Stato per l'ammissione ai vari ordini e gradi di scuola o per la conclusione di essi (art. 33, quinto comma, Cost.); all'apertura della scuola a tutti (art. 34, primo comma, Cost.); alla obbligatorietà e gratuità dell'istruzione inferiore (art. 34, secondo comma, Cost.); al diritto degli alunni capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, di raggiungere i gradi più alti degli studi (art. 34, terzo comma, Cost.); alla necessità di rendere effettivo quest'ultimo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie e altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso (art. 34, quarto comma, Cost.). In altri termini, il legislatore costituzionale ha assegnato alle prescrizioni contenute nei citati artt. 33 e 34 valenza necessariamente generale ed unitaria che identifica un ambito di competenza esclusivamente statale. In tale contesto si colloca l'art. 117, secondo comma, Cost. lettera n), Cost., nel testo novellato dalla riforma del 2001, che, utilizzando la medesima locuzione "norme generali sull'istruzione", stabilisce che titolare esclusivo della relativa potestà legislativa è lo Stato, in tal modo precisando il riferimento alla “Repubblica” contenuto nel citato art. 33, secondo comma, Cost. Appartengono, invece, - prosegue la sentenza n. 200 - "alla categoria delle disposizioni espressive di princípi fondamentali della materia dell'istruzione, anch'esse di competenza statale, quelle norme che, nel fissare criteri, obiettivi, direttive o discipline, pur tese ad assicurare la esistenza di elementi di base comuni sul territorio nazionale in ordine alle modalità di fruizione del servizio dell'istruzione, da un lato, non sono riconducibili a quella struttura essenziale del sistema d'istruzione che caratterizza le norme generali sull'istruzione, dall'altro, necessitano, per la loro attuazione (e non già per la loro semplice esecuzione) dell'intervento del legislatore regionale il quale deve conformare la sua azione all'osservanza dei principi fondamentali stessi".

Tutto questo complesso lavoro di interpretazione e di definizione  del dettato costituzionale non sarebbe certamente da gettare al macero con la soppressione che si propone della “legislazione concorrente” e “dei principi fondamentali” che la regolavano, ma certamente subirebbe  un grave colpo molto destabilizzante e foriero di future conflittualità. Si tratta esattamente del risultato opposto rispetto alla pacificazione istituzionale che i propagandisti governativi della riforma esaltano.

Infatti resterebbero  tutti da chiarire sia la portata che il significato di quelle “disposizioni generali e comuni sull’istruzione; ordinamento scolastico“ che verrebbero a costituire la parte principale della  lettera n) del nuovo art 117.

Il decentramento dell’amministrazione scolastica

 

 La Riforma del Titolo V della Costituzione del 2001 era stata preceduta dalla  Legge 59/1997 che si poneva su un piano puramente amministrativo, né poteva essere altrimenti, dato che una legge ordinaria non può certo andare oltre la Costituzione vigente; non per niente allora si parlò di “Federalismo amministrativo” o di “Federalismo a Costituzione invariata”.

Nel 2001 si fa il salto di qualità, perché si passa dalla legislazione ordinaria alla Riforma della Costituzione.

La riforma aveva per oggetto il solo Titolo V, che era rubricato “Le regioni, le provincie, i comuni”, e si pone in sostanziale continuità con quanto stabilito dalla Legge 59/1997 e dal DPR 112/98: la riforma ridefinisce, al massimo livello, le competenze e le attribuzioni dello Stato, delle Regioni e degli EE.LL., nonché i rapporti reciproci.

L’art. 117 era il cuore di quella riforma, perché veniva ridefinita la potestà fondamentale, quella legislativa; si operava una vera e propria rivoluzione copernicana: la potestà legislativa spetta sia allo Stato che alle Regioni.

All’art. 118 veniva operata anche una redistribuzione della “potestà amministrativa”; le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni, solo nel caso che questi non siano in grado di esercitarle in modo unitario potevano essere attribuite ad un ente di livello superiore, Provincia, Regione o Stato.

Con la riforma del 2001, il principio di sussidiarietà, già alla base della Legge 59/1997, viene elevato a rango costituzionale ed esteso dall’ambito amministrativo a quello legislativo.

Alle Regioni compete tramite la legislazione concorrente la definizione dell’assetto che il servizio deve assumere nei loro territori; si doveva stabilire il confine tra “generale” di competenza statale e il “particolare” di competenza regionale.

La legge 131/2003: mancata applicazione della riforma

Dopo l’approvazione della legge di riforma costituzionale, si era posto il delicato problema di come raccordare la legislazione ordinaria previgente ai nuovi principi costituzionali, dando per scontato che la futura produzione legislativa sarebbe stata coerente con il nuovo dettato costituzionale.

Del pari, operando la riforma una profonda redistribuzione delle competenze in campo amministrativo, si poneva la questione del passaggio da un Ente all’altro di interi settori della pubblica amministrazione, nonché delle redistribuzione delle risorse, finanziarie e di personale, necessarie alla gestione dei servizi.

Questi problemi riguardavano anche la scuola, uno dei principali campi di intervento della Riforma Costituzionale.

La questione venne affrontata dalla Legge 131/2003, la cosiddetta “Legge La Loggia”. Ma fu  risolta solo sulla carta, perché niente o quasi è stato fatto nel concreto.

La Legge 131/2003, aveva individuato dei meccanismi snelli e praticabili per il trasferimento delle funzioni, Questi erano i punti per quanto attiene la legislazione:

  • la normativa vigente, sia statale che regionale, rimaneva in vigore, fino a diversa disposizione legislativa e fatte salve le pronunce della Corte Costituzionale

  • nelle materie di legislazione concorrente, se lo Stato definisce i principi fondamentali non c’è problema, ma se questo non avviene, le Regioni possono ugualmente legiferare, desumendo i principi generali dalle vigenti leggi statali.

In altri termini, fatto salvo il principio che non è ammissibile un vuoto legislativo, le Regioni godevano di una potestà legislativa che derivava loro direttamente dal dettato costituzionale: potevano legiferare da subito, senza bisogno di interventi da parte dello Stato, perché se questi non si preoccupa di fissare i principi generali, le Regioni autonomamente li possono desumere dalla legislazione statale vigente.

L’iniziativa autonoma delle Regioni poteva però creare una grande confusione, per cui la Legge 131/2003 ha individuato una soluzione di buon senso: è stata conferita al Governo la delega ad adottare uno o più decreti legislativi, di natura meramente ricognitiva, tesi ad enucleare i principi fondamentali dalle vigenti leggi statali su tutte le materie di legislazione concorrente.

Inoltre, era stata conferita la delega anche per individuare le materie ricadenti nella competenza esclusiva dello Stato.

La delega che scadeva l’11 giugno 2006 non è stata esercitata perché la volontà politica è mancata completamente.

C’era il problema non solo della potestà legislativa, ma anche delle competenze amministrative e della redistribuzione delle risorse, a norma dell’articolo 118 della Costituzione, ; la Legge 131/2003 ha affrontato anche questo problema.

Era stata conferita al Governo la delega ad adottare uno o più decreti legislativi in tema di:

  • individuazioni delle funzioni fondamentali degli EE.LL., essenziali al loro funzionamento e al soddisfacimento dei bisogni primari dei cittadini
  • revisione della normativa riguardante gli EE.LL., per adeguarla al nuovo dettato costituzionale

Molto importante: tra i criteri direttivi per l’emanazione dei citati decreti, c’era la precisa indicazione non solo della salvaguardia delle competenze degli Enti di autonomia funzionale, ma era prevista l’attribuzione di ulteriori funzioni.

Anche in questo caso nessun decreto è stato emanato: la delega è scaduta il 31 dicembre 2005.

La Legge 131/2003 aveva infine affrontato anche la questione del trasferimento alle Regioni ed agli EE.LL. dei beni e delle risorse necessarie all’esercizio delle nuove competenze loro attribuite.

Lo strumento individuato è quello del provvedimento legislativo, nella forma di DDL collegato alla finanziaria, previo accordo da concludere in sede di Conferenza unificata.

Nelle more dell’approvazione dei disegni di legge, lo Stato poteva avviare i trasferimenti di beni e risorse per mezzo di decreti del Presidente del Consiglio, ai sensi dell’Accordo raggiunto in Conferenza unificata il 20 giugno 2002.

Niente è stato fatto neanche in materia di trasferimento delle competenze amministrative.

La legge La Loggia è rimasta una legge fantasma, perché la maggioranza politica che l’ha approvata e il Governo che doveva applicarla non ci ha creduto, ha perseguito l’obiettivo di una nuova Riforma Costituzionale che in effetti è stata approvata ma, bocciata dal Referendum popolare, non è mai entrata in vigore.

A parte le deleghe non esercitate, i punti fondamentali della legge 131/2003 fino ad oggi sono rimasti comunque in piedi, perché immediatamente applicativi, quali la facoltà riconosciuta alle Regioni di legiferare sulle materie di legislazione concorrente assumendo la vigente legislazione statale alla stregua di principi fondamentali o le modalità di trasferimento di competenze e risorse dallo Stato e agli EE.LL.

 

L’iniziativa delle regioni

Nella latitanza di Governo e Parlamento, l’iniziativa è stata presa da un altro soggetto istituzionale, le Regioni, che hanno prodotto due documenti molto importanti, nel 2006 e poi nel 2010; in questi due documenti, si tiene conto delle Sentenze della Corte Costituzionale.

 

Il Masterplan del 2006

All’inizio della breve legislatura 2006-2008, la Conferenza delle Regioni si è fatta carico di elaborare un “Masterplan”, cioè un piano completo ed analitico di azioni da intraprendere per il passaggio di competenze dallo Stato alle Regioni, in attuazione della riforma costituzionale dl 2001.

In premessa, le Regioni facevano un’affermazione molto importante: è bene partire dalla piena attuazione “della legge 15 marzo 1997 n. 59, in particolare del D.lgs. 31 marzo 1998, n. 112”; infatti “tali norme, per quanto antecedenti alla revisione costituzionale del Titolo V, sono ispirate ai principi del decentramento ed hanno trovato conferma nella legge costituzionale del 2001, che ha ampliato le competenze e le funzioni riconosciute alle Regioni e alle Autonomie Locali, secondo i principi di sussidiarietà e di federalismo solidale. Per questi motivi e in ragione della evidente coerenza con la cultura giuridica ispiratrice del Titolo V, è possibile affermare che la completa attuazione del D.lgs. 112/98, i cui processi non sono stati sostenuti e completati, costituisce un presupposto normativo da cui può organicamente originarsi la progressiva attuazione del Titolo V, senza dover ricorrere, per alcuni aspetti e materie, a nuovi strumenti legislativi.”

Le Regioni ritennero necessario in particolare affrontare alcune questioni:

  • la distribuzione di competenze tra lo Stato, Regioni e Autonomie territoriali e funzionali, in particolare le istituzioni scolastiche, al fine di evitare conflitti e controversie tra soggetti istituzionali;

  • lo sviluppo di orientamenti comuni nelle materie di competenza esclusiva o primaria delle Regioni, quali, ad esempio, l'istruzione e la formazione professionale e la programmazione e l'organizzazione dell'offerta formativa sul territorio;
  • la qualificazione delle Regioni come enti di legislazione e non di diretta gestione, con preminenti compiti di programmazione della rete scolastica e dell’offerta integrata di istruzione e formazione, di allocazione territoriale delle risorse, di monitoraggio e valutazione delle politiche formative, di impulso alle Autonomie Locali e funzionali;
  • il pieno sviluppo dell’autonomia scolastica (ex D.P.R. 275/99), correlato anche alle norme riguardanti l’autonomia didattica, finanziaria ed amministrativa e alla necessaria revisione degli organi collegiali di istituto e territoriali;
  • il riassetto delle articolazioni organizzative dell’amministrazione periferica del Ministero in funzione delle competenze attribuite alle Regioni.

Nel riparto delle competenze tra Stato e Regioni, ci si doveva ispirare a tre criteri fondamentali, ribaditi anche nelle decisioni della Corte Costituzionale:

  • la linea di demarcazione tra norme generali e principi fondamentali è costituita dall'ambito territoriale di operatività: ciò che riguarda tutto il territorio nazionale si pone come “norna generale”, ciò che riguarda i singoli territori si pone come “principio generale”
  • i principi generali sono stabiliti dallo Stato e costituiscono il limite entro il quale può essere esercitata la potestà legislativa concorrente delle Regioni;
  • il livello regionale ha essenzialmente la competenza sulla programmazione della rete scolastica e sull’offerta di istruzione con la correlata allocazione sul territorio delle dotazioni organiche del personale, determinate e assegnate dal livello nazionale

L’Amministrazione dello Stato avrebbe dovuto continuare ad esercitare l’azione amministrativa, quale la competenza della definizione delle dotazioni organiche del personale docente delle istituzioni scolastiche, fino a quando le singole Regioni non si saranno dotate di una disciplina specifica e di un apparato istituzionale, ma solo per garantire la continuità del servizio scolastico (ex sentenza C.C. n. 13/2004).

Per quanto attiene alla complessa e delicata questione della gestione del personale della Scuola, le Regioni ritenevano che:

  • la dipendenza giuridico-economica debba permanere allo Stato, nell’ambito di un ruolo unico nazionale del personale della Scuola;
  • le procedure di assegnazione debbano essere svolte per ambiti provinciali dalle Regioni, sulla base delle dotazioni organiche assegnate annualmente a livello nazionale, della programmazione regionale della rete scolastica e dell’offerta di istruzione e formazione sul territorio.
  • le Istituzioni Scolastiche debbano continuare ad esercitare le competenze loro riconosciute dal D.P.R. 275/99, relativamente all'impiego ottimale delle risorse professionali loro assegnate.

 

 

La Bozza di Accordo del 2010

 

Come detto, il Masterplan del 2006 è rimasto lettera morta; nel 2010 la Conferenza delle Regioni tornò alla carica con una proposta di Accordo tra Governo, Regioni, Province e Comuni da definire in sede di Conferenza Unificata.

Più esattamente, la Conferenza  approvò una vera e propria Bozza di Accordo, che  è rimasta lettera morta per il sostanziale disinteresse del Governo, ma che merita di essere analizzata, in quanto costituisce il punto più alto di elaborazione politica adottato in una sede istituzionale.

La Bozza tiene conto naturalmente conto di tutti i fallimenti precedenti e cerca di fare chiarezza, anche alla luce delle sentenze della Corte Costituzionale.

In premessa, la Conferenza definisce con molta precisione il riparto delle competenze tra i diversi Enti:

“L’unitarietà del sistema nazionale è … la risultante dell’esercizio delle funzioni attribuite e dell’assolvimento degli obblighi che l’ordinamento impone a ciascuno, in un quadro in cui lo Stato, a fronte del suo potere di programmazione, di indirizzo e di controllo ha la competenza di dettare le norme generali, enucleare i principi fondamentali e definire i livelli essenziali, nonché controllarne il rispetto; le Regioni adottano leggi nelle materie concorrenti; le Regioni e gli EELL, nel rispetto dei principi di adeguatezza, differenziazione e sussidiarietà, assolvono alla funzione organizzativa, in conformità agli artt. 117 e 118 della Costituzione; le scuole, nella loro autonomia, provvedono a fornire il servizio.”

Nella differenziazione delle competenze, l’unitarietà del sistema può essere assicurata solo dal rispetto del principio costituzionale della leale collaborazione, mentre a fondamento degli interventi di tutti gli Enti va posta l’autonomia scolastica: “L’autonomia delle Istituzioni scolastiche costituisce il quadro nel rispetto del quale le istituzioni locali, regionali e nazionali programmano e attuano i loro interventi.”

Viene introdotto anche il concetto di “espansione dell’autonomia” e del suo legame con il territorio: “Tale autonomia va sostenuta affinché raggiunga la sua massima possibile espansione e deve costituire sul territorio il fondamento di reti formative sempre più vicine alle realtà locali e mirate all’efficienza del sistema educativo.”

La Conferenza indica poi gli obiettivi, gli ambiti e gli oggetti dell’accordo:

  • individuazione delle materie oggetto di legislazione statale
  • trasferimento delle funzioni amministrative alle Regioni e agli EE.LL, nelle materie non più oggetto di competenza esclusiva statale
  • trasferimento delle risorse, umane, finanziarie e strumentali, stabilendo i tempi e i modi, nonché l’inizio dell’esercizio delle funzioni da parte delle Regioni e degli EE.LL., una volta avvenuto il trasferimento delle risorse
  • ridefinizione delle funzioni dell’amministrazione scolastica periferica

La Conferenza passava poi a specificare alcuni dei punti sopra enunciati.

 

Primo punto: individuazione degli ambiti della funzione legislativa statale, nei suoi tre aspetti di norme generali, principi fondamentali e livelli essenziali delle prestazioni; viene presa a riferimento la sentenza n. 279/2005 della Corte Costituzionale.

Le norme generali hanno per oggetto:

  • definizione, limiti, contenuti ed organi dell’autonomia delle istituzioni scolastiche
  • linee generali per l’organizzazione scolastica nazionale
  • criteri di selezione e di reclutamento del personale dirigente, docente e A.T.A.;
  • disciplina dell’autonomia scolastica e delle relative rappresentanze;

I principi fondamentali riguardano:

  • requisiti minimi per il funzionamento degli istituti scolastici;
  • criteri per la costituzione di organismi di partecipazione territoriale a livello scolastico.

La Conferenza stabilisce anche delle regole di comportamento:

  • semplificazione delle norme
  • definizione degli ambiti di responsabilità, onde evitare duplicazioni
  • attribuzione delle funzioni gestionali ed amministrative agli EE.LL
  • formulazione di un Testo Unico delle norme statali (norme generali, principi fondamentali e livelli essenziali delle prestazioni)

Secondo punto: conferimento alle Regioni e agli EE.LL delle funzioni amministrative esercitate dallo Stato

Dopo aver preso atto che lo Stato non ha provveduto nemmeno al trasferimento in toto delle competenze di cui al D.Lgs 112/1998, la Conferenza individua nella Legge 131/2003, art. 7, commi 1, 2 e 3, il quadro normativo per l’effettuazione del trasferimento delle funzioni e delle risorse, la Conferenza delinea un percorso da seguire di comune accordo da parte degli Enti interessati:

a) il Governo si impegna ad adottare i DD.P.C.M. previsti dalla legge n. 131/2003 per il trasferimento delle risorse rispetto alle funzioni già trasferite con il D.lgs n. 112/1998 … nelle more dell’approvazione dei disegni di legge di cui al comma 2 del medesimo articolo 7 – attuativi dell’art. 118 della Costituzione – e dell’entrata in vigore delle norme in materia di federalismo fiscale (art. 119 Costituzione).

b) le Regioni si impegnano ad emanare una propria normazione organica nell’ambito ed a completamento delle disposizioni dello Stato…specificamente in materia di:

1. forma, livelli e organismi di governo territoriale del sistema educativo e delle rappresentanze delle autonomie scolastiche;

2. programmazione dell’offerta di istruzione e formazione sul territorio regionale, ivi compresa la funzione di organizzazione della rete scolastica, tenendo conto del ruolo già attribuito a tali fini agli Enti locali dal D.lgs n. 112/1998;

4. forme di rappresentanza e partecipazione dei diversi soggetti dell’istruzione e formazione professionale a livello locale e regionale;

5. interventi di supporto all’autonomia delle istituzioni scolastiche;

6. criteri di assegnazione del personale alle scuole;

7. promozione di rapporti tra le istituzioni scolastiche e i soggetti del territorio che operino nel campo dell’istruzione e della formazione;

11. eventuali uffici e servizi sul territorio per lo svolgimento di funzioni regionali;

13. norme di attuazione dei principi fondamentali.

La Conferenza affronta anche il problema dell’applicazione della sentenza n. 13/2004 della Corte Costituzionale, definendola una “ condizione prioritaria”; tutte le Regioni si devono dotare di “una disciplina e di un apparato istituzionale idoneo a svolgere le funzioni amministrative ed il servizio pubblico in materia di istruzione e di istruzione e formazione professionale”; in questo quadro, le Regioni hanno la “ possibilità di avvalersi del personale degli uffici dell’amministrazione scolastica periferica che saranno trasferiti nella misura necessaria al raggiungimento dell’idoneità operativa e gestionale relativa all’esercizio delle funzioni oggetto di trasferimento, fatto salvo il mantenimento di un presidio per funzioni proprie dello Stato”

 

Terzo Punto: rete scolastica, ripartizioni degli organici e trasferimento dei beni e delle risorse umane, strumentali e finanziarie.

La Conferenza avanzava una serie di proposte:

  • la definizione della rete scolastica è assicurata dalle Regioni, nel rispetto delle competenze degli Enti Locali, nell’esercizio delle rispettive competenze
  • la distribuzione tra le Regioni della dotazione organica nazionale viene definita dallo Stato sulla base di “criteri da individuarsi, con apposita intesa in sede di Conferenza Unificata”
  • il personale della scuola rimane alle dipendenze dello Stato, “con stato giuridico e trattamento economico fissato dalla contrattazione nazionale di comparto”; le parti, però, “si impegnano a far sì che, nel rispetto della normativa statale in materia di autonomia delle istituzioni scolastiche, “il personale passi alla dipendenza funzionale delle Regioni, le quali, nell’ambito delle dotazioni organiche assegnate, provvedono anche alla programmazione e alla distribuzione territoriale, in piena collaborazione con gli Enti locali e le istituzioni scolastiche nelle forme determinate dalle leggi regionali. La “dipendenza funzionale” non dovrà comportare un doppio livello di dipendenza del personale.”

La Conferenza prevedeva che fosse data attuazione all’Accordo entro 31 dicembre 2011

In conclusione, si può dire che le Regioni propongono un modello di che potremmo definire “siciliano”; ferme restando le competenze in campo legislativo, naturalmente da chiarire e soprattutto da applicare, per quanto attiene alla gestione si ipotizza un sistema che rimane statale, a cominciare dal personale, ma che è agisce in regime di “dipendenza funzionale” per le materie di competenza delle Regioni e degli EE.LL.

 

L’iniziativa del ministro Profumo

Il Documento delle Regioni del 2010 non ebbe alcun riscontro governativo. Il Ministro Profumo  convocò mercoledì 27 giugno 2012 le organizzazioni sindacali su una bozza di Intesa raggiunta da Governo, Regioni e Province Autonome sull'attuazione del titolo V della Costituzione nell'Istruzione che riprendeva largamente quel Documento. All'incontro parteciparono anche i rappresentanti della IX commissione Istruzione, Lavoro e Ricerca della Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome. Particolarmente criticata dai Comuni e dalle Province fu la loro esclusione da questa prima fase di concertazione.

. Nel luglio dello stesso anno l’on.CENTEMERO del PDL interrogava il Ministro  per sapere tra l’altro: “quali iniziative si intendano assumere per rendere più chiara la distinzione tra quali siano gli ambiti di competenza dello Stato e quali quelli propri delle regioni, in particolare chiarendo il contenuto del termine «concorrente» per l’istruzione, nonché il rapporto tra le norme costituzionali e il decreto legislativo n. 112 del 1998, in relazione alle funzioni attribuite ai diversi organi istituzionali, alla luce della spending review e del principio di gestione centrale della spesa pubblica e degli obiettivi da raggiungere nell’ottica complessiva della sua riduzione e del miglioramento del servizio.”

Il ministro rispondeva che: “è stata elaborata una bozza di accordo tra Governo, regioni e province autonome di Trento e Bolzano, che sarà a breve sottoposta all’esame della Conferenza Stato-Regioni, concernente finalità, tempi e modalità di attuazione del Titolo V, parte seconda, della Costituzione, per quanto attiene alla materia dell’istruzione e sperimentazione di interventi condivisi per la migliore allocazione delle risorse umane, strumentali ed economiche, al fine di elevare la qualità del servizio. Ovviamente, nel prosieguo dell’iter di perfezionamento della bozza di accordo, saranno coinvolte anche l’ANCI e l’UPI per l’esame congiunto delle ricadute sugli enti locali dell’effettiva attuazione del trasferimento alle regioni delle funzioni amministrative in materia di istruzione. Tra gli obiettivi dell’accordo, vi è il completamento del trasferimento delle funzioni amministrative alle regioni, alla luce dei recenti costituzionali di riparto della funzione legislativa e dell’articolazione delle funzioni amministrative. Per conseguire questo obiettivo, le parti coinvolte assumono, tra l’altro, l’impegno di definire in modo definitivo le relative competenze in materia, evitando duplicazioni e cercando di prevenire l’insorgere di contenziosi; di semplificare la rispettiva normazione, chiarendo i livelli di responsabilità sulle singole materie degli enti locali; di individuare, sempre attraverso un percorso comune, i livelli essenziali delle prestazioni, che sono garantite su tutto il territorio nazionale, secondo il criterio della sostenibilità ed eleggibilità.”

            Dopo l’uscita di scena del governo Monti di questa materia non se ne è occupato più nessun ministro. Ciò fino alla incredibile riforma del Titolo V oggetto  non secondario del prossimo referendum.

Il nuovo art.117 in materia di istruzione

                                                                                                

Il nuovo articolo 117 della Costituzione, così come modificato dall’art 31 della legge costituzionale sottoposta a referendum in materia di istruzione, elimina il concetto di legislazione regionale concorrente da esercitarsi entro i limiti determinati dalle leggi dello Stato e di  conseguenza anche il concetto di principio fondamentale che indicava tali limiti; estende l’area delle competenze esclusive dello Stato inserendovi, tra l’altro, quelle relative “all’ordinamento scolastico”; aggiunge per tutte le materie di competenza esclusiva statale di cui alla lettera n) alle “disposizioni generali”  che sostituiscono  “le norme generali” anche quelle “comuni”.

Se venisse confermato con il referendum il testo stabilito dalla legge di riforma a mio parere, oltre all’archiviazione di ogni ipotesi di decentramento della macchina dell’amministrazione centrale dianzi descritta, ne conseguirebbero due possibili interpretazioni del nuovo assetto dei poteri legislativi, fonte sicura di nuovi e diffusi conflitti. Si tratterebbe dunque di una materia che, come nel deprecato periodo successivo alla riforma del Titolo V del 2001, spetterebbe alla Corte Costituzionale analizzare e interpretare.

L’esempio del diritto allo studio

Tali distinte interpretazioni deriverebbero ad esempio dal fatto di considerare o meno la disciplina statale sul  diritto allo studio tra le disposizioni generali e comuni che riguardano l’istruzione e l’ordinamento scolastico.

La prima interpretazione sembrerebbe la più fondata anche per il fatto che la competenza legislativa regionale riguarderebbe solo gli aspetti della “promozione” del diritto allo studio. Cosi  circoscritta la competenza regionale, ad un ambito che nel precedente ordinamento si sarebbe definito di dettaglio, ne risulterebbe di conseguenza confermata l’assegnazione delle competenze di principio alla legislazione statale. Esse sarebbero  rinvenibili  tra quelle che riguardano l’istruzione e l’ordinamento scolastico. In questo caso la normativa che regola attualmente i principi fondamentali, a partire da quella presente nella legge di parità, verrebbe collocata nell’area delle disposizioni comuni.

La seconda interpretazione, in assenza di una esplicita elencazione della materia “diritto allo studio” tra le competenze esclusive statali, potrebbe portare a sostenere la tesi che la “promozione” del diritto allo studio dovrebbe riguardare non solo le materie di dettaglio ma anche quelle di principio. Ciò anche perché questo era avvenuto in molti casi anche in presenza dei principi fondamentali che regolavano l’ordinamento vigente. Oppure che tale competenza spetta alle regioni perché non esplicitamente riservata alla competenza esclusiva dello Stato.

Le conseguenze di un tale percorso sono tanto evidenti quanto, a mio parere, devastanti, innanzitutto perché la legge di parità (62/2000) risulterebbe in gran parte abrogata e sostituita da normative, anche diverse tra loro, approvate in sede regionale.

La situazione legislativa esistente in materia di diritto allo studio

La competenza legislativa delle Regioni in materia di diritto allo studio, anche prima della riforma costituzionale del Titolo V realizzata nel 2001, era solo “concorrente”, cioè attuabile  nel quadro definito dai principi fondamentali approvati per tale materia con leggi dello Stato.

Inoltre la delega della funzione amministrativa di erogazione dei contributi statali alle scuole private di cui tratta l’art. 138 del DLgvo 112/98 (fino ad oggi ancora non attuata), non avrebbe dovuto, come invece è diffusamente avvenuto,  consentire alle Regioni di definire criteri e di individuare risorse al riguardo facendo ricorso ad un’attività legislativa regionale.

E’ fuori discussione che l’iniziativa legislativa regionale, in genere portata avanti dalle forze di centro destra, ha avuto alla fine degli anni ’90, la caratteristica di voler anticipare la legge di parità invadendo un campo di esclusiva competenza statale in materia.

Dall’esame della legislazione regionale in atto risulta che spesso si é richiamata la competenza amministrativa attribuita alle Regioni con altre finalità rispetto a quelle stabilite dall’art. 138 del Decreto 112/98 (erogare contributi che fino alla attuazione della delega avrebbero dovuto, come in realtà è poi avvenuto, rimanere di competenza statale) per realizzare una legislazione che per molti aspetti, compreso quello sancito dal terzo comma dell’art. 33, era in contrasto con la Costituzione.

Di fatto in alcuni casi la competenza statale è stata invasa e violata anche là dove si è previsto di indicare criteri e finanziamenti per realizzare la corresponsione di un bonus(una borsa di studio) per tutti gli alunni frequentanti le scuole non statali.

In altri casi, con la legge di parità già approvata e vigente, si è cercato di aggirarla prospettando una sorta di bonus integrativo delle misure nazionali già previste per le borse di studio dalla legge di parità.

In tutti questi casi si è ignorato o si é rifiutato esplicitamente di riconoscere  alla legge 62/2000 il ruolo di normativa che definiva i principi fondamentali per quella legislazione concorrente che su tale materia spettava alle Regioni.

Poiché quello indicato è stato il terreno su cui si è realizzato un intervento che in alcune Regioni ha assunto un profilo chiaramente eversivo del dettato costituzionale, è opportuno precisare il quadro di riferimento entro il quale si trovavano e si trovano ad operare le Regioni anche dopo la modifica costituzionale del 2001.

Al riguardo occorre ricordare che la normativa su cui poggiava il potere di intervento legislativo delle Regioni prima dell’entrata in vigore delle legge 62/2000 era unicamente quello derivante dall’articolo 117 della Costituzione e dall’art.42 del DPR n. 616 del 1977.

Facevano parte delle competenze regionali anche quelle amministrative attribuite alle Regioni e agli enti locali dagli articoli 138 e 139 del decreto legislativo n.112 del 1998. Fra queste competenze amministrative attribuite alle Regioni , come si è accennato dianzi, vi era la delega, di erogare i contributi alle scuole private. Ovviamente si sarebbe trattato, in un primo tempo dei contributi già da anni presenti nel bilancio dello Stato a favore delle scuole dell’infanzia e delle scuole elementari parificate e successivamente di quelli che sarebbero stati regolamentati dalla legge di parità.

In alcune Regioni, Lombardia in testa, tale chiarissima disposizione venne stravolta e interpretata come il conferimento di una delega di competenze legislative per realizzare fra l’altro il buono scuola a favore degli alunni e degli studenti delle scuole private.

Di fatto mettendo impropriamente insieme le competenze di legislazione concorrente in materia di diritto allo studio e quelle delegate in quanto funzioni amministrative per l’erogazione di contributi statali alle scuole private si è cucinato il bel pasticcio che specie in Lombardia e altrove ha ancora oggi un chiaro profilo di incostituzionalità.

Come risulta da un esame dei singoli provvedimenti regionali, in alcuni casi l’intervento del Governo di centrosinistra in sede di controllo degli atti prima o come previsto poi dal nuovo Titolo V,  riuscì a sventare tali manovre anche con il rinvio alla Corte Costituzionale In qualche caso, come con il sopraggiungere del nuovo governo di Berlusconi, si determinò persino un annullamento di un imminente pronunciamento dell’Alta Corte con il ritiro del ricorso presso di essa pendente. E’ il caso della legge n.1/2000 della Regione Lombardia che non essendo mai stata sottoposta all’esame dell’Alta Corte, anche nelle sue successive configurazioni che confermano e aggravano le iniziali impostazioni, è ancora in vigore da oltre un decennio. Infatti anche la successiva legge regionale lombarda la n.19 del 6 agosto 2007 sottoposta all’Alta Corte, con delibera del C.d.M del 28 settembre 2007, per colpevole inerzia del governo allora in carica, non poté essere esaminata in tale sede con riguardo ai molteplici rilievi formulati che riguardavano non  solo l’istruzione professionale ma anche gli aspetti finanziari del sostegno alle scuola paritarie.

Purtroppo in non pochi altri casi, la legislazione Regionale e l’attività amministrativa di alcuni enti locali si sono collocati nettamente fuori e contro il dettato costituzionale senza che alcun organo a ciò competente ne proponesse l’esame da parte della Corte Costituzionale.

Si deve segnalare che non è stato consentito fino ad oggi alla Corte Costituzionale di pronunciarsi su tale materia. Quindi contrariamente a quanto accaduto in altri settori non esiste in materia un contenzioso arretrato presso l’Alta Corte. Forse è per questo motivo che non se ne è occupato il Gruppo di lavoro sulle riforme istituzionali.

Infatti nella Relazione Finale del Gruppo di Lavoro sulle riforme istituzionali, istituito il 30 marzo 2013 dal Presidente della Repubblica e composto da Mario Mauro, Valerio Onida, Gaetano Quagliariello, Luciano Violante, presentata il 12 aprile 2013, nel Capitolo IV pagg.16-18, in relazione alla revisione del TitoloV, non vi è traccia della materia riguardante l’istruzione.

Forse non è inopportuno ricordare, non tanto ai legislatori nazionali che lo hanno colpevolmente dimenticato, quanto ai cittadini elettori nel prossimo referendum , quel principio fondamentale, tuttora in vigore , secondo il quale le borse  di studio devono essere caratterizzate dalla pari entità per studenti delle scuole statali e per gli  studenti delle scuole paritarie. Si tratta di un principio che  causò, dopo la sua approvazione, l’uscita del CDU di Rocco Buttiglione dal governo D’Alema e che oggi risulta di fatto annullato dall’eliminazione, a decorrere dal 2011, da parte del Ministro Tremonti, del relativo stanziamento di bilancio di154 milioni di euro.

Oggi per  il fatto che se non  Buttiglione, almeno la sua componente politica,  risulti saldamente al governo del paese, non sorprende che nella legge 107/2015 tale questione sia stata ignorata prevedendo invece ulteriori risorse per le scuole paritarie.

 

Le Regioni a statuto speciale

Si è detto in più occasioni che la maggioranza governativa sostiene questa riforma costituzionale per eliminare le cause di conflitto tra Stato e Regioni. Che tale affermazione risulti completamente falsa lo dimostra anche il conflitto che è destinata ad aprire per il trattamento riservato alle Regioni a Statuto Speciale (R. S. S. ).

Va ricordato al riguardo che la Costituzione del  2001 (L.C. n.3/2001) con la riforma del titolo V   introdusse per le regioni a statuto ordinario la legislazione concorrente e la estese con l’art. 10 della medesima legge a tutte le Regioni a statuto speciale (la Sicilia già disponeva di fatto di tale requisito).

La situazione  qualora fosse confermata la legge di modifica costituzionale risulterebbe la seguente:

  1. Verrebbe abolita la legislazione concorrente per le Regioni a statuto ordinario.
  2. Tutte le rimanenti competenze di legislazione scolastica sarebbero attribuite allo Stato in maniera esclusiva come “disposizioni generali e comuni sull’istruzione e ordinamento scolastico” (art.117 ,comma 2 lett.n) oppure come “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni dei diritti civili e sociali”(art.117, comma 2 lett.m)
  3. Verrebbe attribuita alle Regioni  la competenza legislativa esclusiva “in materia di formazione professionale e di servizi scolastici, di promozione del diritto allo studio,anche universitario”.

Per le Regioni a Statuto ordinario  che ulteriori forme particolari di autonomia concernenti “le materie di cui all’art. 117 secondo comma lettera n) limitatamente all’istruzione  e formazione professionale”, possano essere attribuite ad altre Regioni con legge dello Stato” secondo quanto stabilito dal nuovo comma 3 dell’art.116.

Le disposizioni transitorie

 Ulteriori  elementi di conflitto son presenti nelle Disposizioni transitorie di cui tratta l’art.39, comma 13, della legge costituzionale del 2016 sottoposta a Referendum. Questa infatti  stabilisce come norma transitoria che :

13. Le disposizioni di cui al capo IV della presente legge costituzionale non si applicano alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome di Trento e di Bolzano fino alla revisione dei rispettivi statuti sulla base di intese con le medesime Regioni e Province autonome.

E’ evidente che l’abolizione del potestà riguardante la legislazione concorrente non si applica alle Regioni a statuto speciale fino alla revisione degli statuti che non ha un termine prestabilito.

 Si tratta di una soluzione incredibilmente pasticciata perché i principi fondamentali che la dovrebbero regolamentare non esistono più, (a meno che non si considerino i principi fondamentali esistenti fino all’entrata della nuova legge di revisione costituzionale). Si tratta di una enorme falla del nuovo testo che non mi sembra sia stata fino ad oggi sufficientemente  evidenziata e che a proposito della fine dei conflitti fra Stato e Regioni la dice lunga.

Inoltre il suddetto comma 13 prevede che: “a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge costituzionale, e sino alla revisione dei predetti statuti speciali, alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome si applicano le disposizioni di cui all'articolo 116, terzo comma, ad esclusione di quelle che si riferiscono alle materie di cui all'articolo 117, terzo comma, della Costituzione, nel testo vigente fino alla data di entrata in vigore della presente legge costituzionale e resta ferma la disciplina vigente prevista dai medesimi statuti e dalle relative norme di attuazione ai fini di quanto previsto dall'articolo 120 della Costituzione;”

Come chiarezza il testo è esemplare si possono notare le tracce del lavoro a quattro zampe del ministro Boschi! Ma in realtà fino alla revisione dei suddetti statuti si applicano le disposizioni di delega legislativa di cui all’art.116 terzo comma(attribuzione ad altre Regioni) con alcune esclusioni.  Di fatto la nuova formulazione dell’art.116 c.3, attribuisce la potestà di trasferimento dell’istruzione e della formazione professionale  ma questa norma transitoria la esclude fino all’entrata in vigore dei nuovi statuti.

Infine il suddetto comma 13 prevede che: “a seguito della suddetta revisione, alle medesime Regioni a statuto speciale e Province autonome si applicano le disposizioni di cui all'articolo 116, terzo comma, della Costituzione, come modificato dalla presente legge costituzionale”.

Ciò significa che: “dopo la revisione degli statuti si applicherebbe il nuovo terzo comma dell’art.116!


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