Il direttore del Censis "Al bando i sovranismi vince chi sa fare rete"
Intervista
Il.Ve.
Massimiliano Valerii, direttore generale del Censis, non ha dubbi: «L’unico meccanismo che abbiamo per rimettere in moto l’ascensore sociale bloccato da troppo tempo e che colpisce i giovani è puntare sulla formazione e l’innovazione che passano dal sistema universitario».
Facile a dirsi, ma il contesto non aiuta: per formazione e istruzione l’Italia spende il 3,9 per cento del Pil, contro una media europea del 4,7. Siamo davanti solo a Slovacchia, Bulgaria e Romania.
«È questo il punto. E non è solo una questione di mancati investimenti. Imbarazzante è l’assenza dell’università nelle priorità di governo, e non da oggi. Non c’è solo un difetto di spesa pubblica, manca una programmazione politica su questo. Si vede il risultato: il Pil, ma non solo».
Lei ha sempre insistito sulla necessità per le università di essere internazionali: ne è ancora convinto?
«Più che mai, è l’altra strada da battere, non c’è spazio per nessun ritorno di sovranismi nazionali, il sistema accademico deve intessere sempre più reti europee.
Invece siamo in ritardo».
Il nostro sistema è poco attrattivo oltre confine?
«Passi avanti sono stati fatti. I corsi di laurea in lingua inglese, per esempio, sono cresciuti negli ultimi tre anni del 37%: rappresentano ormai il 7 per cento dell’offerta formativa. Ma a trainare sono soprattutto gli atenei privati, che offrono il 24% dei corsi internazionali contro il 18% degli atenei statali. La Luiss ha il sito internet tradotto anche in cinese, per dire».
Cosa bisognerebbe fare di più?
«Siccome è difficile immaginare aumenti di spesa, gli atenei devono impegnarsi per costruire reti internazionali. Colpisce quanto le nostre università non siano attrattive per gli studenti europei.
Non siamo nemmeno tra i primi cinque Paesi scelti dai giovani francesi, spagnoli e inglesi».
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I corsi interamente in inglese sono cresciuti del 37%, ma bisogna fare di più se vogliamo che la nostra offerta sia competitiva
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