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«Il pezzo di carta è stato una leva per lo sviluppo»

Guido Fabiani, docente di Politica economica e Rettore dell'università Roma Tre

29/01/2012
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Corriere della sera

ROMA — Guido Fabiani, docente di Politica economica e Rettore dell'università Roma Tre da 14 anni, ha tirato un sospiro di sollievo quando ha saputo che nel decreto Monti non c'era l'abolizione del valore legale della laurea.
Lei non crede che sia un provvedimento utile?
«Non sono contrario a priori. Ma affrontare i problemi dell'università partendo da qui è fuorviante».
Prima si deve fare altro?
«Stiamo parlando della formazione del capitale umano di un Paese. Prima di dire improvvisamente a chi ha speso anni a studiare che vale come chi non ha studiato, occorre mettere a posto tutti i tasselli del puzzle».
Vede il problema con l'occhio dei suoi studenti?
«Li hanno chiamati "bamboccioni", poi "sfigati". Adesso vogliamo strappargli il "pezzo di carta"».
Costato a molti genitori ingenti sacrifici.
«Il conseguimento delle lauree ha costituito una leva di sviluppo per il Paese, ha permesso l'ascesa sociale di chi era stato tenuto fuori. Con l'idea di abolire il valore legale si trasmette un messaggio di ingiustizia sociale».
Ma non ci sono troppe università in Italia?
«Ecco, partiamo da qui. Negli ultimi 15 anni sono stati creati veri scandali, cose indegne: ci si laurea per posta».
Chi le ha volute queste università?
«La politica. Ci sono atenei messi in piedi in una notte, sostenuti da un ex capo del governo. Faccio parte del comitato che doveva dare un parere sulle nuove università del Lazio: negli ultimi dieci anni, dal ministero Moratti in poi, non siamo mai stati convocati».
Quindi sarebbe giusto non far valere il voto di laurea nei concorsi pubblici?
«Questo sì. Non si possono mettere sullo stesso piano lauree buone e lauree comprate».
La proliferazione delle lauree — si dice — ha attivato illusioni di massa: laurea uguale lavoro assicurato.
«In Italia ci sono un milione e 800 mila studenti universitari. In Francia e in Germania sono molti di più. E la disoccupazione è colpa del sistema produttivo, non delle università».
Con l'abolizione del valore legale della laurea si propone anche la liberalizzazione delle rette di frequenza.
«Se aumentassi le rette a Roma Tre, mi ritroverei l'università occupata un minuto dopo. Vedo però tanti studenti che arrivano su belle automobili e sono esentati dalla retta: questa è un'altra questione da risolvere, con controlli fiscali efficaci».
C'è il modello delle università private nella testa di chi propone l'abolizione del valore legale?
«Può essere. Il governo è molto "bocconiano"...».
Insomma, lei vorrebbe cambiare le cose gradualmente?
«Questa è un'innovazione che bisogna costruire. Innanzitutto assicurando a tutti condizioni di partenza davvero uguali. E vorrei sapere dal governo che ruolo intende dare all'università nel rilancio del Paese».
A. Gar.
 


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