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Il paese degli umiliati

Chiara Saraceno

06/04/2013
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la Repubblica

TRAGEDIE come quelle di Civitanova Marche aprono improvvisi squarci su vite umiliate, dove la fatica della vita quotidiana, la difficoltà a fare fronte a bisogni minimi, fa perdere poco a
poco la speranza. Ela dignità rimane l’unico bene da salvaguardare a tutti i costi, al punto da non accettare di rivolgersi alla assistenza sociale. Inutile soffermarsi sui rapporti tra causa ed effetto in un suicidio, tanto più se condiviso. Le ragioni sono probabilmente diverse e più profonde delle difficoltà economiche. Ma è inaccettabile che queste difficoltà appaiano sulla scena pubblica solo quando un evento drammatico, una scelta tragica, dà loro una più o meno effimera risonanza, salvo ricadere immediatamente ai margini dell’attenzione e soprattutto delle priorità della politica.
Eppure i dati non mancano, sono pubblici e di fonte autorevole: dall’Istat alla Banca d’Italia, fino alla Commissione europea. Quest’ultima ha segnalato come l’Italia sia il Paese in cui nell’ultimo anno vi è stato il maggior peggioramento relativo in tutti gli indicatori. All’aumento della povertà e del disagio dedica una sezione anche il rapporto sul Benessere equo e solidale Istat/Cnel. Fortemente voluto dal presidente dell’Istat, Enrico Giovannini, uno dei “saggi” nominati da Napolitano, questo rapporto dovrebbe servire ai decisori per definire priorità e disegnare vie d’uscita dalla crisi meno effimere del periodico annuncio che la ripresa è slittata di altri sei mesi. Nel loro insieme, i dati mostrano che negli ultimi due anni sono aumentati la povertà e il disagio economico, la difficoltà a far fronte a bisogni essenziali come riscaldarsi adeguatamente (non ci riesce il 18%), avere una dieta adeguata dal punto di vista nutritivo (riguarda il 12,3%), pagare l’affitto e le bollette (il 14,1%). Il rischio di povertà e/o esclusione sociale coinvolge ormai più di un quarto della popolazione (28,4%). Tra i minorenni, raggiunge il 34%, toccando il 50% tra i minorenni stranieri — un dato altrettanto se non più grave di quello riguardante la disoccupazione giovanile, e che invece non riesce a sollecitare almeno una pari attenzione. L’aumento delle condizioni di povertà ha comportato un’intensificazione delle condizioni di disagio là dove tradizionalmente sono concentrate nel nostro Paese — nel Mezzogiorno, nelle famiglie numerose con figli minori, nelle famiglie con un solo percettore di reddito. Ha tuttavia comportato anche un allargamento dell’esperienza a gruppi che non le avevano fin qui sperimentate, come le famiglie di lavoratori dipendenti, a reddito fisso (o calante, in caso di perdita di lavoro o di cassa integrazione), le famiglie giovani, le famiglie che vivono in affitto. Anche tra i pensionati l’erosione del potere d’acquisto di pensioni sempre meno indicizzate ha fatto aumentare l’incidenza della povertà.Sotto i dati statistici ci sono le piccole e grandi rinunce ed anche umiliazioni quotidiane: la vergogna di non poter far fronte ai propri debiti, il timore che luce o gas vengano sospesi per morosità, non poter pagare la mensa scolastica per i figli, o la gita di classe. Spese all’apparenza minime diventano insostenibili, travolgendo bilanci famigliari in equilibrio precario, senza che vi siano riserve su cui contare (il 38,5% della popolazione vive in famiglie che non riuscirebbero a fronteggiare una spesa imprevista di 800 euro). Tutto ciò in assenza di una rete di protezione che impedisca di precipitare e contrasti il deterioramento delle risorse individuali e sociali. Anzi, questa rete, già inadeguata e frammentata in periodi meno difficili, è stata ulteriormente ridotta con i tagli sconsiderati alla spesa sociale, ai trasferimenti ai Comuni ed anche all’istruzione. Non c’è, a differenza che nella stragrande maggioranza dei Paesi europei, un reddito minimo di garanzia per i poveri. I Comuni che lo avevano introdotto con risorse proprie hanno sperimentato una riduzione drastica dei trasferimenti loro destinati, che mette a rischio le politiche di sostegno alle fragilità proprio quando aumenta il bisogno. I bilanci risicati delle scuole costringono a impoverire l’offerta didattica proprio là dove sarebbe più necessario arricchirla, per controbilanciare la carenza di risorse famigliari. I bisogni di cura di bambini e persone non autosufficienti rimangono insoddisfatti, o affidati solo alle, disuguali,
risorse famigliari.
Di tutto ciò non si parla nelle diverse agende su cui si intrecciano le negoziazioni politiche, si delineano possibili programmi di governo, si ipotizzano o rifiutano alleanze. Singolarmente silente è il Pd, al di là della retorica sulla necessità di creare occupazione. Occorre che qualcuno si assuma la responsabilità di porre esplicitamente la questione della crescente povertà e disagio come una delle priorità da affrontare subito, che deve ispirare sia gli strumenti per la ripresa sia le decisioni sulla spesa pubblica. Non può essere sacrificata allo spread o al pareggio di bilancio, che non può essere raggiunto sulla carne viva delle persone, ignorandone la dignità offesa e le speranze negate


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