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I libri? Vitamine anti-ignoranza

A colloquio con Giovanni Solimine autore di «Senza Sapere»

22/06/2014
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l'Unità

Qual è la differenza tra istruzione e cultura?
«Sono cose molto diverse.
Condivido la distinzione proposta da Goffredo Fofi, che cito nel mio libro Senza sapere: Fofi preferisce parlare di “educazione”, e cioè dell’azione mirata a tirar fuori il meglio da ciascuno e ad aprire orizzonti, piuttosto che di “formazione”, come se si trattasse di fabbricare persone tutte uguali.
Al di là delle questioni terminologiche, credo che l’istruzione serva non tanto a fornire “contenuti”, che prima o poi svanirebbero, ma ad educare, a fornire competenze e strumenti attraverso i quali un individuo viene messo in condizione di accedere alla conoscenza e di apprendere. La “conoscenza” di cui parlo corrisponde all’acquisizione critica di fatti e informazioni, organicamente collegate tra di loro, in modo da consentirne la contestualizzazione e rielaborazione
consapevole. Una conoscenza in fieri o up-to-date, da costruire progressivamente, più che una conoscenza preconfezionata, che non si può immaginare di trasmettere senza la produzione di nuovo valore aggiunto.
La cultura non è solo qualcosa di consolidato, da tramandare da una generazione all’altra o da un maestro a un allievo, ma si crea attraverso l’interazione e la “conversazione”, concretizzandosi nella capacità di comprendere e interpretare la realtà che ci circonda».
Quali patologie sociali e democratiche possono curare i libri (se possono)?
«Oggi, quando ci sottoponiamo a un esame clinico o a un intervento medico, ci viene richiesto di fornire il “consenso informato”. Se la società è una comunità di persone che si riconosce in dei valori comuni e se il processo democratico si fonda su una delega che i cittadini affidano consapevolmente ai propri rappresentanti, mi chiedo come sia possibile tutto ciò senza una profonda consapevolezza.
Il libro ha (e conserva) una caratteristica: è uno strumento per la trattazione organica di una questione, per l’argomentazione di una tesi, per descriverne la complessità, per narrare in tutte le sue pieghe una vicenda. In questa funzione mi sembra insuperato e insuperabile. Anche perché con l’atto del leggere completiamo ciò che l’autore ha scritto in un libro, lo personalizziamo facendolo entrare nella nostra vita personale e cogliendone ciò che serve a ciascuno di noi».
Quanto costerebbe una profilassi a base di lettura?
«La profilassi serve a evitare o prevenire il diffondersi di malattie. Se la malattia contro cui vaccinarsi è l’ignoranza, con le sue nefaste conseguenze, possiamo dire che dovremmo smetterla di tagliare sull’istruzione: l’Italia è l’unico paese dell’area Ocse che dal 1995 non ha incrementato gli investimenti nella scuola e che ha ridotto nel periodo 2008-2012 del 14% i fondi alle università (solo la Grecia ha fatto peggio di noi).
L’istruzione costa, ma l’ignoranza costa molto di più: la paghiamo con la disoccupazione e l’emigrazione dei giovani, con un sistema sociale e produttivo debole e invecchiato, con uno scarso senso civico, con un malessere diffuso».
I libri per lei sono stati anche una cura? E per che cosa?
Sono state le vitamine. Da ragazzo non ero un fortissimo lettore, ma sono migliorato col tempo. E penso di essermi irrobustito. La mia formazione era alimentata da una grande curiosità e questa caratteristica, per fortuna, l’ho conservata. Se a oltre sessant’anni non smetto di appassionarmi e di cercare strade nuove, lo debbo anche al fatto che ogni volta che apro un libro scopro cose nuove, che mettono in moto i neuroni residui che mi sono rimasti».
Nel suo, «L’italia che legge» (Laterza, 2010) ha osservato che «I dirigenti, gli imprenditori e i professionisti – in poche parole, la classe dirigente del paese – leggono più dei propri dipendenti per motivi strettamente professionali, ma meno di loro se teniamo conto di tutti i generi di lettura, compresa la lettura per svago. Possiamo attribuire questa differenza solo a una scarsa disponibilità di tempo libero, o ci possiamo spingere fino a formulare l’ipotesi che i consumi culturali di chi ha in mano le sorti dell’economia e della vita socio-politica italiana siano a un livello piuttosto «basico»? Quanto costerebbe una profilassi per la classe dirigente?
«Costa: il 31% della classe dirigente è senza laurea, il 49% non legge i giornali, il 64% non va a teatro …e potrei continuare. Da questo punto di vista la classe dirigente rispecchia il paese, con l’aggravante che proprio perché è fatta da gente di questo tipo non riesce a capire che bisognerebbe investire nella conoscenza e che il principale capitale su cui un paese come il nostro – privo di risorse naturali e in ritardo su molti fronti – dovrebbe investire è il capitale umano. Costerebbe di più la cura o un trapianto? Lei che ne pensa?».


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