I ricercatori italiani: vincono le borse ma vanno a spenderle all’estero
Il paradosso: siamo secondi solo ai tedeschi per numero di assegnazioni, ma i centri in cui si svolgono i programmi sono tutti fuori dall’Italia
Giovanni Caprara
I ricercatori francesi hanno organizzato una marcia di protesta in bicicletta verso Parigi. E con lo slogan “Science en marche” contestano il taglio del 10 per cento dei loro programmi attuato dal governo. Se gli scienziati d’Oltralpe si lamentano che cosa dovrebbero fare i nostri che, in silenzio, subiscono una continua privazione di risorse adeguate ? Una privazione ben superiore a quella dei loro colleghi in Francia dove alla ricerca si dedica una percentuale doppia del prodotto interno lordo rispetto a quella investita nella Penisola, sempre intorno all’1 per cento. E nonostante cambino i governi, l’atteggiamento non cambia. Questo ci colloca al 32mo posto su 37 dei Paesi dell’Ocse per gli investimenti nelle università. Eppure le capacità e i risultati emergono di continuo. All’inizio di quest’anno dei 312 Consolidator Grants assegnati dall’European Research Council 46 sono stati vinti da ricercatori italiani: un record, visto che erano solo due in meno rispetto a quelli ottenuti dai tedeschi. Gli stessi francesi e inglesi si erano attestati ad un livello più basso. La maggior parte dei nostri ricercatori e dei fondi a loro assegnati (50 milioni contro 20) nell’occasione andranno però a centri stranieri dove i nostri scienziati svolgeranno il programma stabilito. Si continua a parlare (molto sommessamente) dell’ipotesi di riforma degli enti di ricerca ma i piani del governo persistono in un distacco che promette poco di buono.
Per fare un esempio d’attualità, è in corso a livello europeo un piano di ricerca sugli eventi meteorologici estremi nell’area mediterranea analoghi a quelli che hanno causato disastri e vittime a Genova. I ricercatori italiani interessati vi possono partecipare a titolo volontario senza essere pagati, perché, a differenza delle altre nazioni, non viene assicurato alcun finanziamento. Eppure i disastri si ripetono, e non è fatalità. Il ministro Stefania Giannini ha promesso l’assunzione di seimila ricercatori nell’arco di quattro anni. Al di là dei fondi questo è l’altro problema da considerare, cioè l’invecchiamento dei ricercatori: l’assunzione di giovani scienziati che abbassino la media dell’età (ad esempio al Cnr) è una necessità inderogabile. Ma per il momento le risorse per l’operazione non sono stati trovati. C’è infine da affrontare il tema delle infrastrutture di ricerca anch’esse invecchiate e quindi inadeguate. Immaginare di attrarre ricercatori stranieri in questa situazione come spesso si torna a sollecitare come uno degli aspetti importanti, è ovviamente un’illusione. Forse, come succede oggi in Francia, anche i nostri scienziati dovrebbero organizzare una corsa in bicicletta verso il ministero dell’Università e della Ricerca a Roma.
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