FLC CGIL
Contratto Istruzione e ricerca, filo diretto

https://www.flcgil.it/@3937669
Home » Rassegna stampa » Rassegna stampa nazionale » Il contratto ora torna più forte

Il contratto ora torna più forte

Il decreto di riforma del Testo unico consente deroghe, seppur limitate, alla legge

21/02/2017
Decrease text size Increase text size
ItaliaOggi

Antimo Di Geronimo

La contrattazione collettiva non regolerà più tutti i diritti e i doveri dei dipendenti pubblici, ma solo una parte delle materie del rapporto di lavoro non riservate alla legge. E in queste materie la contrattazione collettiva potrà anche introdurre delle deroghe. Ma sempre nel rispetto dei limiti prefissati dal legislatore.

Lo prevede lo schema di decreto legislativo di riforma del testo unico del pubblico impiego, predisposto dal ministro della funzione pubblica, Marianna Madia, che venerdì scorso è stato approvato in via preliminare dal governo. Il testo passa ora al vaglio del parlamento per i prescritti pareri. Dopo di che il governo potrà decidere di emendarlo recependo eventuali proposte di modifiche oppure approvarlo così com'è.

La riforma è il presupposto necessario alla riapertura delle trattative per il rinnovo del contratto di lavoro per tutte le categorie del pubblico impiego e, in particolare, per la scuola. Che è stata fatta oggetto di provvedimenti fortemente restrittivi da parte del legislatore rispetto al regime vigente fino al 2009. Prima dell'avvento della legge 15/2009, alla quale viene data attuazione con il decreto legislativo 150/2010 (il decreto Brunetta) la contrattazione collettiva può ancora derogare le norma di legge che, per la parte derogata, non sono più applicabili « salvo che la legge disponga espressamente il contrario». Con l'entrata in vigore della legge 15/2009 la facoltà di deroga da regola diventa eccezione.

La deroga infatti è consentita «solo qualora ciò sia espressamente prevista dalla legge». E a scanso di equivoci il governo Renzi, all'atto della redazione del testo che diventerà la legge 107/2015, ormai in vigore, fa introdurre una disposizione nella quale si dice che: « Sono inefficaci le norme e le procedure contenute nei contratti collettivi, contrastanti con quanto previsto dalla presente legge (art. 1, comma 196)».

Allo stato attuale, dunque, se non si interviene per mutare la preclusione contenuta nella legge 107/2015, che regola e vincola materie tipicamente contrattuali quali, per esempio, la mobilità e la retribuzione, nessun contratto è possibile.

Il problema trova una prima soluzione il 30 novembre scorso, con l'intesa governo-sindacati, con la quale le parti convengono che il governo debba promuovere azioni volte a ridare supremazia al contratto rispetto alla legge. Ma non basta. Perché non basta un'intesa per modificare una legge. Intesa che, peraltro, è una mera dichiarazione di intenti non vincolante. Per ridare smalto alla contrattazione è necessaria una legge. E qui è storia di oggi. Lo schema di decreto di riforma del testo unico del pubblico impiego prevede, infatti, un parziale ripristino del potere di deroga della contrattazione collettiva. Ma al tempo stesso riduce gli spazi entro i quali la contrattazione può muoversi.

Non più la determinazione dei diritti e degli obblighi dei lavoratori e dell'amministrazione, ma la mera regolazione del rapporto di lavoro. In pratica, la contrattazione da fonte esclusiva diventa residuale: il contratto regolerà solo quella parte di diritti e di doveri che il legislatore destinerà al tavolo negoziale. Ma nelle materie che riguardano questi diritti e questi doveri la contrattazione collettiva potrà introdurre delle deroghe alle norme di legge. Che dovranno essere conformi ai principi contenuti nello schema di decreto e, per la parte derogata, non saranno ulteriormente applicabili.

Dunque, mentre prima del 2009 le parti avevano le mani libere in contrattazione, per disporre modifiche del trattamento previsto dalla legge nei confronti dei dipendenti pubblici, adesso dovranno farlo con i piedi di piombo. Perché il legislatore individuerà il campo d'azione e detterà le regole del gioco. Quanto alle materie nelle quali il tavolo negoziale dovrebbe avere qualche margine di manovra, sempre nei limiti fissati dalle norme di legge, esse sono elencate nel comma 1, dell'articolo 40, del decreto: le sanzioni disciplinari, la valutazione delle prestazioni ai fini della corresponsione del trattamento accessorio, la mobilità.

In materia di sanzioni disciplinari il dlgs 165/2001 restringe già il campo della contrattazione alla mera disciplina sostanziale. In pratica, la contrattazione collettiva può definire il catalogo delle sanzioni (per esempio: censura, sospensione, licenziamento) e i fatti antidoverosi ai quali collegare le varie sanzioni. Ma non può istituire rimedi stragiudiziali e giudiziali per impugnare le sanzioni diversi da quelli già previsti dalla legge.

Sul collegamento tra valutazione e compenso accessorio, allo stato attuale la materia sembrerebbe essere riservata alla legge. Per lo meno fino a quando non entreranno in vigore le nuove disposizioni. Sulla mobilità, amministrazione e sindacati si sono portati aventi con il lavoro sottoscrivendo il 31 gennaio scorso un'ipotesi di contratto collettivo che introduce alcune deroghe alla legge 107/2015. Ora possono tirare un sospiro di sollievo.


La nostra rivista online

Servizi e comunicazioni

Seguici su facebook
Rivista mensile Edizioni Conoscenza
Rivista Articolo 33

I più letti

Filo diretto sul contratto
Filo diretto rinnovo contratto di lavoro
Ora e sempre esperienza!
Servizi assicurativi per iscritti e RSU
Servizi assicurativi iscritti FLC CGIL