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Gli studenti in corteo: "Riprendiamoci il nostro futuro"

«Una cosa è chiara», dice Sofia Sabatino, della Rete degli studenti: «se a noi è stato tolto tutto non è perché ce l’hanno rubato i padri, per questo manifestiamo con loro».

28/11/2010
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l'Unità

Mariagrazia Gerina

Li guarda sfilare una signora di mezza età con la bandiera della Cgil sulle spalle: «Forza giovani». Un nonno li indica alla nipotina: «Vedi che bella questa manifestazione». Loro sciamano tra dipendenti pubblici, operai, impiegati, edili, lavoratori immigrati, scandendo slogan dalla metrica impossibile. «Articolo trènta-quàttro della Costì-tu-ziòne è garantì-to a tutti il dirìt-to all’ìstru-ziòne».Oanche, ormai un classico: «Noi-la-crìsi non-là-paghiàmo». Qualcuno, in un angolo, brucia un manichino di Berlusconi. «Il suo presente, il nostro futuro », scandisce più garbatamente uno striscione. Ecco, il loro futuro. Eugenio e Fulvia, che vanno ancora al liceo, lo vedono così: «Il lavoro non c’è, forse un contratto non ce l’avremo mai, ma un po’ di ottimismo ce l’abbiamo ancora sennò non saremmo qui». «Una cosa è chiara», dice Sofia Sabatino, della Rete degli studenti: «se a noi è stato tolto tutto non è perché ce l’hanno rubato i padri, per questo manifestiamo con loro». Per gli universitari è più dura. «Ci sentiamo precari ancora prima ancora di entrare nel mondo del lavoro», spiega Dario Alba, 27 anni, siciliano, iscritto a ingegneria a Ferrara. «Una volta studiavi e trovavi il lavoro. Oggi se fai il dottorato i prof ti consigliano di non metterlo nel curriculum altrimenti le aziende si spaventano». Neppure la storia che ai padri è andata meglio vale tanto nel suo caso. «Mia madre a 58 anni è ancora precaria nella scuola». I fratelli invece, 33 e35anni, tutti e due diplomati, sono dovuti andare all’estero a cercare lavoro. Lo hanno trovato subito, nel campo dell’informatica. «Dopo qualche anno - pensavano - torneremo». Ci hanno provato: sono scappati un’altra volta. «Qui gli offrivano solo contratti a progetto, lì cinque minuti dopo aver spedito il curriculum, hanno trovato un nuovo impiego». Dario non vorrebbe seguire le loro orme. Della famiglia è quello che ha studiato. «Se me ne vado anche io... Per questo sono qui».
QUELLI CHE CE LA FARANNO Gabriella Francia, 27 anni, studia ostetricia a Bari. «Mi piaceva l’idea di far nascere bambini». «Io? Ne vorrei ma per ora non posso permettermelo, è anche per questo che ho ripreso a studiare». Studentessa e lavoratrice. «Faccio la cameriera, ho fatto la bagnina, l’istruttrice di nuoto... Sono dieci anni che lavoro e zero contributi... Lavori e speri che questa vita finisca, che prima o poi troverai un posto di lavoro fisso. Lo so sembra di sentire parlare mia madre, ma io da donna libera ho capito che un po’ di vecchio ci vuole: qui ci stanno togliendo la base. Io vorrei fare figli, sposarmi, lavorare e sapere che il futuro è garantito anche ai miei figli. Chiedo troppo?». Roberto Naccarella, 25 anni, parla come uno che il presente l’ha guardato negli occhi. Viene dall’università de l’Aquila dove «noi studenti siamo tutti vivi per miracolo ». Fuorisede, dopo il terremoto non se ne è voluto andare. Adesso fa lezione in un capanno industriale e vive in una caserma con la vigilanza armata. La sua stanza da studente è rimasta in centro, intatta e sigillata nella zona rossa. «Se davvero avessero voluto ricostruire la città, non è dall’università che tutto sarebbe dovuto ripartire? E invece a noi studenti aquilani hanno tolto anche le borse di studio: niente fondi, niente beneficiari». Mentre parla Roberto guarda avanti. Ma non sono macerie quelle che ha negli occhi. «In questi giorni noi studenti stiamo mettendo in piedi qualcosa di grandioso - dice -Magari siamo noi quelli che ce la faranno a superare questa deriva che dura da vent’anni e a mandare a casa Berlusconi».

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