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Il flop dei concorsi in Italia: chi seleziona chi?

di Mila Spicola

18/08/2014
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Ultimo arrivato nel lungo elenco degli strafalcioni in test selettivi per accedere a concorsi è quello per il TFA 2014. Tirocinio Formativo Attivo, cioè il corso di un anno che si frequenta all'Università per poter accedere alle supplenze, cioè al primo gradino della splendida carriera di insegnante italiano, pagando fior di quattrini.
Non voglio entrare nel terreno di valutazione del TFA, se servano al futuro docente o servano per rimpinguare le casse vuote degli atenei e far guadagnare qualcosa a giovani ricercatori sempre a caccio di un tozzo di pane.
Parleremo in questo post di validità delle selezioni per accedervi. Ad oggi sono un disastro. Anche i test di quest'anno sono farciti da gemme di ignoranza.
Ma l'elenco è lungo e non privo di sorprese. Non esiste uno che si dica uno test selettivo di ammissione a concorsi organizzati dal Miur in Italia che non sia funestato da errori, bachi, domande con risposte multiple immaginifiche. Con relative piogge di ricorsi.
Questo comporta forti, fortissimi dubbi poi sul personale selezionato.
Ma ancor più forti dubbi relativi ai selezionatori.

E allora mi vien da dire che in Italia, al di là della retorica sulla "valutazione necessaria", agitata come un vessillo dai crociati dell'efficienza, tale valutazione sia una illustre sconosciuta.
Cioè è lecito nutrire forti perplessità non tanto e non solo sui valutati, ma soprattutto e sempre sui valutatori. Allargando i dubbi ai meccanismi di valutazione.

Alcuni esperti addebitano la cosa alla tradizione dei paesi latini, usi a metodi e processi valutativi di tipo orientativamente qualitativo a fronte dei paesi anglosassoni esperti in sistemi selettivi e valutativi di tipo quantitativo.

Al di là del giudizio di preferenza sull'uno o l'altro metodo, anche perchè verrebbe qualcuno a dirmi che il rigorosamente quantitativo reca con sè tracce di qualitativo e viceversa, e, ancor più, in Italia, sia l'uno che l'altro falliscono, banalmente dico che, a voler fare dell'efficienza e dell'efficacia le bussole della vita sociale pubblica e privata, ognuno dovrebbe essere chiamato a fare ciò che sa far meglio.Da noi il "quantitativo" fallisce miseramente ad ogni tornata. A voglia preferirlo per l'obiettività, la semplicità organizzativa.
E se qualcuno mi convince del fatto che sui grandi numeri solo con metodi quantitativi e standardizzati puoi agire io osservo ciò che accade in Italia, puntualmente, ad ogni concorso e affermo che fallisce tanto quanto i vecchi metodi.

Arriva sempre il tizio intelligente che dice: aboliamo i concorsi. Io dico: impariamo a farli.
Come quello che dice aboliamo le province, aboliamo le regioni, aboliamo le autonomie speciali.
E poi si ritrova il caos delle funzioni non riassegnate.
Io dico: impariamo a far bene le cose e non avventuriamoci nell'ignoto. A meno di farlo benissimo e meglio di bene.

Qualunque cosa, impariamo a farla bene? E impariamo a sanzionare definitivamente chi sbaglia? Non solo chi commette lo sbaglio, ma chi è responsabile del processo.
Accountability, giusto? Senza deroghe. Perchè i concorsi non possono abolirsi. Così come l'idiozia non può travolgere gli ultimi barlumi di giudizio.

In Italia i valutatori i test non li sanno preparare, organizzare, svolgere, correggere. E' un dato certo. Cioè non solo sono spesso errati i test in sè, con strafalcioni nelle singole domande, ma le intere procedure annegano sempre nell'indistinto. Solo che le domande son visibili ai più, gli errori procedurali meno.Ma ci sono, eccome se ci sono. Dai cellulari ammessi, ai libri consultati tranquillamente, dalle discrezionalità diverse da aula ad aula. Questo a valle. A monte c'è di peggio. E il pesce da che mondo è mondo puzza sempre dalla testa. Roba che l'irregolarità, leggi l'imbroglio, diventa l'unica regola ammessa in ogni tipo di selezione. Altro che "il quantitativo ci salva perchè è uniforme e obiettivo". E' obiettivamente aggirabile qualunque cosa in un paese che ha fatto dell'irregolarità il suo costume sociale base e dove il soggettivo trionfa sempre.

Altra critica, questa di metodo, non di etica, che può farsi alle nostre procedure selettive nel pubblico: di fronte ai grandi numeri da selezionare, le prove preselettive quantitative (cioè i test), nei paesi che le sanno fare e bene da decenni, non si soffermano ad accertare come primo livello selettivo le conoscenze ma le attitudini.
Competenze e conoscenze vengono poi accertate negli altri livelli selettivi del concorso, con il campione più ristretto di coloro che han superato i test.
Ma "il grosso" viene esaminato in test psico-attitudinali, che accertano la predisposizione a seconda del tipo di lavoro che si sarà chiamati a svolgere.
Questo comporta maggiore rigore e maggiore efficacia dei processi di selezione. Va da sè: maggiore professionalità nel personale immesso.

Da noi invece abbiamo in ogni singolo concorso almeno 4 livelli di selezione, magari con modalità diverse, test, tema, prova scritta, saggio, prova orale, ma che accertano sempre e solo una cosa: conoscenze. Più raramente competenze.
Attitudini mai. Eppure, nei concorsi fatti bene, dovrebbe essere il primo livello di ammissione a un concorso. Dopo aver stabilito i criteri quantitativi e certificativi di base (età, titoli di studio, esperienze).

Da noi le attitudini, non le conoscenze, bensì le attitudini all'insegnamento (ma vale per quasi tutti i concorsi nel pubblico servizio) chi le accerta e valuta in ingresso? Nessuno. Andiamo ancora più a monte: dovremmo persino soffermarci a identificarle, stabilirle e saperle valutare. Cosa che mai mai. La ricerca educativa è al palo in Italia e gli argomenti indagati e aggiornati in tale ricerca si affievoliscono sempre di più. Di attitudini e competenze del bagaglio della professione docente si parla e si studia e si ricerca pochissimo.
Le attitudini non sono "un dono divino", un "talento innato", altro grande equivoco delle società arretrate, sono strumenti professionali che si identificano e coltivano tanto quanto le conoscenze e le competenze. Eppure nessuno individua, forma e valuta, nè nel percorso formativo, nè all'ingresso nel percorso selettivo,  nè nel processo professionali in itinere.

Poi però ci mettiamo tutti in croce in discussioni infinite e inutili sulla valutazione dell'operato degli insegnanti le cui carenze spesso riguardano carenze attitudinali prima che professionali.
La maggior parte delle eventuali "inefficienze" deriva da scarsissime attitudini psico-attitudinali (che possono comunque acquisirsi prima dei processi selettivi, lungo il corso degli studi, e difficilmente recuperarsi dopo, una volta che si è in cattedra): ci vuole una psiche bestiale per fare il docente. Infatti il 65% dei docenti, dopo 20 anni d'insegnamento va in burn out, gli si brucia il cervello. Vero è ben anche al docente con attitudini ottime, viste le condizioni di lavoro e di pessima organizzazione, ma al docente con scarsa attitudine l'embolo gli parte persino prima.
Però non vengono esaminate in nessun processo selettivo e invece son persino più "semplici" da esaminare nelle prove di selezione coi grandi numeri.
I test psicoattitudinali professionali ( che nascono nel mondo militare durante le due grandi guerre e poi si diffondono velocemente in tutti gli altri ambiti) infatti sono quelli che hanno una tradizione più antica nel mondo internazionale del lavoro.

Per tornare alla scuola, è ovvia la considerazione che si può essere un brillante matematico ma un pessimo docente di matematica.
Noi non solo non li facciamo, ma gli altri test che facciamo, quelli di conoscenze e competenze, li toppiamo dieci volte su dieci.
Insomma c'è del marcio in Danimarca e al Miur nemmeno si scherza. In quanto a procedure fallimentari ogni anno ci regalano sorprese. Dai test del concorso a preside, a quelli del concorsone, al Tfa...Non se ne azzecca una. E ogni anno la colpa è sempre delle famose "società esterne a cui ci affidiamo".

Ma i responsabili dei processi e delle procedure non dovrebbero essere ministeriali? Chi seleziona i dirigenti ministeriali? Che attitudini, conoscenze e competenze mostrano anno dopo anno quando ci caricano di tali fallimenti? Chi ne valuta le attitudini all'ingresso, le conoscenze e competenze in ingresso e poi in itinere?
Quale grande mente e quale braccio mettono in piedi i processi valutativi in Italia? Che principi seguono le procedure? Chi seleziona i selezionatori? Perchè si affidano puntualmente a società che sbagliano? Sfidando persino la statistica, visto che sbagliano sempre e matematicamente?

Come diceva la mitica preside Bruno alla riottosa neo prof Spicola: "Mila, le procedure, ricorda, le procedure. Son quelle che ti salvano se le conosci, ti incastrano se non le conosci. Puoi essere la prof migliore del mondo."

Ecco, i ministri della Pubblica Istruzione dovrebbero far tesoro dei consigli di una vecchia preside oggi in pensione. Perchè è vero, oggi tutti imbrogliano, ma almeno, dalla testa, si raddrizzino le procedure.

A cosa va incontro il giovane laureato a cui viene la folle idea di voler fare l'insegnante? A una sequela di ricorsi. Ecco, si prepari il candidato in processi e metodi per ricorrere. Sono quelli che lo condurranno in cattedra.
 


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