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Il Nord svuota la Scuola: via 8 miliardi e 200 mila statali

La tensione sale. I sindacati sono sul piede di guerra pronti, persino, allo sciopero generale. Sul regionalismo differenziato, la richiesta di autonomia di Veneto, Lombardia e Emilia Romagna, la scuola è la madre di tutte le battaglie

09/02/2019
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Il Messaggero

La tensione sale. I sindacati sono sul piede di guerra pronti, persino, allo sciopero generale. Sul regionalismo differenziato, la richiesta di autonomia di Veneto, Lombardia e Emilia Romagna, la scuola è la madre di tutte le battaglie. Il Veneto, al solito, è partito lancia in resta. Vorrebbe l'en plein. Spostare da Roma a Venezia il controllo di tutto il personale che lavora nell'istruzione, più di 70 mila persone presenti nella Regione. Il ministero dell'Istruzione ne uscirebbe fortemente depotenziato. E a rischio, hanno fatto notare Cgil, Cisl e Uil, che hanno scritto una dura lettera al premier Giuseppe Conte, ci sarebbe anche il rispetto della Costituzione. Così le richieste potrebbero essere ammorbidite. Le Regioni, nella nuova proposta di autonomia, potrebbero chiedere il controllo solo dei nuovi assunti e di poter firmare contratti integrativi regionali, ma fermo restando che il pagamento degli stipendi sia spostato dal ministero verso le Regioni. Il risultato non cambierebbe. Se Lombardia e Veneto percorressero questa strada, passerebbero di mano 8 miliardi di spesa pubblica: 2,7 per la Regione guidata da Luca Zaia e 5,3 miliardi per quella di Attilio Fontana. Veneto e Lombardia, insomma, vorrebbero più soldi per la scuola. E per ottenerli hanno bisogno di trasferire la spesa storica dallo Stato ai loro bilanci. L'obiettivo è anche di pagare di più gli insegnanti locali attraverso contratti integrativi regionali. La quantità di persone coinvolte in un cambiamento simile, è enorme. Nella scuola sono impiegati circa 856 mila docenti statali, considerando sia quelli di ruolo sia i supplenti annuali, e circa 207 mila impiegati statali Ata per un totale, quindi, di circa 1.063.000 lavoratori. Solo in Lombardia sono oltre 130 mila i docenti, nel Veneto 65 mila: quasi 200 mila insegnanti pari ad un quarto del totale nazionale. Il ministero dell'Istruzione ne uscirebbe fortemente indebolito. Una macchina che deve gestire un quarto di persone in meno sarebbe sovradimensionata rispetto alle nuove esigenze. E i contraccolpi si sentirebbero anche sull'Economia che gestisce i pagamenti. Le regioni del Nord portano avanti le lezioni scolastiche basandosi sul lavoro di docenti e personale Ata proveniente dal Sud. Principalmente da Campania, Calabria, Puglia e Sicilia. Ma se è vero che nelle regioni del Nord è più facile ottenere una cattedra o una supplenza rispetto a quanto accade invece nelle regioni del Sud dove i posti per lavorare non ci sono, è anche vero che al Nord la vita costa molto di più. Che cosa significa? Da un lato le trasferte diventano troppo onerose per lo stipendio di un docente, dall'altro va da sé che gli stessi laureati del Nord non prendono in considerazione l'insegnamento perché in altrisettori si guadagna di più e c'è maggiore possibilità di far carriera. La chiave di tutto quindi, stando al ragionamento del Carroccio, sarebbe l'aumento dello stipendio del personale scolastico delle regioni che spingono per l'autonomia.
IL MECCANISMOCome si farebbe? Con un contratto integrativo regionale che vada ad appianare la differenza del costo della vita, ad esempio, tra Milano e le province campane o pugliesi. Il contratto e l'assunzione resterebbero statali, e si aggiungerebbe solo un contratto integrativo su base regionale. A Milano si spende mediamente il 30-35% in più per vivere? Vorrà dire che lo stipendio dovrà essere aumentato in base a quella percentuale, avvicinandocisi il più possibile. E allora se lo stipendio medio mensile al netto delle trattenute di un insegnate della scuola media, dopo 10 anni di lavoro, è di 1470 euro, in Lombardia ad esempio si potrebbe arrivare a firmare un contratto integrativo regionale pari a 441 euro. Per una città come Roma, dove il costo della vita è uguale se non maggiore di quello dei centri del Nord, le differenze sarebbero destinate ad ampliarsi. Una beffa per chi fa, in fin dei conti, lo stesso lavoro. Sarebbe un invito per i laureati del Nord a scegliere la scuola come strada per una carriera lavorativa appetibile, mentre scoraggerebbe la migrazione di insegnanti dal Sud. Per realizzare un quadro simile servono i fondi. Le regioni che sceglieranno l'autonomia scolastica, per garantire i contratti integrativi regionali ai docenti potrebbero aver bisogno di trattenere parte delle imposte altrimenti versate allo Stato. Ancora una volta impoverendo le strutture centrali della Capitale.
Andrea Bassi
Lorena Loiacono


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