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I fatti di Parigi: la sconfitta della scuola?

Maurizio Tiriticco

11/01/2015
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ScuolaOggi

I giovani terroristi che hanno agito a Parigi erano cittadini francesi, scolarizzati in scuole francesi fin da piccoli. Mi domando: in un Paese democratico e in una scuola altrettanto democratica, com’è possibile che non si sia riusciti a educarli alla convivenza civile e all'accettazione di quel pluralismo religioso che potrebbe costituire un arricchimento e non un limite per la crescita/sviluppo di ciascun cittadino, di qualsiasi etnia (non razza, ovviamente) e credo religioso?

Non siamo al tempo delle guerre di religione. Un contesto democratico ospita e accetta qualsiasi credenza. O così dovrebbe essere. E un credo religioso non dovrebbe confliggere con quel contesto socioculturale in cui ciascuno è libero di professare le idee e la fede che liberamente decide di far proprie. A meno che il contesto socio-culturale non sia più forte rispetto a ciò che una scuola promuove o dovrebbe promuovere. Mi chiedo: forse il contesto reale in cui i tre sono cresciuti è tale da non comprendere, non accettare, e rifiutare di fatto determinate credenze religiose? Lo pongo come quesito, nell'ambito, forse, di una ricerca socioantropologica. Io non so dare risposte. Avanzo solo dei dubbi.

La religione, qualsiasi religione – almeno le tre monoteistiche che interessano l'Europa e parte degli altri continenti – è in primo luogo rispetto per l'altro – non parliamo di amore, parola troppo grossa – è solidarietà con l'altro ai fini della tenuta costante e dello sviluppo di una convivenza pacifica e produttiva. Se è così, allora mi chiedo: perché tanto odio da parte di alcuni verso la società dei Lumi e di quella Rivoluzione che ha aperto le porte all'affermazione della convivenza democratica, oggi vigente in larga parte del pianeta?

La conclusione sarebbe amara: sembra, infatti, che un contesto sociale "malato" sia più forte di una scuola, anche se "buona". E' l'intera società francese, allora, che si dovrebbe interrogare. E anche tutte le società di questa vecchia Europa che oggi deve far fronte a un fenomeno immigratorio che non ha paragoni con il passato. I barbari di un tempo si integravano nelle leggi e nei costumi delle società che via via andavano occupando. E lo sviluppo civile – salvo i danni delle iniziali invasioni – riprendeva e anche con maggior vigore.

Si tratta di interrogativi che sono a monte di qualsiasi iniziativa politica e sociale oggi la Francia – e domani forse altri Paesi europei – debba assumere. I fatti di Parigi segnano forse la sconfitta della scuola? I giovani terroristi che hanno agito a Parigi erano cittadini francesi, scolarizzati in scuole francesi. Mi domando: in un Paese democratico e in una scuola altrettanto democratica, com’è possibile che non si sia riusciti a educare questi giovani – e quanti altri vi saranno – allo spirito collaborativo? Alla convivenza civile? Un credo religioso non confligge con il contesto socioculturale in cui ciascuno è libero di professare le idee e la fede che liberamente decide di far proprie. A meno che il contesto socio-culturale non sia più forte rispetto a ciò che una scuola produce o dovrebbe produrre. Quello che è accaduto e accade frequentemente nelle banlieue delle grandi città della Francia è il segnale di un disagio sociale profondissimo che forse il governo non affronta come dovrebbe: forse in forza di ragioni politiche sulle quali occorrerebbe, invece, discutere.

E forse il contesto reale in cui i tre sono cresciuti è tale da non permettere, non accettare, emarginare di fatto la presenza attiva di determinate credenze religiose? E’ un interrogativo su cui occorre riflettere, perché la risposta non è semplice. Mi chiedo: i tre giovani che hanno ucciso e si sono immolati per l’Islam sono l’esito di una follia individuale o sono la punta dell’iceberg di una situazione della quale dobbiamo prendere atto? E prima che sia troppo tardi! Il rischio che l’Isis possa fare proseliti c’è ed è un cosa seria.

La responsabilità dell’educazione è grande, ma quella del contesto reale è ancora più grande. E la politica, purtroppo, ha sempre la meglio sull’educazione formale, su quello che si insegna e si apprende sui banchi di scuola. Politique d’abord! Come dicono, appunto, i Francesi!

 


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