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Il dibattito sulle competenze «Il vincolo in sé non serve Bisogna cambiare la didattica»

Il sì della Cgil. Presidi possibilisti. I dubbi di esperti e Pd

23/08/2017
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Corriere della sera

Gianna Fregonara

opo aver annunciato la sperimentazione in cento classi del liceo in quattro anni, decisione che ha creato un vespaio agostano, le nuove dichiarazioni della ministra Fedeli stemperano il clima con i sindacati — peraltro alla vigilia dell’inizio delle lezioni e del rinnovo del contratto degli insegnanti — ma lasciano sorpresi sia gli esperti, sia i colleghi di partito. Non che il tema sia nuovo, perché l’idea di tenere sui banchi i ragazzi fino alla maggiore età è stata già oggetto di dibattito da decenni. Si è arrivati per successivi innalzamenti dell’obbligo ai 16 anni nel 2003, prevedendo anche un generico diritto alla formazione per tutti fino ai 18 anni. Una riforma rimasta monca perché alla fine dell’obbligo, chi lascia non ha una qualifica o un diploma — al contrario della maggior parte dei Paesi europei, dove chi non vuol proseguire termina con un esame a 15/16 anni — e perché i controlli e casomai le sanzioni (esigue) in caso di abbandono si applicano solo ai genitori dei bambini delle elementari.

Le voci a favore dell’innalzamento a 18 anni sono tante. «Scelta importante e giusta», dice Francesco Sinopoli della Cgil. «Parliamo anche dei contenuti», la incalza Lena Gissi della Cisl. Dicono di sì anche i presidi: «Purché — spiega Giorgio Rembado, presidente dell’Anp — non sia come una volta l’obbligo di leva».

Quanto è probabile che le parole della ministra abbiano un seguito immediato? Non molte a sentire la senatrice pd Francesca Puglisi, che si è occupata a Palazzo Madama della riforma detta della Buona Scuola: «Siamo alla vigilia della campagna elettorale, non credo che ci sia il tempo per provvedimenti complessi, dovendo ancora entrare in vigore alcune disposizioni della riforma che abbiamo approvato un anno e mezzo fa». E per la prossima legislatura? La priorità è correggere alcuni limiti del sistema: «Dovremmo dare un diploma o una qualifica ai ragazzi che smettono a 16 anni, non lasciarli così senza che possano concludere il percorso scolastico anche se hanno frequentato un istituto professionale. Nel programma elettorale dell’anno prossimo ci sarà la riforma dei cicli, magari spostando l’esame di terza media dopo il biennio». Un’idea ambiziosa, magari con il rinvio al triennio delle materie di indirizzo, come aveva proposto tra l’altro Luigi Berlinguer negli Anni Novanta e che si era arenata.

«In linea di principio Fedeli ha ragione, in un mondo dove il lavoro è sempre più complesso e ha bisogno di competenze. Ma penserei prima a far funzionare la riforma della Buona Scuola — spiega Andrea Gavosto, che guida la Fondazione Agnelli —. Il problema non è solo la durata degli studi: vanno modificati il curriculum e anche la didattica, altrimenti non è pensabile risolvere il problema della dispersione o riuscire a tenere i ragazzi sui banchi».

«Fino a 18 anni è giusto, ma a fare cosa? — si chiede Raffaele Mantegazza, professore di Pedagogia a Milano Bicocca — Non lavoriamo solo sul dovere, ma sul piacere di andare a Scuola, sulla motivazione: chi è appassionato può accettare sacrifici per raggiungere una meta, l’obbligo in sé non servirebbe».