Il dirigente scolastico e la buona scuola
di Antonio Valentino
Tre questioni nodali Rispetto alla prospettiva e alla costruzione di una buona scuola, le questioni con un peso determinante sono, a mio avviso, soprattutto le seguenti: la stabilizzazione del personale precario; la questione docente, soprattutto sotto il versante della rimotivazione; il problema della governance, con particolare attenzione alla figura del DS.
Anche le altre questioni di cui parla il documento sono ovviamente degne di attenzione, ma ai fini della rimessa in moto del sistema, penso siano meno rilevanti.
Questo perchél'obiettivo che dovrebbe essere considerato principale in questa fase è quello di creare appunto motivazione e coinvolgimento nel personale. Obiettivo che per essere centrato richiede la messa a punto di misure che creino un clima nuovo di impegno professionale e di protagonismo docente (da ciò un no convinto alla soglia del 66% per l’attribuzione degli scatti c.d. di competenza) e il rilancio della funzione del DS, visto come elemento pilota dell’operazione che punta a far ripartire la macchina.
Sulla Dirigenza Scolastica: cosa cambia?
In questo contributo mi preoccuperò soprattutto di quest'ultimo argomento e cercherò di considerarne gli intrecci con aspetti non secondari della questione docente, per come viene rappresentata nelle proposte governative.
Nel documento, l’argomento della Dirigenza è toccato in modo non sistematico, con richiami in punti diversi e piuttosto affrettati e con una visione complessiva che, seppure introduca elementi di novità, nell’insieme dà l’impressione di una non adeguata comprensione della sua rilevanza in questa operazione della “buona scuola”.
Provo a mettere in fila i passaggi sul DS presenti nel documento, riconducibili ai seguenti aspetti: le priorità rispetto alla missione; gli strumenti (poteri, prerogative) aggiuntivi, previsti per il DS nel documento; le condizioni per una operatività efficace.
Il DS “timoniere”. E poi?
Sul primo punto, si richiama, nella sezione 3, l’obiettivo indicato per il DS: “…mettere la scuola nelle condizioni di cambiare rotta”. Al riguardo si ricorre all’immagine del “timoniere” come figura essenziale. Cambiare rotta, invertire la tendenza. Quindi, se ne deduce: innovazione, ma anche qualificazione professionale e rimotivazione, che sono i due nervi scoperti del nostro sistema.
Nel testo, comunque, la dimensione pressocchè unica considerata è quella del DS promotore dello “sviluppo del progetto formativo”, “della didattica e della qualificazione dell’offerta formativa”, attraverso “il coordinamento della progettazione educativa”.
Il fatto che si parli in modo così insistito su questa dimensione fondamentale del la figura del DS appare decisamente positivo.
Quello che non si capisce invece è l’assenza di riferimenti alla sempre crescente complessità del quadro in cui il DS è chiamato ad operare e quindi all’idea di buona scuola nella situazione problematica di oggi. Idea di scuola non come istituzione, in questo caso; ma come “comunità professionale” e assetto organizzativo (con riferimento ai suoi principi regolatori e alla “filosofia” di riferimento). Che rinvia conseguentemente al discorso delle “competenze” con cui il DS andrebbe “attrezzato”.
Questa mancanza, potrebbe anche apparire secondaria nell’economia generale del discorso sulla Buona scuola. Ma non credo lo sia. Ritengo anzi che questa disattenzione alla scuola come organizzazione - che abbia suoi tratti specifici e imprescindibili e coerenti con la sua missione – potrebbe molto realisticamente pregiudicare ogni prospettiva di buona scuola.
Questi limiti vengono fuori soprattutto quando si considerino le novità, per altri aspetti significative, presenti nel documento a proposito di “possibilità e nuove leve” per il DS.
Nuove leve per il DS: modificano qualcosa?
È indubbiamente chiara nel documento la consapevolezza che occorra “attrezzare meglio il DS rispetto ai compiti in parte nuovi dell’attuale fase “ e che gli “va data la possibilità di organizzare meglio il lavoro all’interno della scuola, di guidare il piano di miglioramento…”, ecc. ecc. Queste affermazioni fanno il paio con l’altra che si legge sempre in questa sezione: “(I DS) sono responsabili di (quasi) tutto; ma non hanno nelle loro mani le leve di governo per assumere al meglio tali responsabilità”.
Né vanno d’altra parte sottovalutati alcuni altri passaggi in cui le previsioni di “leve” si fanno più esplicite. Proviamo a metterli in fila:
- 1. I dirigenti scolastici “potranno scegliere tra i docenti coloro che coordinano le attività di innovazione didattica, la valutazione o l’orientamento e premiarne, anche economicamente, l’impegno…. “.
- 2. A tal fine una percentuale del 10% del Fondo “sarà nella piena disponibilità del Dirigente, per remunerare docenti per attività gestionali e di didattica di particolare rilievo per il Piano di miglioramento”.
- 3. Il dirigente scolastico, “consultati gli organi collegiali, potrà in tal modo chiamare nella sua scuola i docenti con un curriculum coerente con le attività con cui intenda realizzare l’autonomia e la flessibilità della scuola. In questo modo le scuole potranno utilizzare la leva più efficace per migliorare la qualità dell’insegnamento: la scelta delle persone”.
Quello che qui si vuole osservare, in coerenza coi i ragionamenti fatti prima, è che i cambiamenti prospettati, potenzialmente utili in sé, diventano “possibilità”, e “leve” di segno positivo, solo se le nuove competenze si collocano dentro una visione che non solo faciliti la costruzione delle decisioni più opportune e valorizzi e premi i docenti più motivati e impegnati, ma che soprattutto preveda, in modo non retorico, quel protagonismo dei docenti, enfatizzato nel documento ministeriale. Protagonismo che nasce solo da condivisione e nuova motivazione; e senza del quale la nuova scuola non parte.
Voglio dire che queste nuove leve e possibilità per il DS, se utilizzate come strumento autoritario e vertistico del potere, passi in avanti non ne fanno fare, anzi.
Su “nuove” leve e “protagonismo degli insegnanti”
Per questo ritengo che vadano previsti provvedimenti che offrano garanzie circa un corretto uso di queste leve, spostando a livelli più alti la soluzione del problema. E quando penso a tali provvedimenti, penso alla opportunità-necessità di una cultura dirigenziale – da formare e/o sviluppare - in cui giochi un posto importante l’idea di leadership diffusa e della relazione positiva e collaborativa come obiettivo principale.
(D’altra parte è lo stesso documento ministeriale ad affermare che “La rinnovata definizione dei poteri e delle responsabilità del dirigente scolastico” vada “bilanciata da un nuovo protagonismo dei docenti ..”. )
Ma penso vada prioritariamente e urgentemente ripresa - e chiusa - l’annosa questione della valutazione del DS (prevista dal CCNL del ’99!), fatta però come Dio comanda. Valutazione che possa funzionare anche come elemento di contrasto nei confronti di comportamenti che non favorissero cooperazione e partecipazione.
Quindi, bene le misure, a condizione che si operi contestualmente perché i rischi vengano prevenuti e contrastati.
Se questa ottica ha un senso, penso, ad esempio, che sia sbagliato attribuire al DS la scelta delle figure di coordinamento dei Consigli di classe e interclasse e dei gruppi di dipartimento. Ma anche di tutte le commissioni e gruppi di lavoro in cui il livello di autonomia organizzativa dei partecipanti sia tale da rendere inopportuna una imposizione dall’alto di queste figure.
Come pure ritengo che andrebbe piuttosto messo l’accento, nella prospettiva delle buona scuola, sull’idea di scuola come comunità professionale o – come forse sarebbe meglio dire – rete di comunità di pratiche (le articolazioni del Collegio: consigli di classe, di dipartimento ecc.). Che è idea motrice in ogni processo di miglioramento – come è riconosciuto dalla ricerca internazionale più avanzata sulle strategie – che si avvalga del protagonismo dei docenti. Non però dei docenti come monadi – o immagini assimilabili –, ma dei docenti come team; come comunità di pratiche e di apprendimento, appunto. Questo perché, il protagonismo, in una istituzione come la scuola, ha senso e dà risultati solo se poggia sulla dimensione collettiva del lavoro e su forme estese di cooperazione (vs monadismo e autoreferenzialità). E, ancora, se poggia su una idea di leadership di scuola dove le figure di organizzazione didattica e gestionale non siano al servizio del “capo”, ma espressione di una comunità professionale responsabile nella vita dell’istituto.
È questa visione, funzionale alla Buona scuola, quella per la quale può valere la pena di impegnarsi. Perché porta dietro di sé un’idea della dirigenza che si ritiene possa riuscire ad esprimere il meglio di sé rispetto alla sua missione, in quanto sostenuta da una rete di collaborazioni e condivisione.
In assenza della quale non si va da nessuna parte.
In questa prospettiva, le funzioni di un DS della “buona scuola” mi appaiono essere piuttosto quelle di
- animare una comunità professionale curandone il fuzionamento complessivo, le sue articolazioni, l’orientamento al risultato;
- individuare, valorizzare e coinvolgere figure di riferimento e di collegamento, coordinandole e facilitando le collaborazioni,
- garantire coerenze interne (di obiettivi e strumenti) e attenzione alle specifiche necessità.
Sulla terza misura prevista (la chiamata diretta),infine. Quii ragionamenti sono più complicati, perché più complicata e problematica la materia.
Comunque ritengo che non sia allo stato attuale una priorità e che la questione – non certamente un tabù - andrebbe affrontata all’interno della più generale proposta dell’organico funzionale (a livello di scuola e di territorio). Dentro la quale potrebbe trovare risposte opportune.
La valutazione dei docenti: una ipotesi di lavoro
C’è ancora un punto delicato e fondamentale che va messo in primo piano, parlando delle nuove competenze e responsabilità del DS: quello riguardante il discorso dei crediti e dei soggetti che presiedono alla valutazione delle varie tipologie di attività, azioni, comportamenti, da prevedere e definire.
Valutazione da prevedere comunque come pratica agile e semplificata, cui attribuire possibilmente anche una dimensione formativa.
Sappiamo che il documento governativo attribuisce ai Comitati di valutazione interni alle scuole tale valutazione: sia per crediti attribuiti annualmente, sia quella definitiva, a conclusione del triennio.
Mi sembra che su questo aspetto si rilevi una incoerenza. Infatti, il documento, sebbene attento a riconoscere al DS quelle leve che gli permettano di incidere sui processi che producano miglioramenti, relega poi il DS ad una funzione marginale sulla valutazione dei docenti per il riconoscimento dei crediti. Questa marginalità contraddice anche uno dei tratti fondamentali della dirigenza: la responsabilità rispetto ai risultati.
Penso che in questa fase, se vogliamo che il ds possa funzionare come elemento propulsivo di una situazione che va messa in movimento, bisognerebbe pertanto prendere in considerazione l’ipotesi che la competenza valutativa per il riconoscimento dei crediti sia in capo al DS. Che si avvale ovviamente delle informazioni utili e fondate provenienti anche da altre fonti e che acquisisce obbligatoriamente le valutazioni “orientative” del previsto Comitato di scuola.
Ovviamente per questa eventuale opzione vale il discorso dei rischi che si è fatto a proposito delle nomine delle figure di coordinamento e collaborazione e del 10% del MOF utilizzabile dal DS. E quindi il discorso delle misure da prevedere contestualmente per evitare derive pericolose: cioè, un sistema di valutazione del DS affidabile (va ribadito) – che poggi su una idea non burocratica di rendicontazione -, ma anche, sul punto, una formazione mirata; assieme a competenze che attengono al profilo generale del dirigente di una istituzione che dovrebbe funzionare anche come comunità professionale.
Si tratta comunque di terreni delicati e scivolosi in cui il discorso dei rischi va affrontato senza improvvisazione e prevedendo garanzie su criteri, parametri e punti fermi.
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