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Il Mattino-Lettera a Don Milani-di Marco Rossi Doria

di Marco Rossi Doria Come tanti della mia generazione, ho letto Lettera a una professoressa nell'estate del 1967: il libro fu pubblicato a maggio di quell'anno dai ragazzi di Barbiana. Ci raccont...

22/05/2002
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Il Mattino

di Marco Rossi Doria
Come tanti della mia generazione, ho letto Lettera a una professoressa
nell'estate del 1967: il libro fu pubblicato a maggio di quell'anno dai
ragazzi di Barbiana. Ci raccontò che c'era un'altra Italia, grande,
generosa che produceva vino, olio, grano, automobili, rotaie, lavatrici,
che aveva i suoi quindicenni - come me - che però, erano cacciati dalla
scuola che, invece, era un diritto per tutti.
Leggemmo in un'estate. Urlammo per la via quest'ingiustizia, a lungo. E
scoprimmo, lungo quella via, tutte le altre cose ingiuste che il mondo
offre alle sue anime.
Ho serbato il ricordo di quell'estate e della voglia che avevo di
scrivere a Don Lorenzo per ringraziarlo perché mi aveva mostrato il
mondo.
Ma Don Lorenzo era morto e mi convinsi che ai morti non si può scrivere:
è così, i ragazzi si convincono delle cose.
Ma sono passati trentacinque anni e ora sono convinto del contrario: ai
morti si può scrivere.
Caro Don Lorenzo, ti voglio raccontare due cose.
La prima: sai, ora i figli dei contadini della tua montagna vanno a
scuola, ma sono pochi, perché sono rimasti in pochi i contadini come
quelli che sai tu. Ma altri centomila ragazzi ogni anno non vanno a
scuola, sono figli di persone che lavorano e che non lavorano, che
litigano in famiglia, che non litigano in famiglia, che sono poveri
perché hanno pochi soldi in una nazione troppo ricca, che sono poveri
perché non sanno chi sono e si perdono davanti a se stessi e davanti ai
loro figli. Li conosco, li porto a scuola ma tutto sembra non bastargli
e sono presi da un demone che si fa fatica a frenare. Parlo coi loro
genitori e alzano le spalle: perché tutto
questo ? Alcuni ritornano a imparare ma è come se portassero dei macigni
sulle spalle e spesso si accontentano di lavorare per quattro soldi
mentre i tuoi alunni andavano alla tua scuola 365 giorni all'anno per
otto ore al giorno per non finire operai e contadini come i loro babbi.
Ci penso, osservo, studio ma faccio fatica a capire: perché tutto questo
?
La seconda: ti ricordi la lettera che scrivesti il 10 di novembre del
1959 a Giorgio Pecorini ? Beh, diceva così: ". Se dicessi che credo in
Dio direi troppo poco perché Gli voglio bene. E capirai che voler bene a
uno è qualcosa di più che credere nella sua esistenza !! E' per me è
così per tutto il resto della dottrina.. Ma è un fatto che quando si
parla di scuola, le persone che meglio m'intendono sono i liberali,
quelli liberali davvero però.E' perché la maniera di concepire la scuola
è identica: un'assoluta indifferenza per i dogmi. Loro non li rammentano
mai perché non ci credono. Io non li rammento mai perché ci credo. Ecco
perché la mia scuola è assolutamente aconfessionale, come quella di un
liberalaccio miscredente"
Sai, Don Lorenzo, ti ho ricordato questa vecchia tua lettera perché ora
quelli che si dicono liberali vogliono la scuola confessionale, quella
con i dogmi.
Ci penso, studio ma faccio fatica a capire: perché tutto questo ?