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Gli istituti tecnici e professionali? Formano soprattutto disoccupati

Dossier della Fondazione Agnelli su 547mila ragazzi: solo il 42,7 per cento dei diplomati trova lavoro nei due anni successivi. Di questi, solo uno su cinque a tempo indeterminato. La ministra Fedeli: "A settembre nuovi indirizzi". E al presidente di Confindustria dice: "Non studiare per lavorare? Sbaglia"

02/02/2018
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la Repubblica

Corrado Zunino

ROMA - Neppure un diplomato su due formato da un istituto tecnico o professionale trova un lavoro (o un inizio di lavoro) nei due anni successivi alla Maturità: è il 42,7 per cento, precisamente. E di questi solo uno su cinque, nei 24 mesi, lo trova a tempo indeterminato. Il report della Fondazione Agnelli sugli istituti superiori che formano per una professione fotografa la fatica dell'istruzione non liceale nel nostro Paese.
 
NON STUDIO, NON LAVORO
L'inchiesta ha analizzato il percorso dal diploma alla professione di 547.853 studenti che hanno preso il titolo in una scuola tecnica o professionale tra giugno 2012 e giugno 2016 (tre cicli scolastici). E' stata un'analisi censuaria, di ogni soggetto quindi, e non a campione. Dopo aver certificato che il 46,6 per cento dei quattordicenni che esce dalle scuole medie sceglie un indirizzo tecnico o professionale, lo studio rivela che solo il 30 per cento di questi diplomati prosegue gli studi all'università (l'aliquota comprende anche gli studenti-lavoratori, l'8,6 per cento). Oltre i due terzi scelgono di entrare subito nel mercato dell'impiego. Meglio, di provare a entrare. Non più del 28 per cento riuscirà, infatti, a lavorare per più di sei mesi nei primi due anni post-diploma (statisticamente si definiscono occupati). Nello stesso periodo, il 14,7 per cento ha svolto lavori saltuari e frammentari cumulando meno di sei mesi di lavoro (sottoccupati). E c'è una fetta preoccupante di Neet (non studio e non lavoro) nel bacino dei post tecnico-professionali: il 27,4 per cento non risulta iscritta a corsi universitari né ha avuto esperienze lavorative di alcun tipo. Per quanto riguarda invece il contratto, la metà esatta dei diplomati che lavora raggiunge entro i primi due anni una posizione stabile: il 22,2 per cento ha un contratto a tempo indeterminato e il 27,6 è inserita in un percorso di apprendistato.
 
Per ottenere un rapporto di lavoro significativo (contratto con una durata di almeno trenta giorni continuativi) i diplomati considerati hanno atteso in media 263 giorni, quasi nove mesi. La loro mobilità è stata contenuta: per trovare un impiego la maggioranza non si è spostata oltre il comune di residenza o la provincia più di quaranta chilometri (70 chilometri al Sud). A due anni di distanza dal diploma, solo un diplomato su tre (34,3 per cento) svolge un lavoro coerente con il titolo di studi conseguito. La metà (51,3 per cento) deve accontentarsi di una professione qualsiasi.
 
OCCUPATI IN VENETO, DISOCCUPATI IN CALABRIA
Su 3.315 scuole tecnico-professionali presenti nel Paese, oltre il 14 per cento è in Lombardia, il 4 per cento in Calabria. L'indice di occupazione è fortemente disomogeneo: oscilla dal 60,9 in Veneto al 22 in Calabria. Anche in Campania l'occupazione è al 22 per cento nonostante la regione sia la seconda per numero di istituti nel Paese. Non formano lavoratori, ecco. In Veneto il primo contratto significativo arriva quando sono trascorsi poco più di sette mesi dal conseguimento del diploma, in Calabria di mesi ne occorrono quasi undici. I diplomati del Sud sono il primo anello della catena migratoria verso le province del Centro-Nord. In generale, nel Settentrione almeno uno studente su tre frequenta un percorso a indirizzo tecnico con punte del 37 per cento nel Nord-Est.
 
INDUSTRIA E ARTIGIANATO FUNZIONANO
I diplomati professionali dei Servizi e quelli del Tecnologico (entrambi settore economico) hanno una più bassa probabilità di occupazione (-1,6 per cento e -1,9 per cento, rispettivamente). I pur meno numerosi diplomati professionali del settore Industria e Artigianato godono, invece, di un piccolo vantaggio occupazionale (+1,1 per cento) e accedono a contratti più stabili (+3,7 per cento).
 
Coloro che sono arrivati al diploma con qualche anno di ritardo presentano esiti lavorativi via via meno favorevoli, e meno coerenti, rispetto a chi si è diplomato in regola. C'è un dieci per cento che raggiunge il titolo dopo 2-3 bocciature, il due per cento a 22 anni. Il voto di Maturità è solo blandamente associato alle opportunità lavorative: 10 punti in più all'esame di Stato danno un bonus occupazione dello 0,9 per cento. Chi si diploma bene ha più possibilità, però, di trovare un'occupazione coerente con gli studi. Il voto medio di Maturità in questa branca di studi superiori è 73,26. Rispetto a chi si è diplomato nel 2012, anno di piena crisi, ha avuto chance in più chi ha conseguito la Maturità nel 2013 (+0,8 per cento) e soprattutto nel 2014 (+4,2 per cento).  Ai tecnico-professionali le donne sono il 39,8 per cento, gli stranieri il 6,1.
 
TRA LEGGE FORNERO E JOB ACTS
La Fondazione Agnelli sottolinea come la Riforma Fornero dell'apprendistato prima e il Jobs Act poi abbiano cambiato radicalmente le convenienze dei datori. Infatti, a fronte di un'incidenza del lavoro non permanente (tempo determinato, somministrazione, lavoro a progetto) sostanzialmente immutata nel tempo, c'è stato un ricorso massiccio al contratto in apprendistato dopo la sua entrata a regime (Fornero, 2012) e un successivo calo a favore del contratto a tempo indeterminato per la decontribuzione prevista dalle norme del Job Acts (Governo Renzi, 2014).
 
Si legge nel dossier: un insieme di fattori quali la congiuntura leggermente più favorevole, i provvedimenti sul mercato del lavoro e la crescita delle tasse universitarie "sembra aver indotto un certo numero di diplomati al margine" a optare per un ingresso immediato nel mondo del lavoro, rinunciando alla prosecuzione degli studi a livello universitario.
 
LA MINISTRA FEDELI: "CONFINDUSTRIA SBAGLIA"
Oggi, alla presentazione dell'indagine, la ministra dell'Istruzione Valeria Fedeli ha detto: "E' inaccettabile quel che ha fatto il presidente di Confindustria di Cuneo, ha scritto alle famiglie che avrebbero dovuto tener conto, in fase di iscrizione dei figli alle superiori, di come le imprese abbiano bisogno di tecnici e di operai. E' un messaggio sbagliato, non dà una corretta informazione sui processi in campo. Se non si comprende che dobbiamo sempre di più immettere, accanto al saper fare, conoscenza costante, è come dire ai ragazzi: "Guardate, oggi mi serve quella tipologia di attività" senza guardare a quel che serve domani. L'apprendimento permanente è un tema dell'oggi e del domani". Sui dati della Fondazione Agnelli, la ministra: "Ad aprile abbiamo varato la riforma dell'istruzione professionale, dal prossimo settembre avremonuovi indirizzi coerenti con i diversi ambiti del Made in Italy e stiamo qualificando ulteriormente la nostra Alternanza scuola lavoro".


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