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Il Nuovo - Intervista a Maragliano

da Il Nuovo "Quella Moratti è una riforma gentiliana" Roberto Maragliano che nel 1997 ha coordinato la Commissione dei 40 saggi con il compito di elaborare la riforma dei cicli spiega i limiti ...

19/01/2002
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Il Nuovo

da Il Nuovo
"Quella Moratti è una riforma gentiliana"

Roberto Maragliano che nel 1997 ha coordinato la Commissione dei 40 saggi con il compito di elaborare la riforma dei cicli spiega i limiti del progetto di legge presentato dal nuovo ministro dell'Istruzione.
di Alberico Giostra

ROMA - Roberto Maragliano, 56 anni, insegna tecnologie dell'Istruzione e dell'apprendimento presso l'Università Roma Tre ed è responsabile del laboratorio di tecnologie audiovisive. Nel 1997 ha coordinato la cosiddetta Commissione dei 40 saggi che aveva il compito di iniziare ad elaborare la riforma dei cicli di Luigi Berlinguer. Maragliano è dunque uno degli ispiratori di quella che lui stesso indica come "la più ambiziosa delle riforme scolastiche mai tentata dai tempi di Gentile oggi, l'unica che si sia proposta di adeguare le strutture dell'istruzione alla domanda sociale".

Una riforma sulla cui mancata attuazione Maragliano si mostra esacerbato: non solo perché non ha dimostrato - a suo dire - sufficiente volontà di difenderla - e dallo spirito "vandeano" di un centrodestra che l'ha "eversivamente" sospesa. Maragliano accusa la sinistra conservatrice di aver lasciato prevalere la sua anima "liceale, togliattiana e latinista", ricordando orgogliosamente che "come i tranvieri non possono fare la riforma dei trasporti, così gli insegnanti non possono fare la riforma della scuola. La riforma la doveva fare la società, cioè gli utenti, i ceti che ne usufruiscono e non gli insegnanti. La riforma Berlinguer è fallita nel trovare alleanze nella società, si è richiusa nella scuola ed è stata fatta a pezzi dagli insegnanti, che come tutte le corporazioni italiane tengono famiglia".

Un'amarezza solo in parte lenita da quel simmetrico fallimento che Maragliano attribuisce al suo antagonista Giuseppe Bertagna, la cui riforma, secondo lui, sta finendo stritolata dalle mediazioni politiche. "Ora è chiaro che nella scuola italiana il cambiamento vero è impossibile, un consolidato sistema di interessi blocca ogni tentativo di innovazione". "Prima di iniziare a parlare della riforma dei cicli debbo fare una distinzione di fondo - esordisce Roberto Maragliano - non possiamo mettere sullo stesso piano una legge che non è stata attuata, come la legge 30 approvata dal centrosinistra, con un progetto, quello Bertagna che stenta ad essere definito".

La riforma di Berlinguer prevedeva due cicli anzichè tre, unendo scuola elementare e scuola media in un ciclo di sette anni e lasciando l'istruzione secondaria superiore a cinque anni. Qual era il senso di questa organizzazione?
Noi sentivamo l'esigenza di dare una formazione di base omogenea ed estesa su cui innestare dei percorsi di differenziazione successivi. Una scuola primaria che avrebbe fornito gli strumenti fondamentali e le consapevolezze base del conoscere, del riconoscersi e dell'agire lasciando gradatamente sviluppare dei percorsi di differenziazione. Il nostro progetto prevedeva 7 anni di scuola di base, 5 di secondaria e 9 anni dell'obbligo. Gli ultimi due anni dell'obbligo sarebbero stati spesi nella secondaria e sarebbero stati gli anni dell'orientamento e della definizione del progetto che poi sarebbe stato speso nel biennio successivo o nella scuola o nella formazione, per poi uscire verso l'Università a 18 anni. Con il primo ciclo avremmo dato le conoscenze e con il secondo avremmo approfondito le competenze acquisendo le conoscenze, superando l'ambiguità mai risolta della scuola media.

Il presupposto era che tra scuola elementare e media esistesse, come esiste, una cesura troppo marcata che accresceva i fallimenti scolastici e la dispersione?
Esattamente. Per troppo tempo la continuità tra i due ordini è rimasta affidata al volontarismo degli insegnanti. Grazie al ciclo unico si superava il passaggio traumatico tra una scuola "buona", le elementari e una "dura", le medie. Nelle elementari se un bambino non impara è colpa della maestra, nelle medie il fallimento è colpa del ragazzo. La scuola elementare è educante, quella media giudicante, l'elementare punta al successo della scuola, del gruppo, la media interroga, da il voto, e spesso lascia il ragazzo in solitudine. Ecco perchè un primo ciclo più lungo come noi volevamo avrebbe accompagnato meglio il passaggio dall'infanzia alla preadolescenza.

Il problema fondamentale dunque era riformare la scuola media.
La riforma Berlinguer avrebbe portato finalmente a compimento quella riforma della scuola media del 1962 che, unificando avviamento e ginnasio, era stata lasciata a metà, come una riforma incompiuta. Questa riforma coincideva con l'innalzamento dell'obbligo scolastico a 14 anni. Per cui occorreva chiedersi: perchè mantenere cesure così rigide tra elementari e medie se si hanno 8 anni di obbligo che di fatto stabiliscono un percorso unico? La riforma Berlinguer risolveva questo problema perchè risolveva il problema dei fallimenti scolastici delle medie inferiori, che tradizionalmente venivano scaricati sulle superiori, naturalmente in presenza di un obbligo scolastico elevato di un anno. La riforma Bertagna invece lascia immodificato il "gene" della scuola media.

Gli insegnanti delle scuole medie come giudicavano la vostra riforma?
Era una trasformazione della scuola media che purtroppo non è stata minimamente capita dagli insegnanti. Temevano di essere declassati ad insegnanti elementari mentre dovevano essere orgogliosi di essere associati a loro.

Come sarebbe stato il liceo della riforma Berlinguer?
Sarebbe durato cinque anni. Ci sarebbero state innovazioni per i primi due anni nei quali avremmo allargato la base culturale comune, oggi sacrificata nei tecnici e nelle professionali. Noi volevamo allargare l'area comune del curricolo e non restringerla separando i due canali come fa Bertagna. Il fatto che l'obbligo arrivasse fino al secondo anno del secondo ciclo ci costringeva a trovare un equilibrio fra l'area comune e discipline di indirizzo. Inoltre avremmo ridotto la disperante quantità di indirizzi liceali. Al Ministero dell'Istruzione nessuno sapeva esattamente quanti fossero, fino a quando abbiamo scoperto che un impiegato dell'ufficio che si occupava di esami di maturità era il solo detentore del prezioso segreto: e ci rivelò che erano oltre 110.

Qual è il rimprovero principale che muove alla riforma Bertagna?
Le differenze con la bozza Bertagna sono pesanti. Nella legge 30 avevamo 7 anni di scuola base e due orientativi ma dentro un percorso comune. Qui abbiamo 8 anni comuni ma non unitari più un anno dell'obbligo che si spenderà o nella scuola o nella formazione. In questo modo il problema dell'orientamento rifluisce nella scuola media rendendola ancora più dura. E' la vittoria del Liceo gentilianamente inteso. La nostra riforma dei cicli consisteva nello spostare il grande "centro" rappresentato dai licei nella scuola di base. Nel complesso l'insieme di idee della riforma Bertagna sono per un verso reticenti per un altro pericolosissime. Reticenti perchè di fatto non affrontano il nodo dei contenuti e della loro revisione mentre noi lo avevamo fatto preliminarmente. Pericolosissime perchè si propongono di dividere l'enciclopedia curricolare in materie obbligatorie e facoltative dove nelle facoltative rientreranno tutte le materie non liceali. Questa è la conferma del gentilianesimo di fondo della riforma Bertagna. La differenza tra la nostra riforma e la loro riforma è tra chi voleva cambiare la scuola perchè non era abbastastanza aperta al mondo e chi voleva cambiare perchè la scuola si era troppo aperta al mondo. Per ora prevalgono questi ultimi.

Che cosa accadrà alla scuola italiana una volta attuata la riforma Moratti-Bertagna?
Si svuoterà di senso. Questa riforma prescinde dalle esigenze di una società che investe enormemente sulle conoscenze ed è costretta a farlo fuori della scuola. Lo fa con il mercato, con i media e ormai ha accettato l'estraneità della scuola dal mercato, dai media eccetera. Un bambino di scuola elementare è maestro dei suoi insegnanti in fatto di computer e di lingue straniere. Questo accade perchè la società ha investito in lui a prescindere dalla scuola. La scuola italiana avrebbe dovuto muoversi per far fronte a questo movimento di redistribuzione di funzioni, ma non lo ha fatto.

Lanci una sfida al ministro Moratti.
Io sfido la Moratti a mettere i computer in classe. Non nei laboratori, chiusi come dei libri in biblioteca, ma nelle aule, così come i libri stanno negli zainetti o sui banchi. Il computer deve essere usato come una lavagna. Ma la Moratti non ce la farà mai. E sa perchè? Perchè non lo consentiranno gli insegnanti i quali hanno paura di perdere la loro centralità. Il sapere della Rete non è gerarchico, non è disciplinare, mentre gli insegnanti preferiscono le gerarchie e le discipline tradizionalmente intese. Io sono per una scuola "indisciplinata" non nel senso del sette in condotta ma nel senso epistemologico.