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I conti non tornano, la scuola smart pensata per pochi

Quel che serve è che si imposti, ascoltando associazioni e sindacati, un anno che faccia i conti, tristemente ma realisticamente, con orari ridotti per gli alunni

21/04/2020
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il manifesto

Iacopo Rosatelli

Il rientro a scuola sarà complesso. Nei ragionamenti sulla fase due si evocano lezioni nei giardini degli istituti o nei musei, aule rimodulate, mix virtuosi di didattica online e in presenza: bello e impossibile. O meglio, possibile solo per chi ha risorse, spazi adatti, contesti accoglienti: insomma, per chi è avvantaggiato, e magari anche prima del virus riusciva a fare scuola in maniera «creativa». L’entusiasmo per le magnifiche sorti e progressive generate dalla crisi ignora che il sistema già fatica a funzionare in condizioni normali. Dilaga il precariato, mancano presidi e direttori amministrativi: non è certo l’ideale per affrontare tutti gli adempimenti che la riapertura imporrà. Se si considera, inoltre, che nei migliori dei casi le procedure di nomina dei supplenti si portano via l’intero settembre, immaginare quel che può accadere in tempi di coronavirus dà i brividi.

Ammettiamo tuttavia che il precariato, per magia, scompaia. Che l’intero organico – dal troppo spesso dimenticato personale amministrativo, tecnico e ausiliario sino ai dirigenti – sia coperto da titolari di ruolo. Le prime settimane, afferma la ministra, saranno dedicate «a chi è rimasto indietro». Giusto. Posto che, per essere efficaci nel poco tempo disponibile, i corsi di recupero dovranno essere intensivi, viene da chiedersi: ha senso sottoporre alunni con difficoltà di apprendimento a uno sforzo eccezionale con l’ansia di rimettersi in fretta «al pari degli altri»? Probabilmente no. Ma nemmeno ripartire ignorando le carenze. I risvolti pedagogico-didattici del recupero a settembre mostrano già la magnitudine dei problemi.

Tra le ipotesi per la ripresa circolano doppi turni e riduzione dei gruppi-classe per evitare il «pollaio». Se si dovranno mantenere davvero le distanze (e trascurando cosa significhi obbligare persone in età scolare a stare distanti), ogni classe andrà divisa. Delle due l’una: o si raddoppiano i docenti (e le aule) o si dimezzano le ore a scuola di ciascun allievo, perché le ore del singolo insegnante restano le stesse. Tertium non datur. Si fa un po’ in presenza e il resto si continua online? A prescindere dal fatto che non tutto si può fare online – dalla ginnastica al laboratorio di cucina -, proviamo a fare un esempio concreto. Matematica alle medie, quattro ore per classe: il docente farebbe due ore con ciascuna metà classe, le altre due online con l’intero gruppo. Ma i conti non tornano: quell’insegnante farebbe in tutto sei ore. Pagato per quattro, però. E anche volendo ammettere – senza concedere – che il corpo docente faccia un enorme straordinario vista l’eccezionalità della situazione, si porrebbe il problema delle risorse per pagare le ore eccedenti.

Gli scenari sono facili a dirsi, ma chi prefigura la scuola smart ha spesso in mente contesti privilegiati e non ha sufficiente considerazione del lavoro necessario. Si deve fare di tutto per tornare in classe, ma i voli pindarici sulla fase due tradiscono scarsa dimestichezza con la realtà, se non la volontà di pretendere dalla scuola senza riconoscerle nulla. Quel che serve, invece, è che si imposti, ascoltando associazioni e sindacati, un anno che faccia i conti, tristemente ma realisticamente, con orari ridotti per gli alunni. Capendo, subito, come porvi rimedio, usando le risorse in modo perequativo e attivando ogni supporto del territorio per evitare che i costi della frequenza diminuita si scarichino su famiglie lavoratrici e genitori single. Alla scuola il compito costituzionale di impegnarsi per attivare le capacità di bambini e ragazzi in quella che sarà una sorta di «alternanza scuola/casa» in cui le condizioni della casa non dovranno fare alcuna differenza.


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