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I prof umiliati e il rispetto da insegnare

Chiara Saraceno

19/04/2018
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la Repubblica

Uno studente di un istituto tecnico di Lucca ha reagito a una insufficienza prima ingiungendo in malo modo al professore di dargli sei, poi, difronte al rifiuto, ha chiesto retoricamente chi comandasse e ha ingiunto al professore, che si è ben guardato dall’obbedire, di inginocchiarsi. Il tutto tra le risate dei compagni, registrate nel video che ha ripreso la scena. Di che cosa ridevano?

Del professore che vedevano umiliato dall’atteggiamento di un loro compagno, o di quest’ultimo, del suo modo così sgraziato, così eccessivo e “fuori di testa” di reagire a un brutto voto da farlo apparire psicologicamente disturbato? O di tutti e due?

Qualcuno si sarà forse anche spaventato.

Qualcuno avrà fatto finto di nulla. Non si è sentito nessuno consigliare al compagno di smetterla, quasi aspettassero di vedere come andava a finire. Chissà, forse l’insegnante spaventato avrebbe obbedito all’ingiunzione di inginocchiarsi; o invece avrebbe preso il ragazzo per il bavero, mettendosi dalla parte del torto.

O forse quel ragazzo è considerato dai compagni come uno non “dei loro”, uno di cui ridere quando ne fa una delle sue e da mettere alla gogna sui social. Non ne sappiamo nulla, a parte quel video, che insieme documenta un fatto drammatico e ne cela origini e contesto, oltre alla ragione per cui il video stesso è stato girato e fatto circolare: per divertirsi? Per mettere alla gogna il compagno? Per denunciare un professore di non sapere tenere la classe? Per passare il tempo?

Quel ragazzo che ha minacciato l’insegnante ha certamente problemi comportamentali, deliri di onnipotenza.

Appare un esempio eclatante di quella zona di guerra che troppo spesso sembrano diventati la scuola e il rapporto tra insegnanti, alunni e genitori, dove gli insegnanti appaiono sempre più delegittimati, privati di qualsiasi autorevolezza.

Ma anche i compagni che assistono, ridono, girano video, come se fossero spettatori di qualche cosa che non li riguarda, mentre altri forse si ritirano spaventati, non sono del tutto estranei a questa strisciante delegittimazione del rapporto educativo. Non sfidano gli insegnanti con comportamenti irriguardosi, eseguono i compiti e le azioni richieste. Ma se ne stanno come ostaggi passivi del lungo tempo scolastico, da vivacizzare con gli imprevisti del comportamento dei compagni o degli insegnanti, documentati dal video di un cellulare usato come schermo difensivo rispetto alla noia, ma anche a un coinvolgimento in prima persona. Come se si ponessero in una situazione di estraneità rispetto alla relazione educativa, decidendo a priori che non ne può venire nulla di interessante e sorprendente per sé stessi.

Il ritiro dell’attenzione interiore, della curiosità, della disponibilità a farsi coinvolgere, è meno drammatico della violenza verbale e fisica. Ma, mentre può costituirne il terreno di coltura, non è meno problematico per il rapporto educativo che costituisce la ragione stessa dell’insegnamento. Punire gli atteggiamenti violenti e non consentire la mancanza di rispetto è doveroso e necessario. Ma non elimina la questione del come educare al rispetto, all’attenzione, anche alla passione per l’apprendimento e al superamento dei fallimenti, a scuola e in famiglia.


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