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I giovani perduti

Chiara Saraceno

16/01/2018
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la Repubblica

Il fallimento formativo in Italia ha un peso maggiore che in altri Paesi con il nostro grado di sviluppo, un peso insostenibile per un Paese con le nostre ambizioni. È un’anomalia grave dell’intero sistema-Italia e pesa sulla possibilità di sviluppo e sulla coesione sociale». Così recita il rapporto finale della “Cabina di regia per la lotta alla dispersione scolastica e alla povertà educativa” istituita presso il Miur, coordinata da Marco Rossi-Doria.

Il fenomeno della microcriminalità e violenza di ragazzi e adolescenti, che a Napoli ha conquistato l’attenzione pubblica, ha le sue radici in gran parte qui. Fallimento formativo, infatti, non significa solo incapacità di portare una quota di bambini e ragazzi a livelli adeguati di competenze cognitive. Significa anche non essere stati capaci di investire su di loro come soggetti dotati di valore, del cui benessere e sviluppo ci si preoccupa e cui si tiene come un bene prezioso. Sentendosi soggetti privi di valore nei contesti in cui vivono, senza che nessuno li aiuti a vedere un futuro possibile in cui dimostrare il proprio valore e sviluppare le capacità, alcuni se lo danno da sé con gli strumenti che hanno sotto mano, specie se vivono in contesti violenti. Aggredire, stuprare sono modi di mostrare la propria superiorità rispetto ai coetanei, ma anche agli adulti dai quali ci si sente disprezzati o ignorati.

Non tutti, per fortuna, reagiscono così. La maggior parte delle vittime del fallimento educativo ne accetta le conseguenze in una vita fatta di marginalità ed esclusione, oltre che di fatica. Anche se proprio l’accettazione li rende invisibili, salvo che come elementi delle statistiche di povertà e disoccupazione, come “ colpevoli” di non essere all’altezza delle sfide della “società del rischio”. I violenti non vengono tutti da famiglie e contesti disagiati. Tuttavia la correlazione è evidente e chiama in causa responsabilità politiche e sociali.

Il fallimento educativo, fatto di dispersione scolastica, abbandono scolastico precoce, inadeguato sviluppo cognitivo e del potenziale capitale umano, è un fenomeno intenso nel Mezzogiorno. Ma è presente anche nelle periferie del Paese e in particolare tra i bambini e ragazzi di origine straniera, come evidenzia anche l’ultimo “Atlante dell’infanzia a rischio” di Save the children.

Il rapporto della Cabina di regia del Miur sottolinea che al centro delle ragioni del persistente fallimento vi è una correlazione sistematica tra alcuni fenomeni: la diffusione delle povertà e povertà educativa di contesto, famigliare e minorile; l’inesistenza di azioni nelle aree di crisi improntate sullo sviluppo locale; la debolezza negli interventi preventivi e compensativi precoci; l’abbandono di scuola e formazione anche a causa di un sistema standardizzato che fa prevalere l’offerta per tutti alla risposta per ciascuno; azioni riparative indebolite da politiche pubbliche caoticamente finanziate e a singhiozzo e che guardano ora alla scuola ora al privato sociale ma non alle sinergie potenziate da comunità educanti dei territori; mancato coordinamento nazionale, regionale e locale.

In Italia esiste una ricca tradizione di interventi in questo campo. Dalla scuola di Barbiana di don Milani ai maestri di strada, sempre con la spada di Damocle dell’interruzione dei finanziamenti, passando per le esperienze locali e di quartiere, dentro e fuori la scuola. Perché la scuola è importantissima, ma serve una comunità, una rete di iniziative e gruppi, che ne rafforzi e integri l’operato, lavorando anche con i genitori per sostenerne l’azione educativa. A mancare, quindi, non sono le idee e le buone pratiche, ma un coordinamento e un sostegno continuo e coerente da parte dello Stato e del Miur, oltre che degli enti locali. Anche il neo-istituito Fondo per la povertà educativa, purtroppo, ha seguito la logica della sperimentazione frammentata, piuttosto che quella del rafforzamento e integrazione delle iniziative esistenti. Peccato che nell’elenco delle promesse della campagna elettorale non ci sia traccia di questi temi. Con il rischio che l’esclusione minorile sia presente solo come un problema di sicurezza.


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