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" I finanziamenti da soli non bastano Agli atenei serve programmazione"

Antonino Rotolo è professore di filosofia del diritto e prorettore per la ricerca dell'Università di Bologna, e promuove solo in parte l'impegno mostrato dal governo in fatto di ricerca

14/06/2020
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La Stampa

Roma
«Molto bene le quasi cinquemila assunzioni tra i ricercatori ma quello che ancora manca è un'idea di sistema, di programmazione. Servono misure che vadano oltre l'orizzonte limitato di un anno o poco di più». Antonino Rotolo è professore di filosofia del diritto e prorettore per la ricerca dell'Università di Bologna, e promuove solo in parte l'impegno mostrato dal governo in fatto di ricerca.
Che cosa si aspettava dal governo?
«Per dare frutti, la ricerca ha bisogno di progetti. Questi funzionano grazie al lavoro di ricercatori a tempo determinato, ma è necessario avere anche personale strutturato. Quest'ultimo si sta riducendo e non c'è un'inversione di tendenza. E non è positivo per il sistema universitario, poiché c'è bisogno di entrambe le figure».
Ci sono stati però negli ultimi anni dei piani straordinari di assunzioni.
«Sì, da qualche anno i governi stanno mettendo in atto misure straordinarie di stabilizzazione. Le ultime sono presenti nel Milleproroghe di dicembre e nel Decreto rilancio. Non sono però adeguate. Servirebbe un numero superiore di stabilizzazioni, ma il punto su cui davvero si dovrebbe insistere è l'aumento dei finanziamenti. Il ministro dell'Università Gaetano Manfredi ne aveva parlato durante il suo insediamento, mi aspetto che mantenga la promessa».
Di quante stabilizzazioni ci sarebbe bisogno?
«Il tema non è prevedere un certo numero di posti quest'anno e poi nulla, ma dare stabilità agli interventi e sostenerli con politiche di finanziamento per gli atenei».
Quindi le misure adottate finora non sono sufficienti?
«Sono un elemento di discontinuità molto positivo, ma come università mi aspetto che questo tipo di supporto si stabilizzi e quindi di poter avere davanti a me un orizzonte con maggiori certezze. Non mi limiterei a valutare i numeri sul singolo anno. La ricerca è anche sfida a livello internazionale. Bisogna procurarsi finanziamenti ed essere competitivi rispetto agli altri Paesi. La programmazione è fondamentale, anzi è l'elemento strategico. Le misure adottate sarebbero eccellenti se si collocassero all'interno di un piano pluriennale».
Una parte dei ricercatori chiede la separazione delle carriere e la nascita di una figura di ricercatore specializzato. Che cosa ne pensa?
«L'università non fa solo ricerca, ma anche didattica, quindi saper coniugare ricerca e didattica è un valore da non disperdere. Nel sistema universitario esistono già figure di ricercatori che non hanno compiti di didattica: sono gli assegnisti di ricerca che hanno però delle fragilità su cui si dovrebbe intervenire».
Quali sono?
«Il problema non è l'importo dell'assegno che non ha un tetto massimo, quindi se esistono finanziamenti sufficienti può anche essere elevato. Mancano invece le tutele, non esistono ammortizzatori sociali. Questo rende gli assegnisti molto deboli. Sono un tipo di lavoratori necessari perché nella ricerca c'è bisogno di avere figure flessibili per ottenere finanziamenti competitivi, ma serve prevedere maggiori garanzie e tutele. Certo questo determina un aumento del costo della posizione lavorativa. Così si torna a affrontare il tema del finanziamento della ricerca che è alla base di ogni discorso sull'università e sulla ricerca».
Non le sembra triste dover essere qui ad affrontare ancora questi argomenti dopo una pandemia che ha svelato l'importanza e l'eccellenza della ricerca italiana?
«In Italia c'è un problema storico a riconoscere il valore della ricerca come elemento strategico. Non solo la politica, anche il mondo dell'università forse avrebbe potuto fare di più. Mi auguro che il Covid rappresenti un momento di riflessione e che faccia capire che la ricerca deve essere un elemento su cui investire al di là del singolo piano straordinario e che si arrivi a una continuità di finanziamenti che ci riporti nell'arco di qualche anno a livelli accettabili». Fla. Ama.


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