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I dubbi dell'insegnante Sprar

di Concita De Gregorio

16/05/2017
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la Repubblica

Grazie a Francesco Scarcella, Roma, e Salvatore Talarico, Catanzaro

La storia di Francesco Scarcella fa da controcanto alle decine e decine di storie di trentenni che hanno finito di studiare, hanno ingannato il tempo mentre mandavano curricula iscrivendosi a master e corsi preparatori per esami abilitanti e si trovano alle soglie dei quarant’anni senza un motivo per alzarsi dal letto la mattina. Francesco un lavoro ce l’ha, fra un momento vi racconto quale. Salvatore invece - 35 anni, Catanzaro, una laurea in legge e decine di lettere inviate (“potrebbero almeno mandare una risposta automatica, invece niente”) -  non trova nulla e mi parla del ragazzo che qualche mese fa si è ucciso.

“Aveva più o meno la mia età, e anche io dopo sei anni di tirocinio gratuito mi sento una nullità. Non ho capito questo diavolo di sistema come funziona, lei sa spiegarmelo?”. Ho una mezza idea, Salvatore, ma le parole in questi casi servono a poco, consolazione e incoraggiamento non danno da vivere: servirebbero fatti, politiche di governo, qualcuno capace di pensare il bene collettivo e non il suo, quello del suo piccolo gruppo. Alla politica bisogna ostinatamente continuare a chiedere: non stancarsi, pretendere.

Le giro la storia di Francesco, per esempio. Un suo coetaneo che ha trovato lavoro. Ha 35 anni, guadagna meno di 900 lordi al mese. Lordi, per vivere a Roma sono pochi. Mi dice: “Sono insegnante di italiano presso due centri di accoglienza per richiedenti asilo e beneficiari di protezione internazionale (Sprar). Si tratta di un lavoro non riconosciuto dal ministero della Pubblica Istruzione, nonostante i centri di accoglienza siano obbligati da bando (ministero dell'Interno e prefetture) a garantire almeno dieci ore di lezione di italiano a beneficiario, tenuti da personale specializzato (da specifiche certificazioni post laurea delle Università per Stranieri di Siena e Perugia)".

"Siamo dei professionisti, ci siamo specializzati in questo, abbiamo studiato molti anni, fatto esperienza sul campo e non siamo lì perché siamo buoni d’animo: lo facciamo perché è un lavoro. Un lavoro nel quale c’è bisogno di preparazione, sensibilità e una grande abilità nell’adattare le metodologie apprese a un contesto non sempre facile. Siamo insegnanti a tutti gli effetti, ma lavoriamo anche a luglio e agosto, non facciamo ponti, spesso abbiamo a disposizione strumenti inadeguati, non prendiamo lo stesso stipendio di un insegnante statale e per il Miur, ministero della Pubblica Istruzione, e non solo per quello, non esistiamo".

"Dunque, ricapitolando: il ministero dell'Interno obbliga i centri a garantire corsi di italiano tenuti da personale specializzato, il ministero della Pubblica Istruzione è completamente disinteressato alla questione ed è la cooperativa di turno che decide chi, come e quanto pagare l'insegnante senza che ci sia una regolamentazione in merito. Ciò comporta che spesso molti insegnanti siano sottopagati e abbiano contratti (e strutture) inadeguati, nonostante il lavoro importantissimo - obbligatorio - che quotidianamente svolgono. Come funziona questo sistema, lei sa spiegarmelo?”.

Giro la domanda a Valeria Fedeli e Marco Minniti, ministri dell’Istruzione e dell’Interno, persone cresciute nel sindacato e nei partiti di sinistra. E’ alla politica che ostinatamente bisogna continuare a chiedere.


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