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I tagli all'istruzione e quello storico appello di Victor Hugo

Non c’è niente da fare. Quando si parla di scuola e di università (e, aggiungerei, di cultura in generale) le speranze di un «anno migliore» (come lo stesso «ottimista» venditore di almanacchi di leopardiana memoria è costretto ad ammettere) vengono sempre tradite dalla brutale realtà

30/12/2018
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Corriere della sera

Nuccio Ordine

Non c’è niente da fare. Quando si parla di scuola e di università (e, aggiungerei, di cultura in generale) le speranze di un «anno migliore» (come lo stesso «ottimista» venditore di almanacchi di leopardiana memoria è costretto ad ammettere) vengono sempre tradite dalla brutale realtà. E così, mentre la legge di Bilancio compie il suo iter senza un vero dibattito parlamentare, il testo trasmesso alla Camera conferma un ulteriore colpo di mannaia all’intero sistema dell’istruzione. Tagli alla scuola (gli insegnanti di sostegno in particolare) e blocco delle assunzioni per il 2019 nelle università (anche se con alcuni distinguo) finiscono per infliggere gravissime ferite a un corpo già ampiamente lacerato. Il numero dei docenti è diminuito in maniera drastica: nell’ambito della letteratura italiana — una delle discipline fondamentali nei dipartimenti umanistici — nel giro di un decennio i professori e i ricercatori sono stati dimezzati (oggi se ne contano solo 233). Si tratta di un esempio eloquente che potrebbe valere per tantissimi altri insegnamenti anche nel campo scientifico. Proprio il 10 novembre del 1848, Victor Hugo condannava con vigore i tagli alla cultura. Il letterato ricordava che quando la crisi attanaglia una nazione è necessario raddoppiare, e non falciare, i fondi per l’istruzione: «bisognerebbe moltiplicare le scuole, le cattedre, le biblioteche, i musei, i teatri, le librerie, [...] tutte le istituzioni in cui si medita, [...] in cui si diventa migliori». Inermi e in silenzio, prendiamo atto che, da almeno vent’anni, i governi che si sono succeduti non hanno mai sostenuto una politica di investimenti, favorendo così la morte annunciata della scuola e dell’università e, di conseguenza, del futuro del Paese. L’ignoranza, si sa, è una fortezza senza ponte levatoi


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