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Il professore senza allievi "Parlo di storia a 25 faccine"

Marco Lodoli

01/11/2020
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la Repubblica

Per me è sempre un piacere uscire la mattina per andare a scuola a insegnare italiano e storia ai miei studenti: nell’aria frizzante della Vespa attraverso la città fino a via Olina, Torre Maura, Roma Sud-Est. Anche in questi giorni, l’aula insegnanti è affollata, i professori aprono i loro armadietti, prendono i libri , si scambiano saluti con i gomiti e pensieri volanti: «La prima A quest’anno è bella vivace», eufemismo per dire che sono piuttosto casinari; «La quinta B mi dà soddisfazione, agli esami potrebbero esserci dei cento». E poi, inevitabili, i tristi commenti sui dati del giorno prima riguardo ai contagiati, ai morti, alla crescita del virus, ma ora non importa, suona la campanella e bisogna correre in classe. E la classe è malinconicamente vuota: ci sono i banchi nuovi, la lavagna pulita, la cattedra, ma non ci sono i ragazzi.

Bisogna connettersi in fretta, aprire la classe virtuale sul computer, che oggi fa le bizze, ma poi finalmente si sblocca e dopo un attimo eccoci collegati con 25 francobolli, con le faccette sorridenti, o assonnate, degli studenti. E così passa la giornata, una lezione dopo l’altra, noi insegnanti nella classe reale e i ragazzi presenti ma assenti, assenti ma presenti. Manca il teatro vitale della vita scolastica, tutto inevitabilmente si raffredda, i prof parlano cercando di essere comunicativi, chiari, efficaci, e i ragazzi ascoltano come possono, quanto possono, dalle loro camerette distanti: ora non si può agire in altro modo, il morbone infuria e bisogna difendersi da ogni rischio di contagio.

Nessun insegnante manca mai e nessuno protesta, questo non il momento delle lamentele. Però, se vogliamo lavorare scansando ogni rischio di ricevere o passare il Covid, forse sarebbe meglio rinunciare a insegnare nelle classi deserte. Alcuni istituti, approfittando dell’autonomia scolastica, si sono organizzati per la didattica a distanza, ma la maggior parte obbedisce alla circolare che pretende che il corpo insegnante sia presente anima e corpo in classe. Io corro volentieri da casa a scuola e cerco, come tutti i prof, di dare il meglio, però capisco anche che così facendo cresce il pericolo, senza alcun sostanziale miglioramento didattico.

Viaggiamo per la città anche su metro, autobus, tram e poi spieghiamo, dettiamo appunti, ci incrociamo nei corridoi, mescoliamo voci e respiri, ci facciamo forza a vicenda e forse ci indeboliamo. Almeno per un mese, sarebbe più giusto e sano rimanere a casa, visto che a scuola ci sono solo professori preoccupati e incerti computer.