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Il nodo irrisolto delle cattedre Oltre 60mila ancora scoperte

Quando lunedì prossimo 8 milioni di bambini e ragazzi torneranno finalmente in classe dopo più di sei mesi di stop, molti di loro dovranno fare i conti con un sacco di caselle mancanti

07/09/2020
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Corriere della sera

Orsola Riva

di Orsola Riva

Che quest’anno parta in salita è un fatto. Che sia solo colpa del Covid però è una bugia bella e buona. Mentre governo e opposizione hanno trascorso l’estate a litigare su banchi a rotelle e mascherine come se fossero l’unico problema della scuola italiana, il rientro in classe sta per essere travolto da un’altra emergenza che non ha niente a che vedere con quella sanitaria. Quale? Quella delle cattedre vuote.

Quando lunedì prossimo 8 milioni di bambini e ragazzi torneranno finalmente in classe dopo più di sei mesi di stop, molti di loro dovranno fare i conti con un sacco di caselle mancanti: la prof di matematica che ancora non si è trovata, quella di italiano che forse arriverà a fine mese o forse no, idem con l’inglese e così via.

Ma come? La ministra Lucia Azzolina non era riuscita a strappare al Mef la cifra record di 84 mila nuove assunzioni che dovevano servire a rimpiazzare i pensionati? Sì, ma proiezioni dei sindacati alla mano, ne sono andate a buon fine poco più di un quarto: 24 mila. Mentre 60 mila posti restano scoperti.

Il fallimento

Ed è andata anche peggio con la «call veloce» — altra strombazzata novità di quest’anno —, che in teoria doveva servire a richiamare (volontariamente) frotte di precari meridionali al Centro-Nord, dove ci sono più buchi, ma alla prova dei fatti si è rivelata un flop: in Lazio sarebbero arrivate in tutto tre domande (su 5.000 mila posti vuoti), in Lombardia 59 per 15 mila (di cui più di un terzo per il sostegno). «Ci sono margini di miglioramento», ammette Azzolina, che conta 2.500 domande in tutta Italia.

Ma è difficile immaginare che una madre di famiglia di 40-50 anni (questa l’età media dei precari) sia disposta a lasciare la famiglia per 5 anni — tanto più ora che con il Covid la libertà di movimento potrebbe essere di nuovo sospesa in caso di lockdown localizzati — per uno stipendio di 1.300 euro che se ne andrebbe via quasi tutto fra affitti e viaggi di andata e ritorno. Il problema, ormai, è che anche al Sud, tradizionale bacino di riserva della scuola, mancano i candidati. Non solo per andare al Nord, anche per restare a insegnare sotto casa.

In base a un’elaborazione fatta dalla Cisl Scuola, in Campania sono state assegnate 2.600 cattedre su 4.600, in Puglia 1.800 su più del doppio, in Sicilia è andata un po’ meglio (meno di duemila su 3.200) ma in Sardegna è stato un disastro: 650 su 2.800. Certo il record negativo spetta al Piemonte e al Veneto (1.600 e 1.750 assunti per novemila posti ciascuno), ma ormai la fame di insegnanti morde ovunque.

I concorsi impossibili

Una voragine che non si è aperta all’improvviso, ma si è allargata anno dopo anno per l’incuria dei governi che si sono fin qui succeduti. Già a settembre 2019 delle 54 mila assunzioni previste ne erano andate in porto solo il 40 per cento e l’anno prima la metà. Come mai? Semplice: mancano i candidati. Nella scuola italiana, infatti, si entra da due porte: una è quella delle graduatorie dei precari, l’altra sarebbe (il condizionale è d’obbligo) quella dei concorsi. Ma le prime sono state in gran parte svuotate dalla Buona Scuola (e pazienza se su 55 mila assunzioni fatte da Renzi, di prof di matematica ne sono arrivati solo 9 in tutta Italia). E le seconde sono vuote perché non si fanno i concorsi, o comunque se ne fanno troppo pochi.

Negli ultimi trent’anni quelli «veri» si contano sulle dita di una mano: 1990, 1999, poi — dopo il lungo stop imposto dai tagli all’istruzione durante i governi di centro-destra — c’è stato un mini concorso con Profumo, poi il disastro del concorso del 2016 che ha decimato i candidati (tutti precari con l’abilitazione in tasca) salvo poi ripescarli con un orale-farsa nel 2018 che ha tirato dentro tutti, anche quelli che non servivano alle scuole.

Girandola di ministri

Due anni fa era toccato al ministro Bussetti promettere di bandire un nuovo concorso entro l’estate ma poi il Conte 1 ha lasciato la mano al Conte 2, il ministro meteora Fioramonti quasi non ha toccato palla e si è arrivati ad Azzolina. Ad aprile finalmente avevano visto la luce i bandi per tre nuovi concorsi da 78 mila posti (quasi 13 mila per le maestre e 65 mila per i prof delle medie e delle superiori: metà riservati ai neo laureati e metà ai precari), ma sono rimasti impigliati nel braccio di ferro fra la ministra e i sindacati che — vista l’emergenza Covid — chiedevano di soprassedere al concorso e fare un’ennesima sanatoria.

Lo scontro nel governo

A far saltare la prova, che era già stata prevista per l’estate in modo che i primi 32 mila prof potessero salire in cattedra a partire da settembre, ci hanno pensato il Pd e Leu, schierandosi compatti contro i quiz a crocette. Azzolina ha incassato il no degli alleati ma ha tenuto duro sul concorso (riveduto e corretto: ora dovrebbe essere a domande aperte). Se il Covid lo permetterà dovrebbe tenersi in autunno, ma ormai comunque per le assunzioni dei precari se ne riparlerà l’anno prossimo, mentre i neolaureati — fra prova preselettiva, scritti, orali e immancabili ricorsi — bene che vada potranno essere assunti nel 2022.


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