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I professionisti della paura

Chiara Saraceno

22/08/2017
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la Repubblica

Non bastava che gli sbarchi di massa di qualche mese fa avessero creato un clima ostile all’approvazione della norma sullo ius soli e ius culturae, provocando, con l’attivo sostegno dei professionisti della paura, un corto circuito tra i disperati disposti a ogni rischio pur di lasciare il loro Paese e i bambini e ragazzi figli nati qui da genitori lungo-soggiornanti regolari o che qui sono andati a scuola. C’è chi si è spinto fino a paventare che sarebbero sbarcate sulle nostre coste torme di donne incinte, al solo scopo di far nascere qui i loro figli, facendoli così diventare automaticamente cittadini italiani.

Ora gli ultimi attacchi dell’Isis hanno servito su un piatto d’argento ai medesimi professionisti della paura e della malafede il corto circuito mentale e discorsivo tra ius soli e terrorismo. Non sono più solo Salvini e Meloni a equiparare la concessione della cittadinanza a chi è nato qui da genitori lungo-residenti regolari o qui è andato a scuola, a una apertura all’ingresso di terroristi. Anche Berlusconi, nel criticare l’impegno (in parte ritrattato) di Gentiloni a porre la questione al Senato, ha affermato che si tratta di una manifestazione di irresponsabilità a fronte del rischio di terrorismo. E Renzi, invece di impegnarsi a denunciare capillarmente e sistematicamente questo corto circuito, di fatto lo avvalla, nascondendosi dietro le resistenze di Alfano e le paure dei cittadini.

Di questo passo il, moderatissimo, ius soli all’italiana verrà ancora una volta rimandato a un’altra legislatura, senza che perciò la lotta contro il terrorismo islamico faccia un passo avanti in più. Anzi, potrebbe farne uno indietro, nella misura in cui si sta creando una generazione di giovani che non ha posto da nessuna parte: né nel paese di origine dei genitori né in quello in cui sono nati e cresciuti ed è spesso l’unico che conoscono. Non è impensabile che, non vedendosi riconosciuta altra identità sociale che quella di estranei non voluti, alcuni di loro vadano alla ricerca, o siano affascinati, da una appartenenza e identità vicarie, antagoniste, fino al terrorismo.

Le promesse di rivoluzioni palingenetiche e/o di vendette per le storture della società hanno un grande fascino per chi è giovane e insoddisfatto, come dovremmo sapere bene noi italiani. È successo negli anni di piombo a coetanei italianissimi degli attuali terroristi, passati dalla protesta legittima nelle fabbriche e nelle scuole al terrorismo rosso e nero. Le stragi di piazza Fontana e della stazione di Bologna ci ricordano che non è solo l’-I-slam fondamentalista degli “stranieri” a motivare il terrorismo, il colpire “nel mucchio” e nei luoghi più frequentati. Per non parlare delle stragi di mafia con la loro scia di “ammazzati per caso, o per sbaglio”. Ricordo questo, ovviamente, non per giustificare o relativizzare il terrorismo islamico, e neppure per fare di ogni erba un fascio. Sono perfettamente consapevole che il terrorismo islamico rappresenta oggi un rischio gravissimo, non solo perché può essere attivato in qualsiasi momento e in qualsiasi luogo, ma anche perché è un’intera società e modo di vivere che vengono percepiti, e attaccati, come nemici. Proprio per questo occorre non cadere nella stessa logica, bensì evitare i cortocircuiti di cui sopra. Altrimenti la perversa visione dicotomica — “noi” contro “loro” — del terrorismo islamico avrà vinto anche nelle nostre teste.

Non tutti i migranti sono musulmani. Non tutti i musulmani sono fondamentalisti islamici aperti alla propaganda terrorista. Non basta essere cittadino italiano autoctono per condividere i valori di libertà, democrazia, uguaglianza tra uomini e donne, rispetto dell’altro. Non basta neppure per essere esente dal rischio di terrorismo. Quei valori, e la capacità di esprimere un conflitto o un disagio senza annullare l’altro/a, si apprendono e convalidano quotidianamente in famiglia, a scuola, nelle relazioni sociali. Un apprendimento e una modalità di relazioni che ci riguardano tutti e a tutti i livelli, migranti e autoctoni, semplici cittadini e governanti (o aspiranti tali), e che, se non realizzate adeguatamente, possono e devono essere oggetto di sanzioni.

La legge sulla cittadinanza, con la sua estrema moderazione e i suoi requisiti stringenti non aumenterebbe in nulla il rischio di terrorismo (e neppure di “sottrarre risorse agli italiani”). Al contrario, immetterebbe esplicitamente e strutturalmente i “nuovi cittadini” nel circuito dei doveri e delle responsabilità, oltre che dei diritti, che discendono dal far parte della nostra società.


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