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I criteri dei punti organico: una discussione difficile ma indispensabile

In queste riflessioni si toccherà un tema specifico: quello dei criteri di definizione e di allocazione dei “punti organico” fra le università italiane.

08/10/2020
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ROARS

Gianfranco Viesti

Per rilanciare l’economia italiana dopo venti anni di crescita stentata e dopo i profondi danni che sta provocando l’epidemia di covid è indispensabile affrontare alcune grandi, ineludibili questioni. Due spiccano per importanza: i modesti livelli di istruzione delle forze di lavoro e dei giovani, i grandi squilibri territoriali. Esse si incrociano nella situazione e nelle prospettive del sistema dell’istruzione, scolastica e universitaria, del Mezzogiorno e in generale del Centro-Sud. Ma, mentre da più parti si sottolinea il suo fondamentale ruolo, e la necessità di un suo potenziamento, le politiche continuano ad andare in direzione opposta.

In queste riflessioni si toccherà un tema specifico: quello dei criteri di definizione e di allocazione dei “punti organico” fra le università italiane. E’ un tema importante, perché come si dirà ha implicazioni sensibili sul futuro degli atenei. Ma è anche un tema spinoso, perché i criteri di allocazione determinano chiavi di riparto fra le università di un totale predefinito. Qualsiasi modifica dei criteri per definizione determina un miglioramento per alcuni e un peggioramento per altri. E’ quindi un tema sul quale naturalmente, ciascuno tende a valutare tanto i principi generali quanto gli effetti concreti sulla propria situazione, sul proprio ateneo. Si consideri che anche gli atenei che, come si vedrà sono stati relativamente “favoriti” da questa politica vengono da anni molto difficili, di contrazione di finanziamenti e di personale. Ma è una discussione ineludibile.

La riduzione del personale universitario e il blocco degli stipendi sono stati un complemento indispensabile al calo del finanziamento delle università, avviatosi ormai da più di un decennio (Viesti 2018): gli stipendi del personale, in Italia come altrove, rappresentano una quota largamente preponderante dei costi degli atenei. Le riduzioni dell’investimento pubblico nell’università italiana sono state molto selettive tra sedi, grazie ai nuovi criteri di definizione del Fondo di Finanziamento Ordinario. Lo stesso è avvenuto per i “punti organico”.

I punti organico rappresentano la dotazione disponibile in ciascun ateneo per reclutare nuovo personale o procedere ad avanzamenti di carriera. Essi sono calcolati in proporzione ai punti organico relativi al personale cessato in ciascun anno; il rapporto fra i punti organico che vengono attribuiti e quelli rivenienti dalle cessazioni rappresenta il tasso di turn-over per ciascun ateneo. Coerentemente con la scelta politica di compressione del sistema universitario, anche per le esigenza di finanza pubblica, fu introdotto un tasso di turn-over inferiore al 100% per il sistema nel suo insieme; ma coerentemente con la politica di selettività dei tagli, nel 2012 fu deciso che il tasso di turn-over dovesse essere diverso per i singoli atenei: cioè ciascun ateneo avrebbe avuto diritto ad un valore di punti organico che rappresentava un diversa percentuale di quelli rivenienti dalle cessazioni.

Come calcolarlo? Fu costruito un meccanismo piuttosto complesso, poi costantemente riconfermato. In questo meccanismo, il principale indicatore misura il costo del personale “a carico ateneo”, e altri costi (ammortamenti e fitti) in relazioni alle entrate complessive, date dal FFO e dalle tasse pagate dagli studenti. Già la definizione del personale “a carico ateneo” induceva qualche distorsione, dato che per quell’anno per gli atenei toscani, sardi, lucani figuravano contabilmente significativi “finanziamenti esterni per spese di personale” che riducevano l’importo degli stipendi. Vi è anche un indicatore riferito all’indebitamento degli atenei, ma con un ruolo minore, rilevante solo in alcune specifiche situazioni.

Dunque: puoi aumentare il costo del personale se sei in grado di pagartelo. Apparentemente un criterio che fila. Ma ci sono non pochi problemi. Si noti subito che con le dinamiche di riduzione selettiva su base territoriale del FFO in corso già dal 2008, l’indicatore era già peggiorato (ed è ulteriormente peggiorato negli anni successivi) per gli atenei delle aree più deboli del paese: a fronte di costi incomprimibili per il personale che resta in servizio per decenni, si erano ridotti i finanziamenti pubblici, peggiorando il valore dell’indicatore e quindi le possibilità di nuove assunzioni. La politica selettiva sul FFO ha influenzato direttamente la politica del turn-over. Un elevato peso del costo del personale sulle entrate poteva quindi dipendere sia da un elevato numero di assunzioni nel passato (numeratore) sia dalla contrazione del finanziamento avvenuta dopo il 2008. Difficile valutare quanto per alcuni atenei vi sia stato un “eccesso” di reclutamento: occorrerebbero valutazioni caso per caso. Può darsi.

Ma quello che rileva molto è che tale indicatore considera nelle entrate degli atenei anche il gettito delle tasse degli studenti. Esso assume un valore positivo: chi incassa più tasse dagli studenti “merita” maggiori possibilità di turn-over. Indirizzo che appare in aperto contrasto con la normativa vigente che poneva un tetto alle entrate contributive; ritenendo evidentemente il legislatore che nel sistema universitario pubblico italiano il contributo delle famiglie – anche se necessario per le difficili condizioni della finanza pubblica – dovesse essere calmierato. Il DPR 25.7.1997 n. 306 poneva un limite del 20% alle entrate contributivo rispetto al FFO. La normativa è stata modificata escludendo prima il gettito dei fuoricorso e poi quello degli studenti internazionali, ma vi sono incertezze in merito per i ricorsi avviati da organizzazioni studentesche presso la giustizia amministrativa. Nel 2016 per ben 33 atenei (su 59 per cui erano disponibili i dati) tale limite risultava superato (UDU 2018).

Le politiche di tassazione delle università sono basate su importi crescenti per scaglioni di reddito familiare. Tali importi sono stati notevolmente incrementati, così che fra il 2008 e il 2015 il gettito della contribuzione studentesca è aumentato del 33% nel Mezzogiorno, del 24% al Nord, e del 17% negli atenei del Centro (UDU 2018). Ma il gettito, oltre che dalle scelte degli atenei, dipende in misura cruciale dal reddito medio delle famiglie degli studenti. Con i forti squilibri territoriali che ci sono in Italia, il reddito medio delle famiglie, e quindi le tasse che esse pagano, sono molto diversi da regione a regione. Dati Istat riferiti al 2014-15 mostravano ad esempio, guardando alle principali 15 sedi (tav. 1), che il reddito mediano delle famiglie degli studenti dell’Università di Catania era intorno ai 16.000 euro; il valore per il Politecnico di Milano circa il doppio, intorno ai 30.000. conseguentemente, nonostante il più forte aumento delle tasse negli atenei del Centro-Sud, lo è stata la contribuzione media per studente.

Insomma, il criterio ha premiato gli atenei che sono insediati nelle città più ricche; che hanno studenti provenienti dalle famiglie più abbienti, che aumentano maggiormente la tassazione.

Tab. 1 Redditi delle famiglie e contribuzione media studentesca
reddito (a) contribuzione studentesca (b)
2014-15 2013-14 2016-17
Torino 25,0 1171 1106
Politecnico, Milano 29,7 1810 1930
Statale, Milano 26,3 1588 1810
Padova 23,9 1517 1548
Bologna 25,8 1450 1559
Genova 25,3 1288 1431
Firenze 24,3 910 1008
Pisa 23,5 1034 1113
Sapienza, Roma 22,9 982 1164
Tor Vergata, Roma 22,2 1134 1329
Federico II, Napoli 16,8 744 946
Bari 17,3 815 1034
Messina 16,9 841 1108
Catania 16,4 724 896
Palermo 17,7 498 972
Italia 21,7 1072 1236
(a) reddito medio dei genitori, migliaia di euro, (valore mediano), a.a. 2014-15, fonte: Istat 2016, tav. 2.8
(b) contribuzione media per studente, euro, a.a. 2013-14, Anvur 2016, tab I.2.2.A2 e a.a. 2016-17 Anvur 2018, tab A.I.3.2.1

La contribuzione studentesca è significativa; valeva nel 2015 intorno al 20% del FFO per le università del Centro-Sud e dal 29 al 37% per quelli del Nord (tav. 2). Questo gettito accresce il totale delle entrate degli atenei, sommandosi al FFO.

Tav 2 Entrate universitarie, 2015
milioni di euro
FFO (a) Tasse (b) % b su a
Torino 250,0 79,9 32,0
Politecnico, Milano 199,2 74,3 37,3
Statale, Milano 267,9 97,6 36,4
Padova 278,4 85,4 30,7
Bologna 379,7 109,4 28,8
Genova 167,5 36,5 21,8
Firenze 228,3 44,8 19,6
Pisa 189,7 44,7 23,6
Sapienza, Roma 476,8 102,8 21,6
Tor Vergata, Roma 147,3 37,0 25,1
Federico II, Napoli 324,9 70,1 21,6
Bari 178,7 33,6 18,8
Messina 141,9 28,4 20,0
Catania 161,8 32,8 20,3
Palermo 196,5 33,6 17,1
Italia 6572,1 1591,5 24,2
Fonte: Elaborazioni dell’Autore su decreti MIUR (a) e UDU (2018) (b)

Quale è stato l’esito, sempre per i principali 15 atenei del paese, di questi meccanismi? Per rispondere a questa domanda sono state calcolate le complessive cessazioni e le nuove disponibilità, per il complessivo periodo 2012-19 (tab. 3). A fronte di un turn-over nazionale pari al 57,6%, il Politecnico di Milano ha superato il 120%; il turn-over si colloca per gli altri maggiori atenei del Nord fra il 66 e il 77%; scende fra il 40% e il 50% per quelli del Centro, Genova, Napoli e Bari e sotto il 40% per le università siciliane.

Tab. 3 Il turnover nelle principali università italiane
Cessazioni e nuove disponibilità, in termini di punti organico, 2012-2019
Cessazioni (a) Disponibilità (b)                     b in % di a
Torino 572 413,8 72,3
Politecnico, Milano 312,3 377,5 120,9
Statale, Milano 688,2 532,4 77,4
Padova 657,3 437,6 66,6
Bologna 887,1 618 69,7
Genova 507,9 237 46,7
Firenze 702,7 355,2 50,5
Pisa 499,7 256,7 51,4
Sapienza, Roma 1469 688 46,8
Tor Vergata, Roma 352,9 155,9 44,2
Federico II, Napoli 1075,2 483,1 44,9
Bari 503,9 212,6 42,2
Messina 477,8 180,3 37,7
Catania 552,6 193,6 35,0
Palermo 627,3 221,8 35,4
Italia 16587,3 9548,3 57,6
Fonte: Elaborazioni dell’Autore su decreti MIUR

Pur essendo norme che dovevano ripartire fra gli atenei il “sacrificio” in termini di mancato turn-over, esse hanno anche permesso a quelli posizionati meglio di superare il 100%, riducendo così ancor più le possibilità di reclutamento per quelli collocati peggio.

Dal 2018 si è tornati ad un turn-over di sistema pari al 100% ma (come su vede dalla tav. 4) negli anni successivi esso è stato superiore al 230% per il Politecnico di Milano, superiore al 100% per gli altri atenei del Nord; inferiore al 100% per quelli del Centro-Sud e per Genova, con punte anche sotto il 70%. Lo stesso è avvenuto per il 2020. Sul sito del MIUR è da pochi giorni disponibile il decreto appena predisposto dal Ministero per l’Università che assegna a tutti gli atenei italiani i punti organico, da cui sono tratti i dati dell’ultima colonna della tabella. Nel 2020 16 atenei su 22 al Nord sono sopra il 100%, cioè hanno una possibilità di reclutamento maggiore dei pensionamenti; ma questo accade solo per 4 atenei su 15 al Centro e per 6 su 23 al Sud. Pare evidente un effetto geografico, legato alla ricchezza dei territori e delle famiglie.

Tab. 4 Il turnover nelle principali università italiane, 2018-2020
2018 2019 2020
Torino 117 143 140
Politecnico, Milano 237 262 245
Statale, Milano 121 131 115
Padova 106 105 102
Bologna 111 110 139
Genova 90 75 71
Firenze 88 92 92
Pisa 81 77 64
Sapienza, Roma 89 82 68
Tor Vergata, Roma 81 73 81
Federico II, Napoli 83 89 97
Bari 101 96 81
Messina 76 71 68
Catania 73 50 59
Palermo 68 71 71
Italia 100 100 100
Fonte: Elaborazioni dell’Autore su decreti MIUR

Questi dati hanno un significato molto importante. Essi mostrano che questa politica non ha determinato una correzione una tantum nei flussi di entrata di nuovo personale universitario, in connessione con le politiche di austerità; eventualmente anche per correggere gli “eccessi” di reclutamento.

Essa determina – insieme e in combinazione con le regole di attribuzione del FFO – una frattura strutturale nel sistema. Alcune sedi universitarie, tutte al Nord, hanno permanentemente un maggiore turn-over, e la conseguente possibilità di ricostituire quantitativamente, rinnovare e poi far crescere scientificamente il proprio corpo docente.

Un congruo numero di punti organico consente di mantenere o incrementare il numero dei corsi di studio, di immettere in servizio giovani docenti, più rapide progressioni di carriera al personale già in servizio. I dati sull’utilizzo dei punti organico e sulle dinamiche del corpo docente mostrano (Cersosimo et al 2018) che i punti organico sono stati prevalentemente utilizzati per progressioni di carriera; in misura minore ma crescente, per l’immissione di nuovo personale. La mobilità fra sedi del personale docente, fenomeno positivo per molte ragioni, si è ridotta ai minimi termini. Certamente, con queste regole, la mobilità del personale verso le sedi del Centro-Sud non possibilità di crescere. E’ molto difficile “migliorare” la situazione di un ateneo non potendo reclutare nuovi giovani o acquisire personale da altre sedi.

Tutto ciò crea potenti effetti indotti. I ricercatori più giovani normalmente producono un miglioramento nella VQR delle sedi che li reclutano, anche perché “allenati” a condurre la propria attività scientifica e a pubblicare in modo da massimizzare la valutazione dei propri lavori. Migliorando la VQR si accresce il FFO; accrescendosi il FFO aumentano i punti organico.

Poi è arrivato il covid. E in queste settimane si sta discutendo di quanto bisogna fare per evitare che l’epidemia provochi una riduzione delle immatricolazioni alle università. Come già avvenuto negli anni 2012-14: famiglie più povere, più preoccupate, possono ridurre gli investimenti in istruzione. Questo, in una situazione nella quale la percentuale di ragazzi in età da università che effettivamente si iscrivono è appena superiore al 40%: una delle percentuali più basse in Europa. Il Ministro Manfredi, fortunatamente, ha recentemente fornito dati incoraggianti.

Molti atenei stanno provvedendo a contrastare questo rischio anche operando sulla leva delle tasse: aumentando ad esempio il livello di isee (l’indicatore di reddito e patrimonio delle famiglie) al di sotto del quale chi si iscrive è totalmente esentato dalla contribuzione studentesca. Si dirà: bravi! E invece, con le regole attuali questi atenei non saranno premiati ma puniti; con i criteri di cui si è detto la riduzione delle entrate contributive li porterà ad avere minori possibilità di ricambio. E con minori possibilità di ricambio, nel tempo si ridurrà l’offerta formativa, disincentivando gli studenti ad iscriversi; non si reclutano giovani, valenti studiosi; non attraggono docenti in mobilità perché ci sono minori prospettive di carriera. E tutto questo in base principalmente alla geografia.

Si discute molto, giustamente, su come investire le risorse del Piano di Rilancio. Ma prima di definirlo sarebbe opportuno provvedere a ridiscutere quelle norme introdotte nell’ultimo decennio che continuano a provocare effetti opposti rispetto agli obiettivi che si vogliono perseguire. Consentire agli atenei di ridurre la tassazione sugli studenti e non punire quelli che lo fanno sarebbe un primo, semplice, passo per aumentare i livelli di istruzione dei giovani. In tutta Italia, ma specie nelle aree meno ricche del paese. In conclusione, quella sui criteri di allocazione dei punti organico è una discussione difficile; ma indispensabile.

Testi citati

Anvur (vari anni), Rapporto sulla stato del sistema universitario e della ricerca, Roma

Cersosimo Domenico, Nisticò Rosanna, Pavolini Emanuele, Prota Francesco e Viesti Gianfranco (2018), “Circolazione del capitale umano e politiche universitarie: un’analisi del caso italiano”, in Politiche Sociali, n. 3

Istat (2016), Studenti e bacini universitari, Roma

UDU – Unione degli universitari (2018), “Atenei fuorilegge sulle nostre spalle. Rapporto 2018”, Roma

Viesti Gianfranco (2018), La laurea negata. Le politiche contro l’istruzione universitaria, Laterza, Roma-Bari

Questo testo riprende e rialabora ampie parti di G. Viesti, “Le politiche universitarie” in Sinappsi, 3/2019 e di un editoriale pubblicato su “Il Messaggero” il 25 settembre 2020.


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