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Il Manifesto-In Italia un progetto arcaico di esclusione sociale

In Italia un progetto arcaico di esclusione sociale "Credo nel sapere del lavoro, e difendo la riforma dell'Ulivo. Quella di Moratti è l'opposto". Intervista a Andrea Ranieri, Cgil COSIMO ROSSI ...

18/12/2001
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il manifesto

In Italia un progetto arcaico di esclusione sociale
"Credo nel sapere del lavoro, e difendo la riforma dell'Ulivo. Quella di Moratti è l'opposto". Intervista a Andrea Ranieri, Cgil
COSIMO ROSSI

"Secondo me non è vero che questa scuola forma al lavoro: costruisce due canali separati come logica conclusione di un altro tipo di percorso che io definisco del familismo individualista". Andrea Ranieri, responsabile formazione della Cgil nazionale, analizza il progetto di riforma Moratti a partire dal nesso fra scuola e lavoro, che del resto era stato al centro delle riforme del centrosinistra, nonché delle critiche a una parte del loro impianto. Ranieri spiega qui che la scuola della Moratti è l'opposto del modello di "integrazione" pensato dall'Ulivo.

Molti dei giudizi critici nei confronti della proposta elaborata dalla commissione Bertagna partono dal fatto che si tratta di una riforma fatta per preparare al lavoro, dove la scuola viene resa subalterna all'impresa...

Mi pare un giudizio impreciso. E' una scuola che non prepara neanche al lavoro così come è cambiato. Infatti assume come asse il modello duale, scuola e formazione, quando i paesi che l'hanno adottato, soprattutto la Germania, lo stanno abbandonando e rivedendo.

Perché?

Il duale è tipico di un mercato del lavoro strutturato: nasce intorno alle grandi aziende industriali e forma per mestieri stabili, mentre oggi hai bisogno di apprendimento continuo, perché nessun mestiere s'impara più per puro e semplice addestramento. Quindi la proposta Bertagna è anche in controtendenza. La Confindustria tedesca ha spiegato a quella italiana che per loro è fondamentale che la gente vada a scuola fino a 16 anni e che il problema è alzare il livello culturale dei tecnici, non separare di più i canali. In secondo luogo la proposta Bertagna tende a ridurre il passaggio all'università di chi ha frequentato la scuola tecnica, in controtendenza rispetto alla riforma dell'università che prevedeva il diploma triennale.

Con quale logica di fondo, secondo la Cgil?

La logica di inseguire la professione, per determinarla nella maniera più precisa. Così spariscono l'educazione permanente, la formazione ricorrente, su cui infatti non c'è una parola. Ma l'idea della formazione per tutta la vita è l'anima di una riforma: per usare una metafora, la scuola può dare solo semilavorati, non prodotti finiti; la professionalità si forma poi nei contesti. Invece loro inseguono proprio le professioni e, ahimè, avendo come riferimento l'industria, quando i giovani che si impiegheranno nell'industria nei prossimi anni saranno sì e no il 15 per cento di chi uscirà dalla scuola.

Nella proposta Bertagna la canalizzazione avviene al termine delle medie, ma in realtà si comincia a separare i bambini già dalle elementari, con la riduzione del tempo scuola e l'aumento delle ore facoltative e a scelta delle famiglie...

Quindi chi è in grado di esprimere una domanda economica e culturale potrà scegliere la musica, la lingua, attività culturali; gli altri sono consegnati a una scuola minore. Quando come sindacati abbiamo pensato l'obbligo formativo a 18 anni noi usavamo lo slogan "non uno di meno": una scuola che non disperda nessuno. Oggi, di fronte alle famiglie che capiscono che l'istruzione dei figli è importante, Moratti dice invece: "chi può si salva chi non può si arrangia", dove chi può è effettivamente chi è nelle condizioni economiche e culturali per farlo. Un messaggio devastante, ma che può persino trovare qualche consenso nell'epoca dell'individualismo di massa.

A quel messaggio, però, anche il riformismo del centrosinistra ha dato il suo contributo, parlando forse troppo spesso di finalizzazione degli studi al lavoro, e aprendo così il varco al primato delle famiglie e alle loro ansie competitive...

Io sono convinto che dobbiamo riproblematizzare il problema scuola-lavoro. Sono per una scuola che assuma le trasformazioni del lavoro come dato culturale: se un ragazzo non ha la sensazione che ciò che fa gli serve per il futuro, non ha voglia neanche di studiare il passato.

Questa era l'idea alla base del riordino dei cicli?

L'idea che avevamo nel patto di Natale era l'integrazione, in cui ci potevano essere percorsi diversi, ma con un filo che li unificava.

Resta il fatto che la finalizzazione dell'istruzione al lavoro sembra sovrintendere a tutti i ragionamenti, quando invece oggi la conoscenza vale forse più del lavoro.

A La Spezia un liceo organizza un corso assieme alle botteghe del restauro che, oltre alla maturità, fornisce un diploma per chi sa lavorare pietre antiche. L'università di Pisa, che collabora al progetto, riconosce questo come un credito nel percorso di studi, nell'idea che avendo toccato i materiali uno diventa un architetto migliore. Per me questo intreccio col lavoro è la ricomposizione di una persona che impara anche con le mani. E' bene che i ragazzi studino, ma che nel loro studio ci sia anche l'idea che il lavoro è la cosa che trasforma il mondo; che la scuola sappia riconoscere anche il livello teorico delle cose che si tirano fuori dal lavoro, che sono tante e importanti. Proprio perché sono convinto che il sapere è sempre più fondamentale, bisogna riconoscere i saperi dei lavori: io resto ancora affezionato a "metà studio metà lavoro".