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Il corpo del docente

I limiti dell'insegnamento digitale

16/04/2020
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la Repubblica

Alberto Melloni

Un errore grossolano grava sulla discussione italiana sulla scuola e l'università ai tempi del Covid 19. Quello di chi crede che l'insegnamento a distanza, impiantato con eroico fai-da-te a fronte del trauma del distanziamento, coincida con la trasformazione digitale della formazione o almeno ne sia la premessa.

L'insegnamento a distanza, in realtà, è piuttosto obsoleto e ha varie criticità. Spesso entusiasma chi ha una concezione "trasmissiva" del sapere, immaginato come un pacco da recapitare via web, facendo parti eguali fra diseguali. Rende plastica la distanza fra i figli dei ricchi (con la loro stanzetta singola, la fibra, l'iPad e la carta di credito già pronta per andare a una università vera) e i figli dei poveri a cui il ministero è riuscito a far giungere un tablet la cui webcam racconterà una cucina affollata di fratelli e adorna di angosce (e l'approdo al mondo opaco delle università telematiche e dei corsi telematici nelle università vere). Demotiva la vocazione dell'insegnante perché gli dice che un video scaricabile e un po' di tecnologia interattiva possono rimpiazzare la maieutica educativa del "corpo (del) docente". Avalla una riduzione "wikipediana" del sapere, ridotto a un tutorial video che somministra i come e i cosa e non riesce mai a interrompersi per domandare un perché.

La trasformazione digitale è il contrario. Tocca e toccherà anche il sapere costruito: ma sa che il sapere si costruisce solo nella relazione. Anziché insegnare in una distanza che riduce il confronto a chat, il pensiero a "pillola", la verifica a e-Proctoring, sa che l'aula è il luogo in cui si formano scienza e coscienza critica, necessarie a possedere competenze e tecnologie che domani saranno necessarie sul lavoro e che oggi decidono della felicità, della democrazia e della salute, come dimostrano i cyberdepressi, i sovranisti e i no-vax.

La trasformazione digitale è dunque strumento necessario nella scuola e nell'università. Come lo era la lavagna ai tempi di De Amicis; ma come la lavagna è e resta strumento. Se sulla lavagna ci scrive Carlo Rubbia o un mediocre imbarcato ope legis, c'è una bella differenza. Se di fronte alla lavagna c'è un ceto filtrato dalle leggi razziste oppure una comunità costituzionalmente "aperta a tutti", cambia molto. La "comunità educante" - che tornerà protagonista con buona pace di quelli che "una lezione a distanza è per sempre" - è il luogo in cui la Repubblica usa ogni strumento necessario per offrire a tutti pensiero critico e rimuove gli ostacoli "che di fatto impediscono" a tutti quella formazione.

Perché per questa trasformazione non bastano né soldi né posti. Serve un pensiero sulla formazione da offrire ai docenti in servizio, oggi condannati dalla autonomia a una improvvisazione frenetica. Serve un pensiero sulla formazione degli insegnanti di domani: che non hanno bisogno di ricevere più didattica a distanza da professori che beffano da decenni l'obbligo di risiedere dove insegnano (cosa impensabile a Yale); ma di lavoratori e filosofie della conoscenza, di teorie di linguaggi e luoghi di studio, di prudenza e di giurisprudenza, storia delle tecnologie, di tecnologie, e infine del pubblico riconoscimento che (anche ad Harvard, per dire) la lezione di un docente vivo vale sei volte il suo streaming e mille volte la conferenza di un divulgatore che parla a nessuno da mille schermi.

Non è escluso che il prossimo anno scolastico si debba ricorrere ancora all'insegnamento a distanza, che è stato il modo di intubare la socialità educativa soffocata dalla pandemia. Ma nessuno vuol vivere intubato. Nemmeno il pianeta-educazione in attesa di una transizione che faccia distinzioni necessarie a non fare errori gravidi di conseguenze.


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