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I bambini umiliati a scuola

Chiara Saraceno

14/10/2018
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la Repubblica

ALodi oltre duecento bambini che frequentano la scuola di base sono esclusi dal servizio mensa, dallo scuolabus, persino dallo yogurt che viene offerto come merenda a tutti i bambini indipendentemente dal reddito, perché i loro genitori, stranieri non comunitari, non possono dimostrare la loro condizione di ristrettezze economiche non solo in Italia, ma anche nel paese di provenienza. Non basta l’Isee che certifica la loro condizione economica in Italia. Per decisione della sindaca, della Lega, devono produrre una certificazione analoga anche per il paese d’origine, anche se lo hanno lasciato da tempo o ne sono fuggiti o se le amministrazioni locali non sono in grado di fornirle. Ed anche se riescono a procurarsi una qualche documentazione, spesso a caro prezzo, per lo più non viene accolta, non perché dimostra il loro status di abbienti, ma perché non corrisponde alla certificazione italiana. Quasi che l’Isee fosse uno standard internazionale, analogo a un certificato di nascita. Per altro, questa richiesta viene fatta solo ai non comunitari. Ai genitori italiani, francesi, rumeni o polacchi basta l’autocertificazione. Nella impossibilità di produrre la documentazione richiesta, i genitori non comunitari, invece, dovrebbero pagare il prezzo intero del servizio, come se fossero abbienti, anche se il loro Isee italiano certifica il contrario. D’altra parte, è un dato ben noto che la condizione di povertà, specie al Nord, è particolarmente concentrata tra le famiglie migranti e che si trova in povertà oltre il 30% dei bambini stranieri. Sono dati basati sui comportamenti di consumo, non sul reddito dichiarato, quindi non facilmente confutabili come frutto di menzogna. Se queste famiglie potessero contare su ricchezze nascoste nel loro paese, avrebbero un livello di consumo più elevato. Al contrario, spesso devono mandare denaro nei paesi di origine, per aiutare i familiari rimasti là o ripagare per l’aiuto ricevuto quando sono partiti. In alcune scuole questi bambini vengono mandati a casa a mangiare, con buona pace del principio del tempo mensa come tempo educativo, sostenuto sia da chi difende il servizio mensa, sia da chi ne rifiuta il cibo ma non, appunto, il tempo/spazio. In altre scuole si consente di portare il pranzo da casa, che deve tuttavia essere consumato in luoghi separati, in nome di "insormontabili problemi igienici", anche in questo caso in contrasto con il principio che anche il tempo del pasto è un tempo educativo e di socialità condivisa. Quel principio che i genitori italiani no- mensa hanno fatto valere vittoriosamente in diversi tribunali. Ma non erano stranieri e non erano poveri. Questi bambini invece vengono stigmatizzati e ghettizzati con il doppio marchio di stranieri e poveri. Quanto di più diseducativo ci sia per loro e per i loro compagni, oltre che in contrasto con i principi ispiratori dei diritti internazionali dei bambini che anche l’Italia ha sottoscritto. Che cosa ne pensa il ministro della Pubblica istruzione? Tanto più che fa parte di un governo che si appresta ad un maxi condono a favore di accertati evasori su suolo italiano, talvolta molto abbienti e con tenore di vita alto, che hanno fruito e fruiscono a sbafo dei servizi pagati dalla collettività. La decisione avrà procurato sicuramente alla sindaca molti consensi tra chi pensa che l’assistenza debba andare solo agli italiani. Sospetto che tra questi ci siano anche piccoli o grandi evasori che si ritengono furbi, non indebitamente assistiti.


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