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I figli dei manager più bravi di quelli dei professionisti

C’era una volta un Paese dove essere figlio di uno spazzino o di un avvocato non faceva grande differenza: o meglio la faceva, ma la scuola interveniva a correggere le disparità

19/02/2014
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Corriere della sera

C’era una volta un Paese dove essere figlio di uno spazzino o di un avvocato non faceva grande differenza: o meglio la faceva, ma la scuola interveniva a correggere le disparità di origine in modo da formare cittadini con le stesse competenze (o comunque con competenze abbastanza simili). È la favola bella dell’educazione di qualità per tutti, che la maggior parte dei Paesi europei ha clamorosamente mancato ma che in Finlandia è diventata realtà. Che la scuola pubblica italiana abbia fallito il suo obiettivo è un fatto noto: le differenze socio-economiche incidono relativamente poco alle elementari ma esplodono alle medie condizionando la successiva scelta delle superiori. Una fotografia molto chiara di questo sistema di perpetuazione delle ineguaglianze ci viene dall’ultimo rapporto Ocse-Pisa sulle competenze dei 15enni. «In Italia — spiega Francesca Borgonovi, ricercatrice Ocse — le cose vanno meglio che in Germania dove il differenziale è massimo. Ma comunque tra il figlio di un manager e il figlio di un metalmeccanico ci sono 70 punti di differenza, che equivalgono a più di un anno e mezzo di scuola». In quasi tutti i Paesi considerati, i figli dei professionisti — avvocati, professori universitari, medici, ingegneri o architetti — staccano di molte misure i «figli degli altri». Nulla di strano: che avere dei genitori laureati aiuti nel percorso di studi è abbastanza scontato. Eppure c’è un Paese che fa eccezione, l’Italia, dove i figli dei manager vanno meglio a scuola dei figli dei professionisti. Un dato ancor più sorprendente se si considera che da noi la maggioranza dei manager delle piccole e medie imprese non ha un titolo di laurea. Come spiegarlo? «Possiamo fare solo delle speculazioni — dice Francesca Borgonovi —. È molto plausibile, però, che da noi giochi negativamente il carattere ereditario delle professioni. Se il figlio di un avvocato è predestinato a lavorare nello studio del babbo indipendentemente dalle sue capacità, gli manca l’incentivo a fare più e meglio dei propri genitori». Viceversa, forse, i figli dei manager sono più competitivi e, forti della tranquillità economica raggiunta dai genitori anche senza la laurea, desiderano, loro sì, fare il salto di qualità dell’istruzione. Le differenze di classe combinate con il divario fra Nord e Sud producono poi delle stravaganze: per esempio, il figlio di un metalmeccanico in Lombardia ha risultati migliori a scuola del figlio di un manager siciliano. Ma non c’è da brindare. Il fatto è che mentre gli studenti lombardi sorpassano i colleghi tedeschi e rincorrono i finlandesi, i siciliani stanno un punto sotto i turchi.
Orsola Riva
 


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