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Il Concorso e la ricerca del Vello d'oro

Nonostante le acclarate ingiustizie, nonostante il coro di autorevoli e infiammate critiche sulla tipologia delle domande (uno su tutti, Galli della Loggia su "Il corriere" ), levatosi all’indomani degli scritti, si sta davvero imponendo la chiave di lettura dell’impreparazione dei candidati

06/08/2016
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Insegnare
di Giulia Boggio Marzet

Leggo i commenti all’articolo di Corrado Zunino dal titolo “Concorsone, già bocciati metà dei candidati” apparso il 4 agosto, su "Repubblica" e impallidisco. Nonostante le acclarate ingiustizie, nonostante il coro di autorevoli e infiammate critiche sulla tipologia delle domande (uno su tutti, Galli della Loggia su "Il corriere" ), levatosi all’indomani degli scritti, si sta davvero imponendo la chiave di lettura dell’impreparazione dei candidati.
Animata dallo stesso afflato didattico che mi spinge a fare con passione questo lavoro, di fronte alla sequela di ignoranti e rabbiose castronerie che leggo tra le righe dei commenti, respiro profondamente, immagino il mare blu che si perde nell’orizzonte, visualizzo sconfinate praterie e penso a come colmare questo deficit di informazione. Forse, mi dico, è necessario qualche chiarimento.

Il Concorsone, cui tanti insegnanti precari si sono sottoposti, non è un concorso come altri che lo hanno preceduto e questo spesso viene omesso o distorto da chi ne riporta gli aggiornamenti sui mezzi stampa (la televisione ci ignora tout court). Non lo è per la qualità dei suoi partecipanti, non lo è per le modalità e i mezzi di selezione, non lo è stato per la tempistica e per la mole di programma da studiare. Ma andiamo con ordine.

Concorso per abilitati all’insegnamento. Chi vi partecipa? Possono ambire a una cattedra, e quindi a diventare professori di ruolo (ovvero quelli che non vengono licenziati a fine giugno, per poi finire a settembre, dopo il mercato delle mucche, ogni anno in una classe e in una scuola diversa da quella abbandonata l’anno prima) solo i professori già abilitati. Ora, di certo molti non docenti ignorano – legittimamente – cosa implichi “abilitarsi” all’insegnamento. Chi ti abilita? Attraverso quale percorso? È forse un percorso selettivo? Ecco forse, per spiegare l’ingiustizia del concorsone bisognerebbe partire da qui.

Accedono alla trafila concorsuale tre categorie di insegnanti, tutte e tre composte da insegnanti abilitati dallo Stato. Sono 210.000 persone che insegnano già nella scuola pubblica da anni, con incarichi annuali, ma sempre con contratti precari – ribadiamolo: niente ferie pagate, una mutua coperta solo a metà e nessuna continuità didattica: lasci i tuoi ragazzi ogni anno, senza possibilità di continuare un percorso progettato per essere un ciclo pluriennale; ti inserisci tra metodi e programmi iniziati da altri, per abbandonare gli studenti a tua volta nelle mani di terzi. E la discontinuità didattica è un gravissimo problema che inficia seriamente la qualità dell’insegnamento della scuola pubblica, molto di più della sedicente “impreparazione degli insegnanti”. Chi ha avuto figli che hanno cambiato cinque insegnanti di lettere in cinque anni, o sei insegnanti di inglese, o tre di matematica, ben lo sa.

Tre gruppi di abilitati: i PAS, i TFA e i laureati in Scienze della Formazione, i quali concorrono per i posti per l’Infanzia e per la Primaria. I primi sono i precari storici della scuola. Il Percorso Abilitante Speciale (PAS) è un percorso universitario post-laurea di un anno cui si accede, previa iscrizione, solo se si sono maturati almeno tre annualità di insegnamento. Questa formazione abilitante prevede innumerevoli esami di didattica generale, pedagogia, didattiche disciplinari (non sempre superati). Al termine della stessa l’abilitando deve redigere una tesina e sottoporsi a un orale con estrazione della domanda. Il tutto ha un costo di 3000 euro.

Il secondo gruppo – quello degli abilitati con TFA, acronimo che sta per Tirocinio Formativo Attivo – è composto da giovani precari, che invece per accedere al percorso abilitante hanno dovuto superare ben 3 prove (come quelle ricorrenti nella mitologia e nelle favole, da Giasone a Tamino): un test preselettivo nazionale, a carattere strettamente nozionistico, uno scritto (a sua volta composto di più saggi brevi, ognuno per la materia insegnata - es. uno di letteratura, uno di storia e uno di geografia) e un orale. Questa selezione nel 2014 ha impegnato la vita dei giovani aspiranti da maggio, con la pubblicazione del bando, a dicembre, con la conclusione degli orali. Prove a luglio, ottobre e fine novembre. Sostanzialmente un concorso, non certo meno selettivo di quelli banditi dal Ministero nei decenni precedenti. Chi ha superato l’accesso al TFA, meno del 10 % dei candidati (per le ragioni dell’algebra: il tasso di esclusi è quindi superiore al 90%, alla faccia degli insegnanti impreparati), ha poi affrontato la stessa trafila degli abilitati PAS, con 20 esami universitari, tirocini a scuola , tesi e orale finale a estrazione. Il tutto sempre per 3000 euro.
Il terzo gruppo è quello composto dai laureati in Scienze della Formazione. Cinque anni di formazione didattico-pedagogica e disciplinare, tirocini diretti e indiretti nelle scuole, un percorso duro e serio. Ricordo che fino a non troppi anni fa a queste professioni si accedeva con il diploma magistrale. Coloro che sono di ruolo oggi nella scuola , spesso vi sono entrate – il femminile è ahimè d’obbligo, ma questo è un altro discorso - con questo titolo.
Questi sono coloro che si candidano a conquistare una cattedra. La prima domanda è: Perché due su tre di questi preparatissimi insegnanti, già riconosciuti abili all’insegnamento dallo Stato – che per inciso, oltre a verificarne la preparazione e a formarli professionalmente, li ha munti a dovere – dovrebbero rimanere a casa, o non dovrebbero ambire alla stabilizzazione? Hanno forse meno titoli dei colleghi di ruolo (specie dei neo-immessi)?


Gli immessi in ruolo dell’anno precedente. A fronte di questa selettiva formazione, va detto che il MIUR l’anno scorso ha immesso in ruolo moltissimi iscritti da anni alle Graduatorie ad Esaurimento (GAE, o graduatoria di 1 fascia). Sono persone che hanno già affrontato e vinto un concorso incentrato solo e unicamente sulle conoscenze disciplinari (le nozioni relative alla propria materia, per intenderci, la cui acquisizione non garantisce la capacità di trasmetterle). Si parla di concorsi superati negli anni ’80, cioè grosso modo quando chi vi scrive emetteva i primi vagiti. Sono quasi 100.000 persone, molte delle quali occupate, negli ultimi 30t’anni, in altre attività. Alcuni di questi sono addirittura abilitati in classi di concorso che neanche esistono più. Alcuni invece insegnano da precari da decenni. Tolto il fatto che si tratta di persone non formate da un punto di vista didattico pedagogico, tecnologico, e inclusivo (come i PAS e i TFA), è chiaro che queste persone andavano comunque stabilizzate (soprattutto quelle che hanno insegnato nel corso di questi anni). Forse buttarle in classe, spesso lontano da casa, a cinquant’anni, senza salvagente non era però la soluzione migliore, né per loro, né per gli studenti, né per i 200.000 abilitati, formati e pronti a immani sacrifici pur di insegnare, che rimanevano invece fuori dalla porta. Si sarebbe dovuto trovare il tempo e la voglia di fare delle verifiche e di immaginare un doppio binario: immettendo in ruolo chi insegnava davvero e assegnando ai posti di fantomatico potenziamento gli altri (l’organico di potenziamento, creato dalla 107, sono i panchinari della scuola, un esercito di insegnanti di alternativa alla religione, addetti alle biblioteche etc).

Ma questa è la "Buona scuola", quella che premia il merito, e questo è il governo del fare. Per fare in fretta, si fa senza pensare, pur di rincorrere il titolo sulla stampa. Ma mica si vorrà perder tempo a riflettere, se si vuol far “ripartire il paese”, no?

Dal bando allo svolgimento dello scritto. Com’è stato organizzato il concorso? Con quali tempistiche e con quali modalità? Dopo un balletto durato dal luglio dell’anno scorso, in cui si annunciava il bando in pubblicazione a ottobre 2015, il MIUR a fine febbraio 2016 ha infine bandito il concorso.
Gli allegati al bando, con il programma concorsuale, sono stati una doccia fredda per tutti. Oltre alle competenze linguistiche in una lingua straniera (requisito non richiesto per l’abilitazione), ai contenuti disciplinari da ri-verificare (vi assicuro che anche l’insegnante più preparato e che insegna da decenni non padroneggia a memoria e nel dettaglio ogni meandro delle proprie discipline, né ha senso che sappia farlo, giacché le lezioni si preparano a casa, approfondendo di volta in volta aspetti specifici, in relazione alle necessità della classe), si richiede di governare con dimestichezza anche tutta la legislazione scolastica dalla legge Casati a oggi, tutte le discipline didattico-pedagogiche, e molte altre amenità. Il tutto da ripassare, studiare, incollare in 60 giorni lavorativi (per chi non sa cosa significhi, un insegnante lavora tutte le mattine in classe, tutti i pomeriggi a casa, per preparare le lezioni, le verifiche e correggerle. Io, personalmente, vista la scarsa esperienza accumulata, lavoro anche almeno uno dei due giorni del we). Tra gli abilitati scatta il panico.
Il ministro Giannini intanto si ostina a ripetere che verranno verificate sostanzialmente le competenze didattiche, e che quindi il concorso non verterà sulle nozioni disciplinari (una rassicurazione che verrà puntualmente disattesa, ma i candidati ancora non lo sanno). Centinaia di migliaia di persone acquistano quindi pubblicazioni su legislazione scolastica, metodologie, psicologie dello sviluppo, per una media di 800 pagine a candidato, tutte affrontate la sera, la notte o nei we. Una corsa contro il tempo. 8 settimane per prepararsi, dopo 5 mesi di attesa della pubblicazione del bando, più di 20 settimane.

Le date e le sedi vengono pubblicate a metà aprile. Due settimane dopo i primi candidati affrontano gli scritti, dovendo rinunciare a un giorno di paga.
Queste prove, a differenza del caro vecchio scritto di otto ore, con la possibilità di scegliere tra due differenti tracce, si rivelano piene di novità rispetto ai vecchi temi del passato e sono evidentemente state concepite da qualche improbabile satiro dadaista stipendiato dal MIUR (di cui Galli della Loggia, giustamente, chiede i nomi). Innanzitutto si tratta di una prova computer based (perché sul giornale fa subito titolo ed evoca l’Italia che guarda al futuro). Tuttavia l’Italia, se guarda al futuro (un futuro che potrebbe comunque sempre esser più fosco del presente), ha comunque ancora i piedi nel presente, quindi i computer spesso non funzionano e il programma non salva automaticamente le risposte –molte sono andate perse, nell’interspazio della tecnologia. Ma soprattutto il computer richiede competenze dattilografiche da stenografo professionista, perché le domande richiedono una trattazione corposa e il tempo a disposizione è di 15 minuti a quesito. Seconda novità, la corsa contro il tempo: 8 ore versus 15 minuti. Terza novità, già accennata, i due quesiti in lingua straniera. Quarta novità: in questi 15 minuti vengono verificate sia le competenze didattiche, sia le competenze disciplinari, cosa buona e giusta di per sé, salvo non dare il tempo materiale ai candidati per mettere insieme le idee, progettare, redigere, correggere. Quinta novità: le domande sono i titoli buoni per dei temi per l’esame d’accesso al dottorato, per estensione del tema ("Il candidato si immagini un percorso didattico interdisciplinare sulla storia dell’Islam dal VII al XXI secolo") o per dettaglio ( "A partire da Cigola la carrucola di Eugenio Montale si immagini una verifica con la rispettiva griglia di valutazione, a conclusione di un percorso sul tema della memoria nella produzione dell’autore, in cui sia stato toccato però il medesimo tema anche in Leopardi, Pascoli, Ungaretti e Gozzano" - per inciso quest’ultimo non era annoverato nella lista degli autori da programma. Leggi la poesia, pensa a tutta la produzione di Montale, immagina e redigi una prima rosa di domande attendibili e coerenti, poi pensa a tutta la produzione degli altri autori, idem, seleziona, scrivi, e poi redigi una griglia di valutazione in cui illustri come attribuisci peso e valore alle risposte date). Fate una prova, voi che gridate allo scandalo degli insegnanti ignoranti: mettetevi a fare quest’esercizio con un cronometro, su un argomento su cui vi sentite molto preparati.

Unica evidenza: chi ha redatto le prove non si è mai cimentato in nessuna di queste attività, né di programmazione didattica, né di verifica. Di queste competenze o se ne richiedono degli aspetti puntuali, oppure si dilata il tempo a disposizione: è impossibile pensare di rispondere in maniera esauriente in una manciata di minuti. Un bravo insegnante si prende il tempo necessario. Un bravo insegnante rischia quindi paradossalmente di essere bocciato.
Il risultato: molti di noi non sono riusciti a terminare i compiti, quasi nessuno ha riletto, tanti sono entrati nel panico e hanno consegnato prove molto al di sotto delle proprie capacità, conoscenze e competenze. Molti hanno fatto prove brillanti e ciò nondimeno sono stati bocciati. Perché come ben sappiamo noi che abbiamo sostenuto esami di Docimologia (la scienza della valutazione, per i profani), valutare richiede prove calibrate e affrontabili, attendibili e valide. E richiede anche che chi valuta e corregge abbia le competenze e i titoli per farlo.


Le commissioni. Alle difficoltà in cui è incappato il Ministero nel reperimento dei commissari i media hanno dato un po’ di risonanza in più; non sarà quindi necessario scendere nei dettagli. Basti ricordare che a fronte di un compenso davvero risibile (1 euro all’ora) non c’è stata la corsa al west. Davvero inspiegabile! È scattata invece la caccia al commissario (delegata agli uffici scolastici regionali, altre vittime delle scadenze e dei dictat da cappellaio matto del ministero), una ricerca talmente infruttuosa che ha portato a modificare i requisiti, e includere colleghi non necessariamente in possesso dei titoli per cui noi precari concorriamo. Insomma, basti per tutti il caso passato all’onore delle cronache della collega bocciata allo scritto e contattata per far parte della commissione per l’orale.
A questo va aggiunta una postilla. Nessuno ha il polso, né quindi può pronunciarsi, in merito alla qualità della formazione dei colleghi esaminatori. Potrebbero essere insegnanti rigorosi e seri, che hanno a cuore la qualità della scuola, o falcidiatori seriali, amanti del brivido autoritario dell’esaminatore. Una cosa tuttavia è certa: eccezion fatta per i docenti abilitati con la SISS (il precedente percorso abilitante, con valore concorsuale), nessuno dei commissari ha mai subito una valutazione sulle proprie competenze in materia di didattica e pedagogia, di tecnologie dell’istruzione, né di didattica inclusiva (come declinare i propri insegnamenti a seconda delle specifiche difficoltà di ogni singolo ragazzo) - su cui noi precari abbiamo sostenuto fior fiore di esami e di prove pratiche - , che poi è ciò su cui sono chiamati a valutarci. Per non parlare della lingua straniera!

Quindi? E quindi? È forse così inspiegabile che, a fronte del tempo risibile messo a disposizione per prepararsi, di quello inutilmente contingentato per sostenere la prova, del mezzo informatico spesso inaffidabile, di quesiti concorsuali così inappropriati, di commissioni assemblate all’ultimo, dell’assenza di griglie di valutazione condivise a livello nazionale, ci sia stata quest’ecatombe? O forse – forse – dietro alla fretta, alla superficialità e all’incompetenza con cui tutta la questione concorsuale è stata affrontata al MIUR, c’era la volontà di immettere in ruolo meno docenti dei posti messi a bando?
Il dubbio non può che sorgere. Siamo sicuri che ci fosse davvero la copertura finanziaria per tutti questi posti?
I docenti bocciati infatti insegneranno anche l’anno prossimo, per fortuna, e quelli a seguire. Perché i posti ci sono, tanto che anche oggi sono coperti anche da chi non è nemmeno abilitato. Tuttavia chi occuperà quei posti lo farà da precario, con meno tutele contrattuali, uno stipendio meno lauto (se si può parlare in questi termini del salario degli insegnanti meno pagati d’Europa) e i mesi estivi scoperti. Un bel risparmio, a discapito della continuità didattica e della qualità dell’insegnamento tanto sbandierata.

Epilogo. Uno dei racconti più arcaici della mitologia greca racconta la storia degli Argonauti, intrepidi giovani semidei guidati da Giasone, i quali sfidano mari mai solcati prima e affrontano mille pericoli per la conquista del vello d’oro. Secondo il mito, il vello non ha nessuna attrattiva per questi giovani frequentatori occasionali dell’Olimpo, ma la sua conquista è requisito necessario per l’amico Giasone per riappropriarsi del trono che gli spetta di diritto e che il perfido Pelia, zio usurpatore, gli ha ingiustamente sottratto. Pelia promette di restituire il mal tolto solo a patto che Giasone recuperi il vello. Pelia lo vuole proprio perchè sa che la sua conquista è una missione impossibile: il vello sta in Colchide, lontanissimo, all’epoca quasi sulla luna, in una terra popolata da mostri e altre presenze malefiche. Alla fine Giasone ce la fa, ma solo grazie all’aiuto di Medea (anche questa è un’altra storia).

Oggi sembra che il MIUR abbia predisposto tutto questo concorso, come Pelia, chiedendo a centinaia di migliaia di persone già abilitate di correre a caccia della propria cattedra solo previo superamento di tori infuocati, armate di guerrieri e draghi alati. Che sia per totale incompetenza o per dolo resta una domanda aperta. Solo una considerazione permane evidente: la prima cosa che si impara quando si entra in una classe è che se nessuno capisce ciò che stai spiegando, chi sta sbagliando sei tu. Così, quando si fa una verifica, se la classe è vistosamente insufficiente, è l’insegnante che deve chiedersi se le modalità di verifica sono state adeguate agli obiettivi e al livello generale.

Sarebbe ora che anche il Ministero cominciasse a farsi qualche domanda. 


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