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Il prof è mobile: 342mila cambi in 4 anni

A dispetto della “ferma” triennale prevista dalla riforma del 2015. Con effetti peraltro sorprendenti sui risultati della didattica

09/07/2019
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Il Sole 24 Ore

Eugenio Bruno e Claudio Tucci

Come la donna celebrata dal Duca di Mantova nell’aria più famosa del Rigoletto anche il prof è «mobile». Grazie ai due flussi di insegnanti che, alla vigilia di ogni anno scolastico, si incrociano e per certi versi si sommano. Il primo è noto e riguarda le migliaia di precari che ottengono una supplenza annuale o fino al termine delle lezioni. Tra qualche settimana ne avremo l’ennesima prova quando veleggeremo verso la quota record di 200mila supplenti. Il secondo fenomeno è forse meno conosciuto, ma altrettanto importante. Si tratta della mobilità degli insegnanti che - tra trasferimenti ordinari e straordinari come ricostruiamo in pagina con l’aiuto della Gilda - ha interessato dalla Buona Scuola a oggi 342mila professori. A dispetto della “ferma” triennale prevista dalla riforma del 2015. Con effetti peraltro sorprendenti sui risultati della didattica.

Oltre 342mila prof con la valigia

Negli ultimi quattro anni si sono spostati lungo la penisola 342.374 insegnanti; di questi, 57.580 sono andati in un’altra regione. Vale a dire il 16,8 per cento. Se si eccettua il 2016/17, quando il deflusso è stato maxi per effetto della mobilità obbligatoria prevista per tutti gli assunti della Buona Scuola, ogni volta ha cambiato scuola il 10% del corpo docente. Come confermano i numeri pubblicati qui accanto per il 2019/20. Con 63.997 domande accolte sulle 115.534 domande presentate, pari al 55 per cento; l’anno prima le richieste accolte erano state 58mila su 129mila (il 45%).In genere, gli spostamenti fuori regione sono più frequenti al Nord. A causa della mobilità di ritorno che vede tanti prof meridionali rientrare al Sud appena possono. Mentre al Mezzogiorno gli spostamenti sono quasi sempre effettuati in un raggio d’azione vicino casa. Spesso ne deriva un effetto domino che produce, da Firenze in su, un progressivo svuotamento delle cattedre e un boom di supplenze. Nel 2017, fecero scalpore i numeri dei posti vuoti nelle regioni settentrionali svelati dal Miur: ben 22.087, soprattutto per matematica, italiano, lingue e sostegno.

Da allora il quadro non è mutato. La riprova la avremo a settembre. Quando conosceremo il destino delle 59mila assunzioni, di cui 14.552 sul sostegno, annunciate dal ministro Marco Bussetti. Complici i ritardi nell’avvio dei concorsi - anche a causa della necessità di trovare una soluzione tampone (che vedrà luce con un decreto legge nelle prossime settimane) per i precari con oltre 3 anni di servizio - è probabile che assisteremo allo stesso film dell’anno scorso quando il governo ha autorizzato 57mila immissioni in ruolo, ma circa la metà non è andata a buon fine per carenza di candidati (soprattutto al settentrione).

L’impatto sull’apprendimento degli studenti

Se prendiamo la questione da un altro punto di vista, e cioè degli effetti che questa girandola di insegnanti ha sulla continuità didattica, emergono dati interessanti. E anche sorprendenti come l’assenza di un impatto negativo sugli apprendimenti degli studenti. Qui ci viene in soccorso Annamaria Ajello, presidente dell’Invalsi, che parla di “peso” del contesto rispetto alla funzione svolta dai professori, che assume una certa rilevanza. La fotografia aggiornata delle prove Invalsi di quest’anno, dove ha debuttato anche l’inglese, sarà resa nota mercoledì 10. Ma basta guardare i risultati degli scorsi anni per confermare la tendenza: gli studenti delle regioni del Nord ottengono, mediamente, punteggi più elevati in italiano e matematica, nonostante l’andirivieni citato prima di docenti soprattutto del Sud. «La loro presenza temporanea - commenta Ajello - non determina alcun effetto negativo nel rendimento degli studenti, tanto che gli studenti settentrionali continuano a registrare i migliori risultati alle prove Invalsi. Ciò vuol dire che “il contesto”, complessivamente inteso, esercita un’influenza positiva tanto da far sì che il docente meridionale contribuisca efficacemente ai buoni risultati di quegli studenti». Per il Mezzogiorno il discorso si ribalta. D’altra parte lo stesso Istituto di valutazione, calcolando il «valore aggiunto» e restituendone il dato a ciascuna scuola, ha messo in luce che talvolta l’impegno dei docenti, per quanto intenso, non riesce a compensare l’influenza negativa delle variabili non didattiche. A proposito di contesto e di politiche nazionali dell’istruzione in tempo di autonomia.