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Gli studenti italiani voltano le spalle all’università: in sette anni -20%

Dal 2008, 66mila matricole in meno: in fuga dagli atenei del Sud il 30% degli studenti

11/12/2015
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Corriere della sera

Antonella Di Gregorio

Se il Paese non investe sull’Università, l’università si restringe. Una pozza d’acqua che si asciuga. Per la prima volta nella sua storia, è diventata più piccola di circa un quinto. Lo conferma il Rapporto 2015 della Fondazione Res «Nuovi divari. Un’indagine sulle Università del Nord e del Sud» curato da Gianfranco Viesti e presentato giovedì a Palermo.

Contrazione

Rispetto al momento di massima espansione nel 2008, scrivono i ricercatori, la tendenza alla contrazione ha raggiunto oggi il momento più critico: gli studenti immatricolati si sono ridotti di oltre 66mila (-20%); i docenti sono scesi a meno di 52mila (-17%); il personale tecnico amministrativo a 59mila (-18%); i corsi di studio a 4.628 (-18%). E la tendenza a disinvestire è evidente nei dati sul Fondo di finanziamento ordinario, diminuito, in termini reali, del 22,5%. In valore: sette miliardi, che vanno comparati agli oltre 26 miliardi della Germania. Una tendenza opposta a quelle in corso in tutti paesi avanzati. L’obiettivo europeo di raggiungere, al 2020, il 40% di giovani laureati sembra decisamente fuori dalla portata dell’Italia che, con il 23,9%, è all’ultimo posto fra i 28 stati membri.

Effetto «palla di neve»

La situazione è drammatica soprattutto per gli atenei del Centro-Sud, e peggio ancora va nelle isole: il Fondo di finanziamento, ripartito in modo assai diverso negli ultimi anni, ha visto tagli, al Sud, di circa il 12% e nelle Isole di oltre un quinto.
I cambiamenti introdotti nei meccanismi di ripartizione dei finanziamenti, con un aumento fino al 20% della quota premiale legata a risultati conseguiti nella didattica e nella ricerca, paradossalmente aggravano il quadro perché penalizzano le università del Mezzogiorno per la loro inefficienza, senza spingerle realmente su un sentiero di miglioramento e di maggiore responsabilizzazione. Un meccanismo «a palla di neve», dice la Fondazione: posizione sfavorevole e riduzione delle risorse finanziarie e umane peggiorano offerta didattica e immatricolazioni: «tutti elementi che si contraggono contemporaneamente o in sequenza, ciascuno rinforzando l’effetto degli altri».

Studenti in fuga

Dell’esercito di giovani che non si iscrivono più a un corso di laurea, oltre il 50% disertano atenei del Mezzogiorno: (37mila matricole in meno dal 2003 al 2014). Maggiore, nel Meridione, la quota di studenti che abbandona gli studi universitari dopo il primo anno (il 17,5% al Sud, contro il 12,6% al Nord e il 15,1% al Centro).
La mobilità studentesca, che potrebbe essere anche letta in positivo, mostra invece solo il volto triste della «migrazione»: il 30% degli immatricolati meridionali si iscrivono in università del Centro-Nord. Un flusso a senso unico. Tra le cause, va considerata anche la scarsa disponibilità di borse di studio e di servizi per gli studenti nelle regioni meridionali: nel 2013-14, il 40% degli idonei non beneficiava di borsa per carenza di risorse (60% nelle Isole).

Il gap

Per sottolineare il gap ci sono anche i dati sul tempo medio di completamento di un corso triennale: 5,5 anni al Centro e al Sud, e 4,5 al Nord. O quelli sulla diminuzione del personale docente di ruolo: 18,3% nel Mezzogiorno, 11,3% al Nord e 21,8% nelle università del Centro. Per qualità della ricerca, poi, tutti gli atenei meridionali presentano valori inferiori alla media nazionale.

Serie A e serie B

Alberto Campailla, portavoce di LINK - Coordinamento Universitario mette sotto accusa soprattutto i servizi del diritto allo studio, che «si rivolgono solo al 10 % del totale degli universitari. «Tra gli idonei a ricevere la borsa di studio - dice - uno su quattro non la ottiene per mancanza di fondi. Anche i servizi mensa e alloggio sono a dir poco carenti: solo il 2% degli studenti è assegnatario di un posto alloggio nelle residenze universitarie, mentre è disponibile un posto in mensa ogni 35 studenti iscritti». «Queste profonde differenze derivano in larga parte - afferma Campailla - da un sistema di riparto dei fondi che insistendo su ambigui criteri di merito sta finendo per concentrare le risorse e gli investimenti in pochi atenei di serie A che coprono un triangolo di 200 chilometri di lato con vertici Milano, Bologna e Venezia (e qualche estensione territoriale a Torino, Trento, Udine); mentre la serie B, cioè gli altri atenei, copre il resto del Paese». Accuse che Francesca Puglisi, responsabile Scuola, Università e Ricerca del Pd, cerca di smontare: «Dopo anni di tagli nella legge di stabilità in discussione alla Camera dei deputati il Governo Renzi torna ad investire nell’Università e nel diritto allo studio. È vero, come argomenta la Fondazione Res i divari che attraversano il Paese nascono anche dalla diversa attenzione che le Regioni del centro nord tradizionalmente hanno dedicato all’istruzione, all’innovazione e al diritto allo studio. Oggi il Governo aumenta di 50 milioni di euro il diritto allo studio perché tutti i capaci e meritevoli privi di mezzi possano accedere ai più alti gradi di istruzione, sblocca la possibilità di assumere giovani ricercatori a tempo determinato e realizza un piano straordinario di assunzioni di 1000 ricercatori». «Ma le Regioni che secondo la riforma costituzionale dovranno promuovere il diritto allo studio devono fare la loro parte», aggiunge.

«Programma pluriennale per il rilancio»

Per Jacopo Dionisio, coordinatore nazionale dell’Unione degli Universitari «è necessario un programma pluriennale per il rilancio dell’università italiana, specie nel Mezzogiorno - conclude -. Noi lo denunciamo da tempo e continueremo la nostra campagna sulla “questione meridionale” realizzando una serie di iniziative in tutt’Italia. Scuola, università e diritti sono i punti di partenza per il rilancio del Meridione e di tutto il Paese».


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