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I pois dell'ispettore

di Giuseppe Aragno

12/05/2013
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il manifesto

Statemi a sentire e datemi una risposta se vi riesce. Vediamo che idea vi siete fatti della valutazione e, per favore, non fate quella faccia. Sono discorsi all'ordine del giorno. Partiamo dalla cronaca e stiamo ai fatti. Com'è andato lo sciopero dei Cobas per boicottare il primo giorno dei test Invalsi? Non lo sapete? Ma allora non leggete l'Huffington Post! Se l'aveste letto, il 10 maggio, lo sapreste: «Invalsi, boicottaggio fallito a scuola». È così, credeteci, basta coi dubbi e non tirate fuori la storiella dei punti di vista e del sistema di valori di riferimento. Il valore di riferimento lo decide il valutatore e se v'hanno insegnato a leggere i fatti in un contesto, se avete imparato che esistono obiettivi minimi e massimi, che si può avere i numeri contro e vincere moralmente, se state appresso alla favola di Silvio Pellico che con le «sue prigioni» costò all'Austria quanto Waterloo a Napoleone, beh, snebbiatevi il cervello e prendete atto: Pellico era un «perdente», un contestatore da tre soldi che non seppe evitare la galera; e anche con Gramsci, piantatela per favore.
CONTINUA|PAGINA4 Gramsci era un «sovversivo» ed ebbe quello che si meritava. Il sistema di valori di riferimento era all'epoca quello fascista e conta quel conta. La verità la dicono i vincitori e c'è una gerarchia. Se i vostri insegnati non l'hanno capito, cercate di ricordare: al test che vi chiede se Gramsci finì in galera perché era un delinquente, perché lottava per la giustizia sociale o, che ne so, perché era un illuso sognatore, scartate l'illuso perché romantico non si porta, non optate per la giustizia sociale, perché di questi tempi come valore di riferimento è un disastro e andate sul sicuro: un volgare malfattore. Non potrete sbagliare.
Torniamo al dunque. Stabilito il punto - il disastro dei Cobas - la domanda che logicamente si pone è il perché della Caporetto. Badate, però, che a usarle bene le parole, nel «modo» si può leggere la causa e, quindi, la risposta che vi si domanda è un giudizio di valore. Se vi chiedo com'è fallito e decido che la risposta esatta è «in modo naturale» - così sostiene l'indiscutibile Huffington Post - non c'è dubbio: non si tratta del modo, ma della causa. Era naturale che fallisse, lo era perché negava il «valore» di riferimento. Voi potete pensarla molto diversamente, ma nel sistema di valori del valutatore «i test Invalsi fanno parte della natura della scuola» e «i docenti lo sanno, gli studenti lo sanno, i genitori lo sanno». Sarà falso, sarà sconvolgente - la scuola ha cambiato natura! - ma voi dovete sapere che per superare il test, questo va detto. Lo dovete sapere voi e lo dovranno imparare gli insegnanti che vi preparano ad affrontare i test. Nell'idea reiterata e mai dimostrata di «naturale» c'è il concetto chiave dell'Huffington Post: esistono un corso delle cose, una concatenazione logica degli eventi, una filosofia della storia che non vi riguardano; appartengono al valutatore. Chi risponde ai test è libero di scegliere tra risposte date, non ha la libertà di immaginarne soluzioni che guardino a dimensioni diverse. Dalla maieutica di Socrate che vi chiedeva di cercare liberamente la vostra verità, siamo passati alla libertà condizionata di scegliere tra verità date. La «naturalità» dell'Invalsi si fa divinità: la critica è bestemmia o, peggio, negazione. Al test fondamentale, quello che chiede cosa vuole chi critica l'Invalsi si possono dare molte risposte, e in tanti l'hanno data, non ultimi e non da ultimi, Vertecchi e Israel, ma l'unica risposta buona per il valutatore - è l'Invalsi che valuta l'Invalsi - è la più ideologica di tutte: chi critica l'Invalsi «rifiuta di valutare i livelli di apprendimento degli studenti», sostiene l'Huffington Post.
Le cose non stanno così. Prima di valutare coi test, occorre condividere i presupposti, intendersi sul concetto. Una scuola è un luogo di lavoro? Un no sarebbe ideologico e un sì deformante. «Anche», si potrebbe rispondere. Però poi occorrerebbe definire il mondo con cui riempire quell'anche, riconoscere che esiste una «scuola» in senso concettuale e migliaia di scuole diverse tra loro. Perché l'Invalsi? E' naturale, risponde il giornale di Lucia Annunziata. Naturale. E' un mantra. A cosa e a chi servono i test? «Servono per monitorare il Sistema nazionale d'Istruzione e confrontarlo con le altre realtà comunitarie ed europee». Ma che paragone sarà mai, quello che confronta realtà così diverse tra loro? Un sistema che va per tagli lineari e disinveste, con uno sul quale s'è scommesso a suon di milioni?
La prima volta che ho incontrato l'Invalsi, eravamo a metà degli anni Settanta. Allora si chiamava ispettore, ma rispondeva come oggi a logiche di potere. Scienziato della borghesia, giunse in classe e non si annunciò. Era in terra di camorra, ma non lo sapeva. Chiese ai ragazzini irrequieti l'inno d'Italia e non ebbe risposta, trovò che quasi tutti scrivevano pensierini acuti ma erano «scadenti» nel dettato. Era lui che correva, pieno di sé, ma non riuscii a fermarlo. S'era fissato col suo impeccabile abbigliamento e insisteva: Di che colore sono i pois della mia cravatta?. Lo chiese a bruciapelo a un soldo d'uomo, e quello strinse i grandi occhi neri e li fece inespressivi. Era un segno di difesa minacciosa, ma nemmeno questo sapeva. Insistette con due di quelli più lindi e pinti e fu silenzio di tomba. Prima che aprisse ancora bocca, lo bruciai sul tempo - State a sentire. L'ispettore vò sapè 'o culore de' palle ca tene ncopp'a cravatta. Fu un coro immediato: Rosse e gialle! Rosse e gialle!
Sono figli di povera gente, sibilai. Il francese non lo conoscono e i pois li chiamano palle!
Un lieve tic all'occhio, un saluto indispettito e se ne andarono via, lui, la cravatta e i pois. Uscendo, leggeva dal registro a voce alta voce una mia relazione: «Qui è legione straniera. Un avamposto nel deserto. La scuola c'è per segnare un possesso: territorio della repubblica. Ci manca tutto, comanda la camorra. La mia cultura non serve: sto imparando il mestiere sulla pelle degli alunni».
Quando il Direttore mi chiamò, aveva un'ombra negli occhi e le labbra, curve in basso, disegnavano una piega amara. Si agitò un attimo, nel grigio doppiopetto trasandato e poi sbottò: Ma che mi hai combinato? Se n'è andato come un pazzo! Gliela do io la legione straniera! Gliela do io! Un pazzo pareva. Raccontava senza nascondere un'ilarità compiaciuta e complice che gli sollevava la piega della bocca fino a disegnarvi un sorriso.
Dice che il biennio non lo passi - proseguì provando a farsi serio. Avresti dovuto vederlo: se n'è andato furioso, ma non farà il cretino. Non ha gli elementi e lo sa.
Gli dissi delle palle sulla cravatta. Rise fino a congestionarsi, tossì e riprese fiato accendendo una sigaretta che lo rimise miracolosamente in sesto.
Sono passati decenni. C'è un'Italia che vive ancora così e forse peggio. L'Europa dell'Invalsi non c'è. E nemmeno lo Stato. E' una lotta al coltello con la malavita organizzata. Naturale? Tutto quello che c'era di «naturale» è andato distrutto.


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